Casetta libera” per tutti: Renzi peggio di Silvio

case_mobili_su_camion2di TOMASO MONTANARI, Il Fatto Quotidiano, 20 Maggio 2014.

La riforma della P.A. annunciata dal premier Matteo Renzi e dalla ministra Marianna Madia prevede di superare i “blocchi” dei pareri paesistici e delle Soprintendenze (“dobbiamo ridurre i casi in cui il parere serve”, ha detto Renzi). La filosofia sottostante è quella espressa da Giovanni Valentini su Repubblica: le soprintendenze “troppo spesso” sarebbero “di freno e ostacolo allo sviluppo”. Galoppando su questa linea, che si potrebbe chiamare delle mani (libere) sul territorio, alcuni senatori del Partito Democratico hanno usato la legge di conversione del cosiddetto Decreto Casa (sarà approvata definitivamente oggi, dopo che ieri la Camera ha detto sì alla questione di fiducia del governo) per imbucare un articolo che allarga la possibilità – già concessa dal lettiano decreto del Fare – di installare ovunque “case mobili” senza chiedere alcun permesso di costruire.

Così le piazzole per tende dei campeggi di tutta Italia potrebbero trasformarsi per incanto in altrettante schiere di casette e bungalow: e, chissà, un domani potrebbero mettere radici e trasformarsi in vere case di vero cemento. Molte recenti sentenze dei Tar, del Consiglio di Stato e della Cassazione hanno invece ribadito che se questi insediamenti sono permanenti (per esempio attraverso l’allaccio alle reti idriche, energetiche e fognarie ), essi incidono sul territorio e dunque devono passare attraverso tutti i vagli di legge. Al contrario, l’emendamento del Pd permette di fare esattamente quel che sognano Renzi e Madia, e cioè aggirare piani regolatori, piani paesaggistici e vincoli e costruire ovunque: perfino nei parchi nazionali o in aree archeologiche. Un parere dell’Ufficio legislativo del Mibac ha cercato di circoscrivere le nefaste conseguenze di questo punto del decreto del Fare, chiarendo che le autorizzazioni paesaggistiche non possono essere omesse: ma si tratta pur sempre solo di un parere, e questa nuova riscrittura della legge rischia di aprire un grosso varco. Un varco alla costruzione di strutture ufficialmente mobili, è vero: ma la storia italiana insegna che non c’è niente di più stabile dell’effimero. E le nostre pinete e le nostre coste non hanno certo bisogno di un’ondata di urbanizzazione selvaggia.

Il simpatico grimaldello distruggi-paesaggio, introdotto in Senato, da oggi sarà legge grazie alla scelta del governo di includerlo nel pacchetto sottoposto a duplice voto di fiducia, che rende nere tutte le vacche nella notte della democrazia. I promotori sono stati quattro senatori pd: Stefano Collina, primo firmatario, eletto in Emilia Romagna, Mario Morgoni, eletto nelle Marche, Andrea Marcucci e Manuela Granaiola, entrambi eletti in Toscana ed entrambi firmatari nel novembre scorso di un emendamento che aveva l’obiettivo di vendere ai proprietari degli stabilimenti balneari le spiagge demaniali che hanno in concessione per “contribuire al risanamento dei conti pubblici”. Un provvedimento che hanno poi dovuto ritirare, sommersi dall’onda di sdegno suscitata da un’idea di svendita dei beni comuni tanto intimamente berlusconiana.

È da notare che Marcucci (già Pli, già Lista Dini, già Margherita, ora renziano di ferro) è stato sottosegretario ai Beni culturali (e dunque anche al paesaggio) ed è ora nientemeno che presidente della commissione Cultura del Senato. Difficile liquidare questa uscita come l’iniziativa estemporanea del primo che passa: è invece un segno del fatto che la “Svolta buona” di Renzi rischia di avere un inconfondibile color cemento. E c’è da chiedersi se non sia proprio a causa di questo orientamento “maniliberista” del senatore Marcucci se la commissione del ministero per i Beni culturali (presieduta da Salvatore Settis, che certo ha un altro orientamento) che dovrebbe revisionare il Codice dei Beni culturali e del paesaggio non sia ancora riuscita, dopo nove mesi dalla nomina, ad avere la delega dal Parlamento.

Il caso è stato sollevato pubblicamente dal consigliere nazionale di Italia Nostra Emanuele Montini, e inutilmente nelle ultime ore il blog Carteinregola (che riunisce centotrenta associazioni e comitati romani) ha scritto ad ogni deputato “sperando che qualche politico di buon senso, come è già successo per la privatizzazione delle spiagge,faccia sentire la voce dei cittadini più forte di quella delle lobbies”.

Antonio Cederna non si stancava di ripetere che bisogna stare attenti “perché sennò ci strappano il territorio da sotto i piedi, perché l’Italia è il Paese più provvisorio che ci sia”. È ancora così. Il Paese è terribilmente provvisorio, ma le case provvisorie di cui Marcucci & c. vorrebbero coprirlo rischiano, invece, di essere eterne.

Per gli sviluppi si veda anche http://carteinregola.wordpress.com/

Cave di Carrara: i beni estimati non sono privati.

imageSecondo il parere arrivato al Comune l’editto del 1751 sancì solo diritti di godimento e non di proprietà  ».

Da Il Tirreno, 8 maggio 2014. CARRARA I beni estimati non sono privati: questo il parere ufficiale del professor Emanuele Conte dell’Università di Roma Tre a cui l’Amministrazione Comunale si era rivolta per dirimere la questione delle cave intestate a soggetti privati e che il primo febbraio 1751 erano iscritte da oltre 20 anni negli Estimi dei Particolari. Con il suo famoso editto, Maria Teresa Cybo Malaspina duchessa di Massa e Carrara, volle disciplinare le concessioni degli agri marmiferi che facevano parte dei beni delle Vicinanze carraresi. E così tutelò i soggetti privati “possessori” ultraventennali delle cave vicinali. Le Vicinanze furono soppresse nel 1812 per volere del principe di Lucca e Piombino, Felice I Baciocchi, investito dei poteri anche sul ducato di Massa e Carrara. Il dominio delle Vicinanze si trasferì ai nuovi soggetti di diritto pubblico fino all’ordinamento attuale. La patata bollente è passata al Comune. Ieri 7 maggio il parere è stato distribuito ai membri della Commissione Comunale Marmo presieduta da Massimo Menconi. Secondo il professor Conte, l’editto di Maria Teresa non ha attribuito la proprietà piena e perfetta dei fondi concessi ai soggetti iscritti nell’estimo come possessori, ma ha consolidato il godimento di quei beni. C’è da ricordare che un tempo le concessioni erano perpetue e non onerose. Il Comune nel 1994 ha adotto un regolamento degli agri marmiferi abrogando, sottolinea Conte, la disciplina estense «benché sussistano in dottrina isolate voci dissenzienti». Insomma, le cave sono state identificate come patrimonio indisponibile del Comune, ma la questione dei Beni estimati, intestati al catasto come piena proprietà, è rimasta aperta. Non soggiacciono al regime concessorio pubblicistico che prevede l’acquisizione a titolo oneroso del diritto di escavazione. Cioè il canone comunale. Secondo le conclusioni dell’esperto incaricato dal Comune di dare il parere, «Conservando il dominio eminente sui terreni concessi, le Vicinanze hanno trasferito il proprio astratto diritto agli enti pubblici che hanno rilevato la titolarità pubblicistica dei territori in questione, giacché su di essi né il diritto comune degli ordinamenti previgenti, né successivamente il diritto pubblico e privato degli Stati preunitari, del Regno d’Italia e infine della Repubblica, ammettevano né ammettono usucapione né prescrizione acquisita». La relazione del prof. Conte, ricevuta dal Comune in aprile ma diffusa solo il 7 maggio, ha avuto ieri un primo passaggio nella Commissione Marmo dove sono intervenuti il vice sindaco Andrea Vannucci e il dirigente Marco Tonelli. Di fatto ora il Comune, confortato da tale parere, procederà ad una nuova regolamentazione, tesa a cancellare di fatto i beni estimati, in sinergia con la Regione che sta mettendo mano alle legge 78/98. Probabilmente ci sarà un periodo di transizione più o meno lungo.«Le conseguenze – ha detto Vannucci – sono: contenuto economico, possibilità di affidamento di tutte le concessioni con procedura di evidenza pubblica. Il parere ci conforta». Obiezioni da parte dei consiglieri De Pasquale (5 Stelle) e Bienaimé (Carrara bene comune, Idv, Verdi e Fabbrica della sinistra) la quale ha alzato i toni della discussione in Commissione contestando l’operato dell’amministrazione. Vannucci ha replicato che il regolamento degli agri marmiferi del 1994 si è occupato essenzialmente delle concessioni pubbliche, ma non risolse il problema dei Beni estimati. Il vice sindaco rispetto al parere avuto dal Comune, prevede ricorsi da parte di chi ha i Beni estimati: «Non credo ci siano intenzioni bellicose, quanto conservatrici. Ma, o si evolve il sistema o il sistema crolla. Il cambiamento è l’unica garanzia per la continuità dell’attività alle cave. Sì, ci aspettiamo ricorsi ma secondo me se ci saranno, faranno un danno alla collettività CARRARA. La consigliera comunale Claudia Bienaimé commenta: «I beni estimati non costituiscono diritti privati ma semplici diritti di godimento». Sostiene che il professor Conte «non fa che ribadire ciò che anche altri in passato avevano sostenuto, ricordiamo i pareri dei Dott.ri Battistoni Ferrara, Piccioli e Barile che affermavano un’unica verità: Maria Teresa con il suo editto volle ribadire che gli agri marmiferi erano di proprietà delle Vicinanze (oggi Comuni) e che gli occupanti senza titoli sarebbero stati iscritti in catasto ma prevedeva a loro favore solo un diritto di godimento e non un diritto di proprietà, stante che il dominio diretto rimaneva in capo alle Vicinanze. Questo principio della proprietà di tutte le cave in capo al Comune venne ribadito in tutti gli atti successivi in particolare nel Catasto estense del 1824 e nel regolamento comunale approvato nel ’94. Questa vicenda – conclude la consigliera – chiude una fase dove vi erano cavatori di serie A, di serie B; e chi paga e chi non paga».

Il commento di Legambiente, su Greeen Report, 14 maggio

Cave, i beni estimati sono pubblici: inizia il coro dei piagnistei? Non si è ancora spenta l’eco della divulgazione del parere giuridico che conferma la proprietà pubblica dei beni estimati e già iniziano a levarsi le prime voci di quello che, immaginiamo, diventerà un coro straziante volto a impietosire i carraresi sul triste destino che ha colpito i titolari di beni estimati. Gara pubblica per le concessioni di cava: un vero esproprio? Apre il coro il titolare della cava Artana B, preoccupato dalla prospettiva che le concessioni siano assegnate mediante gara pubblica e, pertanto, la sua cava, acquistata dal nonno, domani possa essere assegnata ad altri. Gli alti lai, peraltro, sono accompagnanti dall’esclamazione «se il Comune la metterà a gara, sarà un vero e proprio esproprio!», rivelatrice della convinzione che i beni estimati siano proprietà privata, come i titolari hanno sempre rivendicato. Non mancano le solite argomentazioni, economiche (se acquisto macchinari e poi perdo la cava, come li ripago?) e perfino ambientali (se sapessi di avere la cava per un periodo limitato scaverei a man bassa senza curarmi delle conseguenze, lasciando i problemi al concessionario successivo). Segue la proposta: fateci pure pagare il canone come gli altri, ma non mettere a gara le cave e lasciatele alle famiglie che hanno pagato quei terreni. Primi appoggi politici: il soccorso azzurro. A loro supporto, in perfetta sincronia, interviene il centrodestra locale sostenendo che i beni estimati devono essere considerati come un “affitto perpetuo” e quindi i titolari di cava sono come inquilini che devono pagare l’affitto, ma non possono essere sfrattati. Concedi un dito e ti prendono il braccio. Sembra di assistere alla stessa recita già inscenata dai balneari contro la direttiva Bolkestein: in tanti anni di concessione demaniale abbiamo migliorato la spiaggia e fornito servizi, ed ora avete il coraggio di mettere a gara il frutto del nostro lavoro? È evidente il totale capovolgimento del concetto di concessione: anziché ringraziare perché è stato loro “concesso” di sfruttare (per un dato periodo e a certe condizioni) un bene pubblico, rivendicano il “diritto” di continuare ad usufruirne indefinitamente. Allo stesso modo, i titolari di beni estimati, anziché ringraziare per aver sfruttato per decenni le cave (senza peraltro pagare alcun canone!), si atteggiano a povere vittime e rivendicano di fatto la perpetuità della concessione (peraltro mai rilasciata). Sembrano dimenticare che da ormai venti anni la Corte Costituzionale ha sentenziato l’onerosità e la temporaneità delle concessioni e che il Comune (non solo per rispettare le direttive europee) è tenuto a mettere a gara le cave (suoi beni indisponibili), evitando rendite di posizione nell’interesse di tutti i carraresi. Gara pubblica: uno stimolo positivo anche per l’imprenditoria. Merita ricordare infine che l’assegnazione mediante gara pubblica delle concessioni (per le quali proponiamo una durata decennale) è uno stimolo al continuo miglioramento dell’imprenditoria del marmo e delle ricadute sulla città: se il Comune accoglierà la nostra proposta, infatti, le cave saranno assegnate a chi avanza la miglior offerta economica, garantisce la maggior percentuale di blocchi lavorati in loco (quindi maggior occupazione), il minor impatto ambientale e il piano d’escavazione più razionale. Se gli attuali titolari sapranno raccogliere la sfida non avranno nulla da temere: potranno addirittura assicurarsi la concessione di una cava migliore dell’attuale. Legambiente Carrara http://www.greenreport.it/news/urbanistica-e-territorio/cave-i-beni-estimati-pubblici-inizia-coro-dei-piagnistei/#prettyPhoto

Rassegna Stampa

Febbraio 2014

DOSSIER APUANE

 DOSSIER AEROPORTO

 

 

Il sindaco come il vecchio podestà.

S.SEDE-ITALIA: PAPA SALUTA RENZI A FINE CONCERTOdi Paolo Berdini, il manifesto, 10 gennaio 2014.

Con la bozza del Job­sAct, Mat­teo Renzi ha ini­ziato a ren­dere chiaro il peri­me­tro cul­tu­rale in cui intende muo­versi. E oltre alle pun­tuali osser­va­zioni cri­ti­che sul tema dell’occupazione scritte da Giu­seppe Alle­gri sul manifesto di ieri, c’è un punto della bozza – il capi­tolo 7 “buro­cra­zia” della parte dedi­cata al “sistema” — che apre un velo pre­oc­cu­pante sulle inten­zioni dell’astro nascente dell’afittica poli­tica italiana.

In que­sto caso al cen­tro della scena non ci sono i ragio­na­menti e le pro­po­ste sul lavoro. Al punto 7 si afferma che si intende appli­care alle strut­ture dema­niali ciò che vale oggi per gli inter­venti mili­tari. E’ scritto pro­prio così, e per essere ancora più chiaro: «I sin­daci deci­dono desti­na­zioni, parere in 60 giorni di tutti i sog­getti inte­res­sati, e poi nes­suno può inter­rom­pere il processo».

Il deli­cato pro­blema della deci­sione sull’utilizzazione degli immo­bili pub­blici dismessi diventa dun­que un pro­blema simile alla sicu­rezza mili­tare e a deci­dere deve essere una sola per­sona, il sin­daco, cal­pe­stando regole e demo­cra­zia, per­ché i con­si­gli comu­nali non sono nep­pure citati.

C’è in que­sta pro­po­sta una con­vinta aper­tura alla grande sven­dita dei beni pub­blici, un fatto di per sé molto grave e spe­riamo che den­tro il Pd si alzino voci con­tra­rie. Ma c’è soprat­tutto una gigan­te­sca que­stione democratica.

Il gruppo dei pen­sa­tori attorno al sin­daco di Firenze pensa evi­den­te­mente — spiace scri­verlo, ma è pro­prio così– al modello isti­tu­zio­nale del ven­ten­nio fasci­sta in cui era il pode­stà a deci­dere senza l’inutile impac­cio dei con­si­gli comunali.

Come è noto, è in atto una for­tis­sima pres­sione da parte dei grandi poteri eco­no­mici e finan­ziari per acca­par­rarsi a pochi soldi le pro­prietà pub­bli­che, dalle caserme ai beni dema­niali, come abbiamo visto nella recente discus­sione sul patto di sta­bi­lità quando tra le nuove misure era com­parsa (poi for­tu­na­ta­mente can­cel­lata) per­fino la ven­dita delle spiagge. Renzi si schiera dalla parte di que­sti poteri.

Il Job­sAct è ancora in forma di bozza, l’invito è a dare sug­ge­ri­menti e magari diranno che sul punto si sono sba­gliati: ma dalla sua prima scrit­tura si com­prende meglio quali siano i motivi pro­fondi dell’entusiasmo che Renzi ha riscosso da parte del sistema domi­nante eco­no­mico e della comu­ni­ca­zione: nep­pure Ber­lu­sconi, pur avendo appro­vato decine di leggi dero­ga­to­rie, era riu­scito a pen­sare una norma di que­sto tipo.

Renzi va oltre, rompe ogni indu­gio e si accre­dita come colui che demo­lirà ogni resi­dua regola nelle città e nell’ambiente. Il modello della riforma elet­to­rale chia­mato del “sin­daco d’Italia” non poteva avere peg­gior preludio.

E per meglio pre­ci­sare il con­cetto di demo­cra­zia che ha in mente, il gruppo ren­ziano, alla con­clu­sione del citato arti­colo 7 afferma che non sarà più pos­si­bile chie­dere «la sospen­siva nel giu­di­zio ammi­ni­stra­tivo». I comi­tati che ani­mano le ini­zia­tive in tutta Ita­lia sono ser­viti: non deb­bono distur­bare il mano­vra­tore. Una norma pale­se­mente insen­sata e inco­sti­tu­zio­nale, per­ché non si pos­sono scon­vol­gere regole e il codice civile con la scusa della ven­dita degli immo­bili pub­blici: cor­re­ranno ai ripari, ma fin d’ora con­verrà stare molto attenti al Sin­daco d’Italia.