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8 marzo: assemblea della Rete.

Un anno di lavoro: ipotesi, progetti e lotte per il futuro.

1. Sintesi del lavoro fatto.

Per la Rete dei Comitati per la Difesa del Territorio il 2013 è stato un anno di intensa attività. Oltre alla consueta attenzione alle vertenze in atto è stata elaborata la ‘Piattaforma toscana’, un documento che nasce dal durevole interscambio con le associazioni e i comitati e rappresenta il frutto degli ultimi anni di lavoro della Rete. In essa sono esaminati e riuniti in un unico testo i principali aspetti della situazione ambientale, territoriale, urbanistica e paesistica della Regione Toscana.

La Piattaforma è stata presentata e discussa nel corso dell’Assemblea plenaria dei comitati del 3 febbraio 2013. Sulla scorta di quel lavoro è stato possibile instaurare un dialogo più strutturato con la Regione Toscana, che ha avuto inizio il 15 aprile con il primo incontro tra tra la Giunta regionale e la Giunta della Rete, durante il quale è stata consegnata la Piattaforma al presidente Rossi ed agli assessori.

In quella occasione sono state consegnate anche 9 schede, riguardanti:

1. Il dissesto idrogeologico;

2. Lo sfruttamento fuori norma e misura delle risorse energetiche;

3. La distruzione delle Alpi Apuane;

4. La revisione della Legge 1 e il nuovo Piano paesaggistico regionale;

5. La situazione urbanistica fiorentina;

6. La questione della Piana fiorentina;

7. La “nuova questione agricola” (cui, connessa, aderisce la problematica dei “parchi agricoli”, di cui, a mo’ d’esempio, viene chiamata in causa la Val d’Orcia);

8. Il “corridoio tirrenico”;

9. Il sotto-attraversamento ferroviario di Firenze.

2. Il confronto con la Giunta Regionale Toscana.

Nel corso del 2013 si sono tenuti complessivamente due incontri tra la Giunta regionale e la Giunta della Rete e quattro incontri con gli assessori Bramerini, Ceccarelli e Marson.

In coerenza con la propria ragione sociale la Rete ha condiviso l’organizzazione e la partecipazione agli incontri con gli esponenti dei comitati di volta in volta interessati.

La discussione ha affrontato alcuni degli argomenti di più rilevante interesse regionale: l’assetto urbanistico della piana fiorentina, con particolare riferimento al Parco della Piana e all’ampliamento dell’aeroporto Leonardo da Vinci; il sotto-attraversamento TAV di Firenze e la politica trasportistica regionale e nazionale; il corridoio tirrenico; la geotermia, le prospettive di sviluppo in particolare della media entalpia, l’impatto dell’alta entalpia; le attività estrattive nelle Apuane, il rapporto tra queste ed il Parco delle Apuane, la sostenibilità di queste attività e l’impatto sul territorio.

A corollario dei principali temi siamo entrati nel merito dell’attività legislativa della Regione, in particolare della legge urbanistica (ex LR 1/05), del Piano paesaggistico (per cui si veda più avanti), della futura legge sulle attività estrattive, della futura legge sulle aree protette. La Rete si è inoltre espressa sul Piano Ambientale ed Energetico Regionale (PAER) e su alcuni altri elementi ed aspetti della produzione normativa ed amministrativa regionale.

In merito alla discussione con la Regione il bilancio è articolato, è stato certamente utile a comprendere meglio alcune posizioni strategiche dell’Ente e degli assessorati, quindi a meglio articolare critiche e contributi: siamo convinti di aver apportato riflessioni non banali all’attenzione degli assessori.

In generale riteniamo di aver messo nell’agenda dell’amministrazione regionale maggiore attenzione alle questioni che ci sono care, a fronte dell’oggettiva osservazione che da parte delle forze politiche nazionali il ruolo riservato nel dibattito pubblico ai temi dell’ambiente, del territorio, del paesaggio, dei beni culturali, risulta più che modesto.

Abbiamo persino la presunzione di pensare che questa Giunta regionale, per l’incisiva azione della Rete nel periodo 2007- 2010, sia nata con qualche attenzione alle attese della ReTe stessa.

3. Un giudizio di massima sull’attività legislativa della Regione in materia urbanistica e paesaggistica.

La proposta di riforma urbanistica in discussione nel Consiglio regionale della Toscana è un provvedimento ampio e complesso, che affronta tutte le questioni del governo del territorio: dalla prevenzione e mitigazione dei rischi sismici e idrogeologici alla valorizzazione dell’attività agricola e del mondo rurale; dal rafforzamento dei poteri d’intervento regionali alla riorganizzazione delle procedure relative all’informazione e alla partecipazione.

Ma la svolta rispetto alla precedente esperienza legislativa riguarda l’inibizione del consumo di suolo, mediante la suddivisione del territorio in due categorie: quella urbanizzata e quella rurale. All’interno della prima deve essere concentrato ogni nuovo intervento di nuova edificazione o di trasformazione urbanistica. All’esterno del territorio urbanizzato non sono consentite nuove edificazioni residenziali.

Il disegno riformatore della Toscana in materia di assetto del territorio è completato con la formazione del nuovo Piano paesaggistico, anch’esso in discussione in Consiglio regionale. Un piano non più di solo indirizzo dell’attività comunale, sostanzialmente autonoma, ma di regole e procedure cogenti cui sono tenuti a uniformarsi gli altri piani e programmi di livello regionale e locale, nel rispetto del Codice dei beni culturali e del paesaggio.

Questi due elementi normativi, nuova legge urbanistica e Piano paesaggistico – qualora venissero approvati senza stravolgerne i principi ispiratori e risultassero efficacemente applicabili – giustificherebbero la speranza che in Toscana la stagione degli ecomostri e delle villette a schiera possa concludersi.

4. Una più forte dimensione politica della Rete.

Per aggredire l’impostazione retriva della politica tradizionale – che le cronache mostrano troppo spesso interessata a mantenere una non commendevole prevalenza economicista e speculativa su ogni altro valore e prospettiva – ci pare necessaria una più forte dimensione politica della ReTe, una diversa politica: nel senso della polis e non dell’impegno di carattere partitico, in coerenza con l’enunciato presente nella Piattaforma Toscana “La prospettiva politica in cui sincolloca la ReTe salda la difesa e la valorizzazione di territorio, ambiente e paesaggio con le questioni dell’occupazione e del reddito.”.

Tale obbiettivo presuppone un rapporto forse maggiore, certamente diverso con i comitati: la Rete non come mero strumento di supporto all’azione dei comitati ma come reale e riconosciuto luogo di elaborazione e confronto collettivo, tra e con i comitati, tra e con diverse componenti sociali.

E’ quanto nel corso della nostra storia, abbiamo definito come “neoambientalismo”: ossia un ambientalismo che nasce dal basso, si dirama in tutte le direzioni di lotta, esprime gli interessi più diretti della cittadinanza, ma è capace anche di elaborare una visione strategica generale e di aggredire con efficacia i livelli delle istituzioni e dello Stato. Non rifiutiamo, come altri fanno, l’organizzazione democratica della rappresentanza; ma pensiamo di esprimere un’altra forma della rappresentanza, quella che si muove nel circuito stretto e diretto fra cittadinanza e Comitati.

5. Una nuova fase costituente.

L’assemblea plenaria dei comitati che ci accingiamo ad affrontare è propedeutica a quella immediatamente successiva, che vedrà il rinnovo della Giunta della Rete. Entriamo quindi in una fase di rinnovamento, una fase costituente dove la qualità e la quantità della partecipazione dei comitati, e delle persone vicine alla Rete, condizionerà la possibilità di dare alla Rete quella dimensione politica che serve ad essere ancora più efficacie nel portare all’attenzione dei decisori regionali le istanze dei comitati, nel quadro politico di grande respiro delineato con la Piattaforma toscana.

Febbraio 2014

Comunicato stampa del primo ottobre.

Comunicato Stampa
 
 
Con l’intervista ad Alberto Asor Rosa, su La Repubblica del 6 ottobre.

 

Nel corso degli ultimi mesi la Rete dei Comitati per la difesa del territorio ha aperto un confronto proficuo con la Giunta Regionale Toscana, soprattutto in vista dell’adozione e della riforma di provvedimenti legislativi riguardanti l’ambiente e il territorio, quali il Piano paesaggistico regionale, di grande importanza, e la modifica della Legge R. 1/2005.

Restano sul tappeto, tuttavia, ingenti problematiche, in gran parte eredità del passato, che il Presidente Rossi, nel corso di un incontro con noi, ha, con elegante eufemismo, definito il frutto della “continuità istituzionale”.

Sono, per fare gli esempi più clamorosi:

  • la Piana di Firenze, dove, con delibere che fanno a pugni con loro, la Regione istituisce contemporaneamente un Parco agricolo regionale e la seconda pista dell’aeroporto di Firenze;
  • la distruzione delle Apuane, dove un Parco insufficiente e traditore non riesce neanche a limitare i danni di una speculazione onnivora;
  • l’imponente espansione dello sfruttamento energetico sull’Amiata, dove, se non bastassero i danni apportati finora al benessere e alla salute dei cittadini, proprio in questi giorni si vorrebbe procedere con l’illegittima realizzazione della nuova centrale di Bagnore 4;
  • la veramente sciagurata realizzazione del sottoattraversamento ferroviario di Firenze, di fronte al quale impallidisce persino la pluriennale vicenda dello sventramento valsusino.

Per giunta, le recenti indagini della magistratura hanno fatto cadere su alcune di queste vicende l’ombra intollerabile di un malaffare paramafioso. E lo smantellamento dell’Ufficio VIA regionale ha seguito e fin troppo avvedutamente accompagnato tale processo.

È arrivato il momento di mettere in discussione la “continuità istituzionale”, se è il frutto, come pare, di una distorsione profonda nel modo di trattare i cittadini, il loro benessere e la loro salute, l’imprescindibile criterio della partecipazione (a cui tutti i passaggi successivi dovrebbero da questo momento in poi essere sottoposti).

La Rete auspica che La Regione Toscana operi rapidamente con questo spirito e in questa direzione.

Per la Rete dei Comitati per la difesa del territorio,
Alberto Asor Rosa

Se finisce la terra

avatars-000022990785-ytz6xr-original-586x441Intervista di Franco Marcoaldi con PASCAL ACOT, La Repubblica, 16 Settembre 2013.

Era nelle cose che la nostra inchiesta sui rischi della “fine del limite” affrontasse anche il limite ultimo e ineludibile rappresentato dalla Terra, verso la quale continuiamo a comportarci secondo una logica di rapina cieca e scriteriata. Per rendersene conto basta leggere, tra i tanti, i bei libri che Pascal Acot ha pubblicato in Italia da Donzelli, Storia del clima e Catastrofi climatiche e disastri sociali. Ma la posizione del ricercatore francese è tanto più interessante perché non si appiattisce sulle tendenze ecologiste oggi più in voga. Con le quali anzi, spesso e volentieri, polemizza apertamente.

«Se pensiamo al nostro rapporto con la Terra, il problema del limite si pone sia in materia di risorse (energetiche, minerali, biologiche), che di crescita demografica. Entrambe oggetto di valutazioni controverse. Secondo alcuni, grazie a tecnologie sempre più raffinate, l’umanità sarà comunque in grado di trovare nuove risorse e occupare nuovi spazi. Dunque la crescita, in termini di ricchezza, non cesserà mai. Si tratta di una semplice credenza, perché nessun dato scientifico ci consente di suffragare tale ipotesi. Per contro, coloro che considerano le risorse limitate si appoggiano su costanti di ordine termodinamico: il globo terrestre è un sistema fermo perché non può scambiare materia con il resto dell’universo, pur utilizzando l’energia di calore che proviene dal sole. L’obiettivo dunque diventa quello del riciclaggio o della scoperta di nuovi tipi di risorse, ma non sempre questo è possibile. Senza contare che il rinnovamento naturale di alcune di esse, come per esempio il fosforo sotto forma di fosfati, è troppo lento. Questa posizione è fatta propria dai fautori delle politiche di austerità e dai partiti ecologisti, che difendono l’ossimoro della cosiddetta “abbondanza frugale”».

Sembrano due posizioni assolutamente
inconciliabili.
«Almeno in linea di principio si può però superare tale antagonismo ponendo la questione in questi termini: le risorse del pianeta non sono affatto illimitate, ma non sono neppure limitate in modo fisso e predeterminato. Bisogna far propria un’idea dinamica di limite, utilizzando al meglio i progressi compiuti e concentrando l’attenzione su una gestione razionale delle risorse. Innanzitutto proscrivendo tutte quelle produzioni che soddisfano soltanto bisogni immaginari o dettati da una mera logica di profitto e sopraffazione. Penso ad esempio agli Ogm, alle monocolture su base industriale che mettono in ginocchio le coltivazioni tradizionali. E penso anche al ritardo criminale in materia di transizione energetica al fine di rimpiazzare le risorse fossili con risorse rinnovabili. Senza contare, da ultimo, gli effetti disastrosi delle delocalizzazioni e della mondializzazione, a partire dai costi spropositati dei trasporti».

Lei insomma sposta l’attenzione dal rapporto ecologico uomo-natura a un piano più squisitamente politico.
«Assolutamente sì. La qualità delle relazioni tra gli esseri umani e la natura è strettamente legata al rapporto che gli esseri umani instaurano tra di loro. Il saccheggio delle risorse umane si accompagna sempre al saccheggio delle risorse naturali. Se i rapporti sociali sono brutali e violenti, allora si verifica ciò a cui assistiamo oggi: la razzia indiscriminata dell’ambiente e la devastante mercificazione del patrimonio comune. Al contrario, in un mondo in cui prevalessero rapporti sociali più equi e rispettosi, si potrebbero creare le condizioni di un rapporto più armonioso anche con il pianeta».

Da qui anche una sua vis polemica contro certo ecologismo.

«Io riconosco a tutto il movimento ecologista uno straordinario merito: quello di aver posto all’attenzione dell’opinione pubblica mondiale il rischio enorme dell’attuale situazione. Però non condivido alcuni aspetti dell’ideologia ecologista, lo svilimento dell’umanità rispetto a una fantasmatica “natura” che va protetta come una reliquia. Ad esempio, i fautori della decrescita felice non vedono che il problema vero è quello della ripartizione più equa delle risorse. Oppure, tanti ambientalisti pensano che tutto possa risolversi con un generico appello alla coscienza individuale. Ma che senso ha affermare che l’Uomo, in quanto tale, è colpevole? Che siamo tutti colpevoli in eguale misura? Che tutto si risolve attraverso il mutamento delle nostre abitudini? Non è vero. E sono i numeri a dircelo. Io posso anche convertirmi all’auto elettrica, ma il mio gesto risulterà ininfluente se si continua a perseguire la logica folle della mondializzazione nella circolazione delle merci, con l’emissione spropositata di combustibili fossili necessaria al loro trasporto. Mi chiedo: quando finirà l’assurdità di gamberetti pescati nella baia di Baffin, sgusciati in Marocco e impacchettati in Danimarca che arrivano poi sugli scaffali dei nostri centri commerciali? Magari ad opera di quelle stesse catene distributive che hanno anche la faccia tosta di spingerci ad acquistare buste di plastica ecologiche con il logo del Wwf».

Lei però è anche molto critico sull’eventualità che la politica affidi le sue scelte a quanto indicato dalla comunità scientifica.
«È un’idea rovinosa. Intanto perché la scienza non è affatto neutrale. È condizionata da mille fattori: i pregiudizi del momento, l’ideologia delle classi dominanti, la logica del profitto, il percorso biografico degli scienziati, gli investimenti verso questo o quel settore di ricerca a scapito di altri. No, io continuo a credere che solo all’interno di un autentico processo democratico gli uomini possano finalmente riappropriarsi del loro destino, e invertire la rotta che ha condotto a mille catastrofi: da Bhopal a Chernobyl. I veri produttori della ricchezza – coltivatori, tecnici, allevatori, pescatori – sono stati espropriati degli strumenti necessari per intervenire sui processi che hanno portato a quelle sciagure. E questo è accaduto sia all’interno delle società cosiddette socialiste che in quelle liberali. Ciò detto, certo, la politica deve saper ascoltare quanto la scienza le dice. E la scienza ci dice in modo inequivocabile che l’attività dell’uomo influisce sul clima del pianeta e che, se non si fa nulla per bloccare il riscaldamento globale, si va verso il disastro».

Lei ritiene che siamo già arrivati a un punto di non ritorno?
«Posso solo dirle questo: il tempo della politica e quello dell’ecologia non combaciano. La politica ha uno sguardo sempre più corto, mentre, se anche noi oggi prendessimo finalmente le decisioni giuste, gli effetti benefici si vedrebbero soltanto dopo molto tempo, a causa delle inerzie ecologiche su scala planetaria. Provo a spiegarmi con un’immagine che ho già utilizzato in altre occasioni: è come se fossimo a bordo di un camion e, nell’imminenza di un potenziale incidente, decidessimo all’improvviso di frenare. Ma l’inerzia è tale che il camion, prima di fermarsi, percorrerà ancora un bel tratto di strada. Inutile aggiungere che non stiamo affatto frenando, ma al contrario
continuiamo a correre a rotta di collo….».

Quindi?
«Quindi, sulle cause astronomiche dell’andamento climatico non possiamo certo intervenire, ma sui fattori che dipendono da noi sì: in particolare, sulle emissioni di gas a effetto serra. Non è detto che tutto ciò sia sufficiente, ma è evidente che non si può assolutamente eludere quel passaggio. L’ho già scritto e lo ripeto qui: siamo nella stessa situazione di Pascal rispetto a Dio; pur non esistendo la prova, lui scommise sulla sua esistenza. E noi a nostra volta dobbiamo scommettere che non sia troppo tardi per salvare la specie umana e il pianeta Terra. Anche se le confesso che, a momenti, mi sembra una scommessa disperata».

 

Vi ricordate gli “ambientalisti in cachemere”?

Mps, Antonella Mansi presidente della Fondazione. La decisione presa all’unanimità dalla deputazione generale di Palazzo Sansedoni 
(da La Repubblica, 3 settembre 2013).

E noi ripubblichiamo alcuni stralci dell’intervista di Mauro Bonciani sul Corriere Fiorentino, di mercoledì 12 Ottobre 2011.

Antonella Mansi, presidente di Confindustria Toscana, è appena tornata da San Casciano.

È stata invitata o ha chiesto lei di partecipare all’incontro?

«Sono stata invitata, penso per aver preso il caso Laika come paradigmatico dell’ambientalismo in cachemire che blocca lo sviluppo e che, come ho detto nella relazione all’assemblea del 23 settembre a Firenze di Confindustria Toscana, tiene in ostaggio 3 milioni e mezzo di persone. Qualcuno guarda ancora al modello dello sviluppo lento, che è stato un gigantesco abbaglio con un conto sociale ed economico salatissimo per la nostra regione».

Non pensa che sia una presa di posizione troppo facile parlare di «ambientalismo in cachemire» quando l’esigenza di un nuovo equilibrio tra sviluppo e territorio è ormai patrimonio di tutti?

«Non solo l’ambientalismo in cachemire esiste ed è radicato più di quanto si creda, ma in Toscana dimostra una capacità di sopravvivenza incredibile.Al di là dei pregiudizi ideologici, qui si parla di un processo trasparente, del sì della soprintendenza allo spostamento e valorizzazione dei reperti trovati, di un privato che ha seguito tutte le procedure e che investirà 400 mila euro nella valorizzazione dei reperti.Il problema nasce dalla distorsione dei fatti, dalla volontà di una piccola parte, che è portatrice di interessi particolari, di bloccare un investimento approvato da tutti i livelli competenti. È l’arroganza di chi vuole sostituirsi anche allo Stato».

Ma esiste o no l’esigenze di conciliare, diversamente dal passato, sviluppo e territorio?

«Non solo esiste, ma ne ho parlato quattro anni fa, al momento del mio insediamento. E come imprenditrice lo pratico ogni giorno, da 15 anni lo pratica la Nuova Solmine. Per noi è un’esigenza primaria far convivere la crescita dell’azienda con un territorio a forte vocazione turistica».

Gli industriali hanno quindi la coscienza a posto?

«Io ero a San Casciano come imprenditrice, non come presidente di Confindustria dato che Laika era rappresentata dai suoi vertici, e rispondo per me. Ogni giorno agiamo tenendo presente il territorio, il fatto che siamo un’azienda chimica sottoposta alla possibilità di incidenti gravi. E non solo non abbiamo avuto incidenti, ma abbiamo emissioni bassissime. La mia storia imprenditoriale è quella di tanti altri, perché nel Dna della Toscana c’è la produzione industriale e se il nostro territorio è come lo abbiamo oggi è anche merito degli industriali. Occorre un piano Marshall per gli investimenti, altro che comitati..».