Il neoambientalismo necessario anche in Sardegna (di Sandro Roggio)




Sandro Roggio

 Da il Manifesto del 6-1-11 e da Eddyburg

Gli argomenti della Rete dei Comitati sulla necessità di agire dal basso per il buon governo del territorio  e sulle difficoltà di incidere, trovano riscontri.
Se dite in Sardegna dei rischi   – alludendo al “disastro Italia” di Asor Rosa o, più concretamente,  a Terzigno e dintorni –  non è detto che vi capiscano.
E’ vero che non siamo messi così, ed è difficile riconoscersi  in quella situazione, dove la  criminalità ha voce sulla sorte di una terra degradata e avvelenata, che  perde senso e valore a vantaggio di criminali.  Ci sono segnali di degenerazione pure in Sardegna, però, e per i quali ci sarebbe da allarmarsi molto (anche per qualche infiltrazione malavitosa). Ma il degrado percepito è come la temperatura ad agosto, dipende da una serie di fattori, e soprattutto dall’ottica nella quale ti metti, e anche dal consenso di cui si alimenta il consumo di risorse. Perché ogni spreco ha convenienze grandi e piccole, e il  consenso – attenzione –   può essere molto esteso  com’è in Sardegna.

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La riconversione ecologica, vera novità politica (di Angelo Bonelli*)

da Il Manifesto del 6-1-11

Il dibattito sul Neoambientalismo aperto dal Manifesto è estremamente importante. Esiste una domanda crescente di partecipazione, di voglia di contare, di misurarsi in prima persona di tanti cittadini che si organizzano per difendere il loro territorio, la salute, il paesaggio e i beni artistici. Si tratta della moltitudine inarrestabile, descritta da Paul Hawken, che ha portato migliaia di cittadini ad organizzarsi perché i partiti non solo non sono in grado di raccogliere le sollecitazione dalla società ma perché proprio i partiti sono stati i principali responsabili dell’assalto al territorio.
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Disastro Italia — Continua sul Manifesto del 28 novembre il Dibattito sul Neo-Ambientalismo

Gli articoli di Piero Bevilacqua, Paolo Baldeschi, Pieluigi Sullo e di Roberto Barocci del 28 novembre, pensiamo abbiano degnamente integrato i precedenti di Scandurra e Berdini conseguenti all’articolo di Asor Rosa del 17 novembre, sviluppando analisi che confermano la gravità della situazione, riconoscendo la profonda novità di democrazia partecipativa rappresentata dall’esperienza dei Comitati che deve allargarsi verso una Rete delle Reti per contrastare efficacemente il “Disastro Italia”.
Un po’ “sfalsato” secondo Asor Rosa l’intervento di Barocci nel quale intravede una rassegnazione: come se “avessero già vinto gli altri”….
Voi cosa ne pensate?

IDEE ANTIECOLOGISTE (anche) a sinistra di Enzo Scandurra

Da Il Manifesto  20.11.2010

Commentando Viale e Asor Rosa: l’ideologia dello sviluppo è un avversario potente quanto lo sono «i poteri forti dell’economia, della speculazione e dello sfruttamento».
Nell’articolo pubblicato su il manifesto del 17 novembre (Il neoambientalismo italiano) Alberto Asor Rosa riprende una riflessione di Guido Viale ( il manifesto del 7 novembre) in merito ai modi del cambiamento (nella produzione, nel modello di sviluppo) – che per Viale non possono che partire “dal basso” – svolgendo alcune considerazioni in ordine agli ostacoli che a tale cambiamento si oppongono. Oggi assistiamo a una crescente diffusione mediatica delle nuove tecnologie non inquinanti come: solare, eolico, fotovoltaico, che va nella direzione di una sorta di vero e proprio nuovo business. L’impressione è che lo sviluppo – questo malsviluppo – rimane una variabile indipendente da realizzare semmai non più attraverso l’uso dei fossili, ma delle energie alternative.

 Lungo questa strada è mia opinione che non si produce alcun nuovo e vero cambiamento, ma solo una correzione di rotta che, prima o poi, tornerebbe ad essere ortogonale all’ambiente. E infatti a Viale non sfugge il fatto che la produzione di energie alternative dovrebbe avvenire in concomitanza di una nuova classe dirigente e il loro utilizzo in modo diffuso a livello di singoli e comunità, fino a produrre un cambiamento anche antropologico degli stili di vita e dei comportamenti individuali. Del resto lo stesso problema si presenta per lo smaltimento dei rifiuti: è ormai noto che la raccolta differenziata non è solo una opzione tecnica, ma, prima ancora, culturale e antropologica (facendo raccolta differenziata ci si rende conto di ciò che scartiamo e come viviamo). L’attuale modello di consumi e di stili di vita (almeno oggi nel mondo occidentale) non è sostenibile neppure se si sostituisse tutta l’energia fossile consumata con energia pulita. Inoltre le fonti energetiche rinnovabili non basterebbero mai (almeno oggi) a rimpiazzare l’attuale fabbisogno energetico. E allora?
Ecco che subentra la centralità della questione culturale. Consumare meno e meglio, o diversamente, è la ricetta del futuro. In questa prospettiva, l’uso di fonti energetiche rinnovabili costituirebbe, come nel caso della raccolta differenziata, di innescare una «rivoluzione culturale» il cui obiettivo diventa quello dell’abbandono dell’attuale modello di sviluppo verso stili di vita più sobri e in armonia con l’ambiente. Ma questa operazione, appunto, è tanto più efficace quanto più scelta consapevole delle comunità insediate (vedi l’esempio delle «mamme vulcaniche» di Terzigno). Sempre in questa prospettiva il ruolo virtuoso del territorio diventa strategico: da supporto fisico inerte produttore di rendite parassitarie a luogo dell’abitare, territorio di comunità, luogo esso stesso di produzione. Ma veniamo all’articolo citato; Asor Rosa sostiene che esistono tre ostacoli al cambiamento dal basso e che di questi tre il primo: «il conflitto inesauribile e insanabile (…) con i poteri forti dell’economia, della speculazione e dello sfruttamento» costituisce, rispetto agli altri due (l’ideologia dello sviluppo e l’assenza delle forze politiche sulla questione ambientale) il nemico naturale di ogni difesa del territorio, essendo gli altri due «invece, nemici occasionali, episodici e dunque parzialmente recuperabili». Ebbene io penso, pur condividendo la tesi di Asor Rosa, che se il primo degli ostacoli citati costituisce una resistenza tenacissima al cambiamento anche il secondo ostacolo da lui citato (che per semplicità chiamo l’ideologia dello sviluppo), rappresenta un nemico altrettanto tenace del primo. Siamo davvero convinti che l’ideologia dello sviluppo, di questo sviluppo, sia giunta a capolinea? Paradossalmente, a me sembra, che la presunta fine di questo modello sia più nei fatti che nelle idee delle persone. E infatti molte delle calamità disastrose in Italia e fuori dal paese testimoniano che oggettivamente questo modello di sviluppo produce ormai un altissimo livello di aggressività nei confronti dell’ambiente, tale da mettere a repentaglio gli ecosistemi naturali di supporto alla vita.
Tuttavia dal punto di vista culturale (e ancor più politico) siamo così imbevuti di questa ideologia da far fatica a pensare che possano esistere modi diversi di benessere. Implicitamente funziona una sorta di automatismo antropologico secondo cui abbandonare questa strada significherebbe regredire nel passato del sottosviluppo. Le idee e le abitudini (ancorché sbagliate e destituite di fondamento) sono tenaci a morire (proprio come il berlusconismo) e tendono a persistere anche quando ormai sono mutate le condizioni che le hanno prodotte, se nel frattempo non si affermano nuove idee e nuove abitudini più convincenti e più adeguate al cambiamento.
Sto parlando, per intenderci, di quella cosa chiamata da Gregory Bateson «ecologia delle idee». Bateson soleva dire che se vogliamo raggiungere un fine, diciamo così, ecologico allora anche i mezzi che utilizziamo per raggiungere questo fine devono essere altrettanto ecologici. Molti dei nostri comportamenti di sinistra peccano di questo vizio, una sorta di scissione (antiecologica) tra pensiero ed azione ogni qualvolta, ad esempio, che un’amministrazione (di sinistra) ritiene (e decide di conseguenza) che fare grandi opere, celebrare grandi eventi, far diventare le nostre città come Barcellona o Parigi o Dubai, sia un segno di modernizzazione. Tutto questo per dire che nel grande convegno annunciato (e benvenuto nel panorama italiano) da Asor Rosa sul tema «disastro Italia», sarebbe forse opportuno lasciare lo spazio e l’opportunità per parlare anche del disastro conseguente alle nostre idee antiecologiche (non meno dannose dei combustibili fossili) che pure albergano nella sinistra. Idee come: competizione, efficacia, efficienza, modernismo, innovazione, velocità (alta velocità)… e la lista sarebbe assai lunga a volerla stendere.