Piccoli aeroporti: perché non sono troppi da una Lettera a la Repubblica

LA LETTERA
Caro Direttore, negli ultimi tempi sui quotidiani nazionali sono state commentate le risultanze dello studio, ancora non ufficiale, di Nomisma, One Works e KPMG sul sistema aeroportuale italiano. Interessante ad esempio è risultato il pezzo pubblicato di recente da Ettore Livini relativo agli aeroporti di minori dimensioni. 
Ci permettiamo qui di svolgere alcune considerazioni al fine di evitare che un lavoro certamente ben fatto venga, ancor prima di essere formalmente diffuso, fatto oggetto di valutazioni sicuramente attraenti sotto il profilo giornalistico ma non utili ai policy maker  nazionali e locali.

Il primo aspetto che viene spesso sottolineato è quello relativo alla presenza nel nostro Paese di tanti (troppi) aeroporti di dimensioni minori. Ebbene, la presenza di una moltitudine di piccoli aeroporti non è una caratteristica esclusiva del sistema italiano. Anzi, la percentuale dell’offerta dagli aeroporti minori in Italia è inferiore a quella di quasi tutti i grandi paesi europei, con una quota del 53,3% contro una media del 62,0%. Se si analizza il numero complessivo di aeroporti con voli passeggeri schedulati, nel 2009 risultavano “attivi” in Italia 40 aeroporti, contro i 36 della Germania, i 43 della Spagna e i 66 del Regno Unito.
Rispetto ad altri Paesi europei, però, l’Italia è caratterizzata da una distribuzione della popolazione sul territorio molto più frammentata. Se si considera la percentuale della popolazione nazionale residente nelle cinque città maggiori, nel Regno Unito questo valore raggiunge il 35,1%, in Francia il 35%, in Spagna il 31,8%, in Germania il 22,5% e in Italia solo il 19,2%. Il traffico negli aeroporti italiani rispecchia quindi le caratteristiche della popolazione, con una maggiore dispersione della capacità. La maggiore frammentazione è anche motivata dalle caratteristiche del territorio peninsulare con presenza di catene montuose e di grandi Isole.
In quest’ottica, il sistema aeroportuale non appare inadeguato rispetto alle caratteristiche del territorio e anzi supplisce a carenze strutturali di altre modalità di trasporto, ferroviario in primis. La presenza di un aeroporto in certe regioni del centrosud e delle Isole (ma anche in alcune zone del centronord), rappresenta spesso l’unica possibilità per i territori di avere una porta di collegamento al resto dell’Italia e dell’Europa, con importanti ricadute sullo sviluppo sociale ed economico.
In Europa, negli ultimi 10 anni, i Paesi nei quali il trasporto aereo passeggeri ha avuto le crescite più rilevanti sono quelli dove il traffico è risultato meno concentrato negli aeroporti maggiori. Se il trasporto aereo in Italia, soprattutto sul corto e medio raggio, è cresciuto maggiormente rispetto ad altri Paesi Europei e la propensione all’utilizzo del trasporto aereo in Italia ha finalmente colmato la differenza rispetto alla media europea (fonte ICCSAI), il merito sta principalmente nei piccoli e medi scali che hanno rappresentato un terreno fertile allo sviluppo dei vettori lowcost.
Per i prossimi anni è ancora attesa una crescita significativa del traffico passeggeri. Più precisamente Eurocontrol stima per il periodo 20102016 una crescita media europea annua del 2,7% che per l’Italia sale al 3,5%. Per il nostro Paese, in termini cumulati, significa una crescita del 2325% rispetto ai valori 2009. Alla luce dell’ottimo andamento del traffico aereo passeggeri nel 2010 (+9,2% fino a settembre, fonte Assaeroporti), queste previsioni non sembrano affatto ottimistiche.
Le buone stime sulla crescita non si accompagnano tuttavia con gli investimenti per passeggero effettuati negli aeroporti italiani, che a causa del quadro di forte incertezza legato alle tariffe e più in generale all’intero sistema regolatorio, sono risultati molto inferiori, tra 1/5 e 1/4, rispetto alla media nei maggiori scali europei (Fonte ICCSAI). Se le cose non cambieranno, nei prossimi anni il sistema aeroportuale italiano rischierà il collasso, sia in termini quantitativi, con una domanda attesa superiore all’attuale capacità, sia in termini di qualità del servizio per i passeggeri.
In questo contesto, una strategia per lo sviluppo del trasporto aereo in Italia molto difficilmente potrà passare attraverso la chiusura dei piccoli scali, che potranno rappresentare vere e proprie “sacche di capacità”, anche per non vanificare gli investimenti già effettuati e alla luce dell’impatto ambientale, dei tempi e dei costi necessari per la costruzione di nuove piste negli aeroporti maggiori.
La specializzazione del ruolo degli scali che servono lo stesso sistema urbano potrebbe portare ad un migliore utilizzo della capacità esistente. Tale specializzazione, anche nei contesti multiaeroporto dove può essere applicata, deve necessariamente essere compatibile con le capacità e vocazioni dei singoli scali e con le caratteristiche dei relativi mercati.
La liberalizzazione del trasporto aereo ha portato in Italia enormi benefici, aumentando la mobilità delle persone e delle imprese, riducendone significativamente i costi, e portando sviluppo economico e turistico anche in aree altrimenti remote. Questo sviluppo è stato consentito da una politica che ha assecondato, in maniera forse talvolta inconsapevole, le forze del mercato, riducendo le barriere all’ingresso, anche grazie alle difficoltà economiche dell’operatore di bandiera, e permettendo di sviluppare una inedita e particolare  competizione tra aeroporti (grandi e piccoli) e compagnie aeree. È stata paradossalmente proprio l’assenza di una rigida pianificazione e allocazione della capacità che ha permesso di sfruttare potenzialità di crescita non anticipabili, quali l’improvviso sviluppo del mercato lowcost. E’ chiaro che ora occorre una correzione di rotta che ponga ciascun attore di fronte alle proprie responsabilità.
Il rapporto di Nomisma, One Works e KPMG per quanto a nostra conoscenza rappresenta un’accurata mappatura della situazione italiana ed è certamente un punto di partenza per l’impostazione di una politica di sistema, non solo aeroportuale, assai necessaria proprio in un contesto di scarsità delle risorse come quello attuale.
La ripartizione degli aeroporti in 3 categorie effettuata dallo studio è in primo luogo una valutazione di stato all’interno della rete dei collegamenti domestici e internazionali e non una patente di utilità dei singoli aeroporti.
Diverso il discorso relativo alla sostenibilità economica dei singoli scali e alla valutazione dei soggetti naturalmente abilitati al loro mantenimento. Certamente la dimensione, in una logica di soglia critica, rileva ma non è l’unico driver. Occorre valutare l’impatto complessivo della struttura aeroportuale sul sistema economico territoriale; questa  potrebbe peraltro essere la naturale prosecuzione del lavoro di Nomisma, One Works e KPMG.
Se si trasforma una ripartizione tecnica e corretta degli aeroporti in giudizio politico sugli stessi, dovremmo con lo stesso criterio chiudere gran parte degli impianti di risalita delle stazioni sciistiche, spesso sussidiati perché abilitanti di una vocazione territoriale. Oppure, alzando il tiro, dire che le piccole e medie università nel mondo sono tutte secondarie, Oxford e Cambridge comprese. Dobbiamo essere meritocratici, ovvero “entrare nel merito”.
Stefano Paleari
Renato Redondi
LA RISPOSTA
Gentile comitato, le considerazioni che si possono fare a margine della lettera a La Repubblica pubblicata nella Newsletter A-A di ieri* sono molteplici:
i) innanzitutto mi sembra superficiale la semplificazione per cui un aeroporto è merce che risponde alle logica del mercato e del fare profitto. In realtà si tratta di un bene particolare che definirei  di utilità e impatto pubblico. L’utilità marginale di un aeroporto non dipende solo dalla sua capacità di superare il punto di pareggio costi /ricavi e questo, come sappiamo, è funzione della massa critica (crescente) che è imposta dai vettori, ma anche dal peso dell’orma ambientale della sua presenza nel territorio. Inoltre in una condizione di scarsità di risorse è necessario selezionare gli investimenti pubblici in opere che presentano un maggiore utilizzo da parte della collettività. Paragonare la “vocazione territoriale” di un aeroporto a quella di un “impianto di risalita” riduce la questione alla considerazione iniziale di totale mercificazione;
ii) le statistiche riportate dai due professori specializzati in un ambito di ricerca riguardante l’assetto e la competitività del settore del trasporto aereo, con particolare riferimento alla connettività del network aeroportuale, alle strategie dei vettori low-cost e alla competizione tra i diversi attori della filiera. L’ipotesi che i piccoli aeroporti siano necessari si fonda:
1) sulla “ottimistica” previsione di un forte incremento della domanda di servizio aereo nazionale;
2)  sulla identificazione di tali aeroporti come vere e proprie “sacche di capacità”, anche per non vanificare gli investimenti già effettuati e alla luce dell’impatto ambientale, dei tempi e dei costi necessari per la costruzione di nuove piste negli aeroporti maggiori (il corsivo è tratto dall’articolo).
Il punto 1) si basa su di una dato spurio che non effettua i necessari distinguo tra uno sviluppo del traffico aereo dovuto alle effettive necessità del territorio (come può essere il caso delle realtà del paese più remote geograficamente) e quello privatistico indotto dalle strategie di  business delle compagnie low cost tendente alla massimizzazione del giro d’affari di tali società. In ogni caso l’efficientamento dei maggiori hubs aeroportuali collegati a un sistema capillare e concorrenziale di trasporti ferroviari può benissimo sostituirsi a tante realtà aeroportuali marginali rispondenti a “vocazioni territoriali” anche in presenza di un ipotetico boom da domanda.
Il punto 2) delle sacche di capacità e degli investimenti pregressi mi sembra del pari insostenibile. Infatti  un efficace utilizzo di tali sacche implicherebbe una organizzazione dinamica della rete aeroportuale nazionale quando ancora non esiste un piano definito del trasporto aereo. D’altronde è improponibile anche la tesi di una condizione di vischiosità degli investimenti, per la quale errori di valutazione relativi a passati investimenti in piccoli aeroporti (come Ampugnano) debbano generare una catena interminabile di altri errori di investimento, quando poi i finanziamenti sono di provenienza pubblica.
Luciano Fiordoni

>L’aeroporto di Ampugnano uno “status symbol” locale? di Luciano Fiordoni

>Contributo all’assemblea di Sovicille del 20-11-10

Un giorno aprendo la finestra di camera ho notato una grossa ruspa che scavava un enorme buco sul terreno del vicino. “Facciamo una piscina” mi fu detto “sai in campagna d’estate fa comodo e poi accresce il valore della proprietà”. Il buco fu foderato di un telo blu, colmato di acqua e additivi chimici, recintato per la sicurezza nonché infine attrezzato di sedie di plastica, dondolo e luci a palloncino per l’utilizzo notturno. Da allora, un motore, rompendo il silenzio delle campagna filtra incessantemente una massa di acqua che col tempo ha perso i suoi connotati originali.

L’utilizzo della piscina ha avuto un andamento gaussiano, dopo l’entusiasmo del primo anno le frequentazioni e i bagni si sono ridotti ed oggi è un puro simulacro dell’inutilità. Con il tempo si è pertanto posto il problema di dare un senso non alla sua presenza ma ai suoi costi non gaussiani. Lungi dall’optare per la chiusura del buco perchè segnerebbe una sconfitta dell’ego famigliare si è pensato di farci bagnare gli stranieri attirati da esperienze “agrituristiche” in Toscana mentre i proprietari si sono trasferiti in città.
A mio avviso tale vicenda ha evidenti similitudini con l’aeroporto di Ampugnano.
L’ostinatezza di mantenere in piedi una struttura aeroportuale costosa e praticamente inutile esula da motivazioni puramente razionali che imporrebbero la chiusura o il cambio di destinazione del sedime aeroportuale per debordare nell’irrazionale del mondo delle suggestioni di un certo provincialismo culturale locale.
Sul piano politico la razionalità imporrebbe da parte delle rappresentanze politiche trasparenza e condivisione delle scelte con i cittadini, l’irrazionalità/abuso di potere porta invece le stesse a operare scelte sotterranee e a negare l’evidenza dei fatti.
Che lo sviluppo di un aeroporto come Ampugnano sconti ormai una condizione di marginalità economica è opinione diffusa non solo tra la comunità di cittadini ma anche per alcuni organismi pubblici nazionali.
Lo ribadisce chiaramente:
i) uno studio sul sistema aeroportuale nazionale elaborato da One Works, KPMG e Nomisma per il ministero. Gli aeroporti con movimenti di passeggeri inferiori a 1 milione di unità hanno ragione di esistere solo se finanziati localmente con denari pubblici o privati. Sappiamo benissimo che il territorio di cui si parla non può sostenere un’ “orma ambientale” di tale misura, né esistono adeguate strutture di collegamento (strade, ferrovia etc) che possano avallare un processo di integrazione funzionale tra aeroporti (come affermato dall’attuale presidente della società aeroportuale). D’altronde il tentativo di trasformare tale bene in un’attività finanziaria da far circolare nel mercato internazionale dei capitali (operazione Galaxy) si è rivelata fallimentare nella forma e nella sostanza.
ii) uno studio ACI Europe sugli operatori aeroportuali europei da cui si evince che dei 404 aeroporti censiti, 371 sono a proprietà pubblica, 52 sono a capitale misto (pubblico- privato ma con il controllo pubblico) e 35 sono posseduti da privati. Naturalmente gli aeroporti privati sono quelli più grandi come London-Heathrow (BAA), Frankfurt (FRAPORT) and Moscow-Domodedevo (EastLine Group). Ancora più evidente la natura pubblica della proprietà se si guarda lo scenario europeo nel suo insieme come si evince dal grafico sotto riportato (elab.ne su dati ACI 2010).

Perchè allora questa ostinatezza a proseguire in un progetto costoso e di per sé senza prospettive future. Perchè abbattere una struttura aeroportuale per ricostruirla, perchè investire milioni di euro in un progetto destinato a perpetuare perdite di ricchezza?

Viene da pensare che un aeroporto rappresenti per le lobby di potere senesi uno status symbol come la piscina è uno status stymbol individuale e sia figlio di un modello culturale localista dove gli interessi privati riferibili ad una cerchia ristretta di persone/società prevalgono su quelli generali. Siamo nell’ambito delle motivazioni che esulano da principi razionali di responsabilità sociale ed economicità per debordare nel campo dell’emotività e delle suggestioni di gruppo dominante.

Sul piano sociologico potrebbe essere assimilato ad un tentativo del potere di autoaffermarsi/legittimarsi: es. la risposta positiva al mio messaggio (insensato) consolida il mio peso decisionale nel territorio

Da puri osservatori esterni di questo meccanismo di potere ci chiediamo, ora che Galaxy si è defilata, quali siano le fonti di finanziamento di tale progetto e gli obiettivi reali.

Circa le fonti di finanziamento si profila all’orizzonte un crescente impegno economico di natura pubblica che siano mutui bancari o erogazioni dirette delle amministrazioni locali. Al riguardo è opportuno ribadire la nostra contrarietà a qualsiasi impiego di risorse pubbliche in tale progetto. A fronte di una endemica scarsità/illiquidità finanziaria delle amministrazioni locali e di un palese stato di abbandono delle infrastrutture e dei servizi territoriali il denaro investito nel potenziamento di una struttura marginale come l’aeroporto in questione è in palese conflitto con i principi di democraticità e di rappresentanza politica e impone una reazione adeguata da parte della comunità.

Circa gli obiettivi, data la totale disinformazione della popolazione circa gli intendimenti delle amministrazioni locali, possiamo immaginarci (secondo una possibile interpretazione razionale) il tentativo di “rifare il look” ad una vetusta struttura per poter accedere al mercato dei voli low cost e fare business immobiliare secondo una insensata logica dello sviluppo. Lo dimostra l’esperienza (tra l’altro analizzata da CerTet Bocconi) dell’aeroporto di Orio sul Serio rispetto a Bergamo. In quel caso lo sviluppo di un aeroporto in un’area depressa sul piano turistico ha indotto uno crescita esponenziale del settore immobiliare e commerciale, generando una economia di tipo puramente speculativo. Nel nostro caso esiste già una condizione di eccesso di offerta rispetto alla domanda abitativa e un aeroporto potrebbe ad esempio canalizzare investimenti esteri per l’acquisto della “seconda casa”.

Questa situazione richiede un attento monitoraggio dell’impiego di fondi pubblici che non esclude opportune azioni di contrasto politico e fiscale.

Luciano Fiordoni                            20.11.2010