Il tempo delle volpi.

volpeculedi ALBERTO ASOR ROSA, da Il manifesto, 19 novembre 2013.

Beh, qualcosa abbiamo rimediato: la spaccatura della tradizionalmente infrangibile e inattaccabile falange berlusconiana; e la sempre più probabile espulsione dalle aule parlamentari di Silvio Berlusconi, il quale aveva contribuito potentemente a degradarle nel corso di ben due decenni. L’uno e l’altro risultato rappresentano un effetto positivo del governo delle «larghe intese»: il primo in maniera inequivocabile e diretta; il secondo, reso più sicuro e inevitabile dallo spappolamento del fronte berlusconiano, nel senso che il cosiddetto «Nuovo CentroDestra» continuerà certo a votare contro la decadenza di Berlusconi, ma convinzione ed esiti negativi ne risulteranno incomparabilmente indeboliti (anche per loro, adesso, la decadenza rappresenta un grosso favore).

Il 2013 è un anno machiavelliano: vi ricorre infatti il cinquecentenario (più o meno) della stesura del Principe. Nel chiuso un po’ soffocante delle aule universitarie se ne è celebrata la ricorrenza (nemmeno tanto, a pensarci bene). Il paese, invece, – e cioè l’Italia, cui il Segretario fiorentino cercò invano di parlare, e che avrebbe ancora tanto da imparare da lui – è restato sostanzialmente indifferente: come, del resto, sempre più nei confronti di qualsiasi altra memoria del proprio non ignobile passato, che potrebbe aiutarlo a risalire dal proprio miserabile presente.

Machiavelli osserva nel Principe (cap. XVIII) che il buon principe deve avere insieme le qualità della «volpe» e quelle del «leone»: «Perché il leone non si difende dai lacci (inganni), la volpe non si difende dai lupi». E conclude: «Bisogna adunque essere volpe a conoscere i lacci e leone a sbigottire (spaventare) i lupi». Cioè: il buon principe deve esser capace, a seconda delle circostanze, d’esser leone e d’esser volpe, forte e astuto a seconda dei casi, oppure, se è necessario, astuto e forte insieme, se la situazione lo richiede e le sue qualità lo consentono. E’ un’impresa difficilissima, che non è riuscita a molti nella storia.

Il nostro tempo – tempo italiano, ma forse europeo, forse mondiale – è un tempo di volpi. Il nostro Presidente, Giorgio Napolitano, è, machiavellianamente, volpe di classe, (come del resto lo è anche Papa Bergoglio, – volpe buona, s’intende!, con il quale infatti così bene si capiscono). E una volpe, minore ma niente male, si è rivelato anche il nostro presidente del consiglio, Enrico Letta, bravo a muoversi su di un sentiero accidentato in mezzo alla foresta. Le volpi – non c’è niente di negativo in questa definizione, a tener conto dei suoi aspetti generali – tengono la scena saldamente, la storia attuale ne è improntata.

E il leone, o i leoni? Il leone si è ritirato nelle sue tane misteriose, da dove sarà difficile persuaderlo a tornar fuori, a meno che il richiamo non sia particolarmente convincente e imperioso. Ma tornerò su questo punto in conclusione. Meditiamo un istante su quello che appaiono essere oggi il presente e il destino futuro della sinistra italiana (sinistra? insomma, questa cosa informe e ingovernabile che sta un poco più in là del neocentrodestra recentemente costituito). Essa è il frutto di una serie prodigiosamente lunga, ormai quasi trentennale, di «astuzie» politiche (e non di rado anche personali: faccio questo fondamentalmente perché serve a me), che si sono succedute nel tempo a opera di un gruppo dirigente che si è creduto tanto scaltro da cadere sovente nella stupidità.

Se Matteo Renzi, a quanto pare, è il nostro futuro, questo vuol dire che la Bolognina, la prima grande ganzata della nostra storia di sinistra è arrivata finalmente al suo traguardo finale e, doppiata la boa della storia, è libera di andare su rotte e verso approdi per noi da qui in poi perfettamente sconosciuti. Renzi, infatti, è anche lui, ahimè, una volpe, ma di quella specie inferiore che riesce a penetrare nei pollai solo perché i loro (presunti) custodi hanno perso la capacità di preservarli. Se poi fosse vero che il suo successo elettorale dipende soprattutto dalle regioni considerate tradizionalmente di sinistra, il quadro risulterebbe ancor più sconvolgente e drammatico: vorrebbe dire infatti che lì, dove meglio si poteva, invece di allevare leoni e buone volpi, si sono allevati in grande maggioranza polli da offrire alla prima, modesta, volpicina di passaggio.

In proposito non ho dubbi di sorta. Poiché visibilmente non siamo in grado come Federico il Grande di condurre una battaglia contemporaneamente su tutti i fronti, in questo momento il primo, forse esclusivo obiettivo è tentare d’impallinare Renzi prima che s’impadronisca del pollaio. Ma come si fa se il suo elettorato alle primarie è incalcolabile e dunque ingovernabile alla buona luce della ragione? Mi capita spesso di essere presidente di un condominio, quello in cui abito, ovviamente: se, al momento del voto, o dei voti, invitassi i passanti che circolano sotto casa a parteciparvi alla stessa stregua degli altri, gli altri utenti del palazzo dove abito mi prenderebbero per matto. E’ invece esattamente quello che capita ora in seno al Pd: frutto anche questa volta dell’astuzia stupida dei maggiorenti, il Segretario può essere scelto, magari a maggioranza, non dai condomini, ma dai dirimpettai, interessati a smontarne, ad esempio, tutta la facciata (così, certo, sembrerà tutto più nuovo).

In ogni caso, sia che la volpicina di turno, in cui l’astuzia diventa furbizia di bassa lega, venga frenata, sia che riesca a conquistare il posto cui aspira, il problema resta. Il leone, l’ho già ricordato, non è necessariamente un soggetto diverso dalla volpe: per Machiavelli l’ideale è invece che stiano congiunti nella medesima persona, meglio, nel medesimo soggetto storico. Allora la volpe diventa quel che dev’essere, e cioè l’astuzia messa al servizio di una buona causa. E cioè: il leone è l’altra faccia della politica. E cioè: il leone è la forza che incarna l’astuzia e la rende efficacemente operante, sia contro i lupi sia contro gli inganni, che, dice Machiavelli, da ogni parte ci avvolgono e cimentano.

Da quando non abbiamo più i Principi (chissà se è stato un vantaggio), il binomio volpe-leone, il moderno Principe, si è incarnato il più delle volte in un’identità collettiva: l’organizzazione (anche questa non è una grande novità, o no?). I grandi uomini della sinistra europea otto-novecentesca lo avevano perfettamente capito. In parole povere: stiamo messi malissimo perché il problema di un’organizzazione politico-sociale orientata chiaramente a restituire potere (in tutti i sensi) a tutti quelli che, dal punto di vista sociale, economico e politico, ne hanno sempre più incredibilmente sempre meno, da alcuni decenni non è stato più posto con chiarezza, anzi non è stato posto per niente.

Allora: che vinca Renzi o auspicabilmente che perda, il problema resta questo. E cioè: possibile che il XXI secolo, ossia la gloriosa postmodernità, si accontenti d’essere soltanto il tempo delle volpi, e non più dei leoni? Ammettiamo pure che «partito» sia metafora vecchia di una cosa nuova che dobbiamo reinventare; ma la sostanza è questa, e alla sostanza «partito» bisogna tornare a pensare.

Come in tutti i ragionamenti in cui ambiziosamente contingenza e storia si mescolano insieme, anche in questo dev’esserci un apprezzamento anche molto rischioso, ma ineliminabile, del presente. Lo spazio temporal-politico che ci lascia la sopravvivenza del governo Letta, ora forse meno precaria di quanto non sembrasse fino a qualche giorno fa, va occupato, per quanto ci riguarda, da questo compito strategico ineliminabile. Dunque: il governo Letta non è in questo momento il nemico principale; il nemico principale è l’ulteriore degenerazione della sinistra, quella che ci resta e quella che rischia di avanzare sotto i nostri occhi. Affermazione veramente scandalosa, me ne rendo conto: per ora, questo governo più dura e meglio è.

E’ così che si fa: muoversi, calcolando esattamente il rapporto che passa fra le condizioni pre-ordinate e costrittive del lavoro che facciamo e l’obbiettivo che ci si propone di raggiungere. Tanto meglio se, combattendo Renzi, questa ipotesi si riaffaccia e s’impone come centrale anche all’interno del dibattito congressuale del Pd. Se non si opera così, il leone resterà segregato nella sua tana, le volpi, anzi le vulpecule affamate di spazio e di potere, dilagheranno sempre più a fare strage dei polli che noi siamo.

 

 

L’anello mancante

Anello-mancante-ISG-12di Alberto Asor Rosa, Il manifesto, 18 giugno 2013.

E ora? Ora mi pare che le cose siano andate esattamente nel senso enunciato e previsto dal “piano”. Non parlo neanche, almeno non prevalentemente, del “governo delle larghe intese”. Mi limito da questo punto di vista a esprimere l’opinione, di carattere generalissimo, secondo cui non esiste, non è mai esistito, un governo al di sopra delle parti: un governo è sempre di parte; è per qualcuno, contro qualcuno. Da questo punto di vista è di solare evidenza che questo governo si muove prevalentemente nel solco di parole d’ordine enunciate in passato, e oggi ripetute e rivendicate con strafottenza sempre maggiore, dal cosiddetto centro-destra (italiano, s’intende): e questo sia dal punto di vista politico-istituzionale sia dal punto di vista delle misure economiche.

All’interno di questo quadro è lampante, per fare un solo esempio, la preminenza della deriva presidenzialista (o semipresidenzialista: la differenza non è chiara nemmeno a tutti quelli che disinvoltamente ne cianciano; in un libro di qualche anno fa, La quinta repubblica da De Gaulle a Sarkozy, 2009, Umberto Coldagelli ha messo in luce con rara efficacia gli innumerevoli equivoci su cui si fonda l’idoleggiamento del presunto modello francese). L’abbandono dell’ipotesi, enunciata nel programma elettorale del centro-sinistra e del Pd, dell’eventuale miglioramento e perfezionamento del sistema politico-istituzionale in favore, invece, di una sua radicale riforma (o stravolgimento), fa del “governo delle larghe intese”, se va avanti così, un punto di non ritorno nella dinamica politica italiana. O non doveva anch’esso, come il “governo tecnico”, essere un governo di breve durata, inteso ad affrontare i nodi più critici, soprattutto economici, dell’emergenza? Si delinea invece come il governo più importante e più decisivo per le nostre sorti dal 1946 a oggi.

La natura cogente del “governo delle larghe intese”, – quella predisposizione a cambiare in profondità il sistema della rappresentanza in Italia, predisposizione che, ad esempio, non era né poteva essere di “governo tecnico”, – risulta dal fatto che, sempre più chiaramente, si va formando al centro, fra governo e partiti, una nuova e inedita articolazione, più visibile e percepibile da un punto di vista ideologico e culturale che strettamente politico, la quale vede uomini del centro-sinistra e uomini del centro-destra solidamente affiancati allo scopo di procedere a lungo (ripeto: a lungo) verso questa medesima, comune direzione. Il “governo delle larghe intese” potrebbe diventare, a quel che si sente e si vede, l’incubatore, se non di una nuova formazione politica, di una comune cultura politica, destinata a determinare anche in futuro l’orientamento di ambedue le formazioni.

Potrebbe cioè orientare il centro-destra a liberarsi progressivamente dell’ossessiva subalternità al Padre Padrone? Può darsi (e questo potrebbe essere uno degli obiettivi reconditi del “piano”). Quel che è certo è che lo sviluppo di tale tendenza renderebbe ancor più irreversibile lo svuotamento politico e sociale del centro-sinistra e del Pd, cui il “grande piano”, messo in opera pazientemente e intelligentemente nella fase di costruzione del “governo delle larghe intese”, aveva dato l’avvio.

Ma non è questo il punto, per lo meno non quello decisivo. Il punto decisivo è se e come il Pd riuscirà a uscire dalla morsa in cui è stato gettato e si è gettato. Dico subito che non condivido le danze macabre che qualcuno, molto sollecitamente, ha iniziato, e con grande entusiasmo, intorno al suo presunto cadavere. Se il Pd è perduto, dovremo lavorare, qualcun altro dovrà lavorare per decenni perché un nuovo processo abbia inizio. Dunque, finché non è perduto, bisognerà sforzarsi di evitare che lo diventi.

Certo, detto questo, il quadro è desolante. Il risultato soddisfacente delle elezioni amministrative dimostra soltanto che, risalendo talvolta a fatica lo tsunami dell’astensionismo, il Pd gode ancora, nonostante tutto, e il centro-sinistra con lui, di un elettorato di appartenenza, che ne cede anch’esso qualcosa all’astensionismo, ma meno, talvolta molto meno, di altri. Ma il dato impressionante è l’incremento esponenziale dell’astensionismo, frutto di una crisi di sfiducia nei confronti di tutto il sistema, a cui sarebbe vano pensare che il risultato elettorale amministrativo del centro-sinistra come il frutto della politica delle “larghe intese”. Questo risultato va letto invece, esattamente come una smentita alla linea della “normalizzazione”, che è stata dominante nei mesi passati. Da qui, se mai, deve ripartire una nuova riflessione su natura e destino del Pd e conseguentemente del centro-sinistra (inteso come motore dell’intero processo).

Il documento Barca enuncia una serie di procedure utilissime a invertire la tendenza: va seguito con attenzione questo tentativo. Da parte mia enuncerei una serie di punti e di modi, – non temo smentite, nel senso più assoluto del termine, – nessuno parla dentro questo partito; e pochi fuori.

1) Do per scontato che debba esserci un “partito”, organizzato democraticamente, e non grillinamente (o berlusconiamente) liquido. Ma: chi rappresenta questo partito? Quali interessi difende e tutela (al di là o al di sopra di quell'”interesse nazionale”, che è da sempre il simulacro appariscente di un qualche “interesse particolare”)?

Come si fa a non tentare neanche di rispondere a questa domanda? Ciò che non avviene più da anni, forse da decenni (Una ricostruzione storica dovrebbe risalire a l’89, o giù di lì). E in tempo di crisi, oggi, l’assenza di questa risposta tende a diventare drammatica. L’antipolitica non è il frutto di una generica condanna di comportamenti politici genericamente intesi: è il frutto della totale assenza di corrispondenza fra interessi e rappresentanza. Se questa corrispondenza esistesse e fosse praticata con assoluta chiarezza, deputati e senatori potrebbero persino aumentarsi gli stipendi, e nessuno troverebbe qualcosa da ridire.

2) È sempre più intollerabile l’assoluta autoreferenzialità di questo partito com’è e delle sue interne discussioni. Mai uno sguardo che si volga all’esterno delle stanze segrete del potere. L’Italia è piena di movimenti, comitati, centri di azione e di elaborazione, critica e proposta. Nulla che assomigli neanche da lontano agli scambi estremamente vitali di una volta: si pensi ad esempio, a Enrico Berlinguer e alle sue iniziative di consultazione di massa fuori dal partito. Altri tempi? Sì, ma dov’è allora oggi la diversità? Forse nel fatto che il partito si è supinamente adeguato alla civiltà dello spettacolo e della finzione? Le battaglie per il carattere pubblico dell’acqua, per i beni comuni, per nuove forme di partecipazione popolare, si arrestano, ignorate, alle soglie della macchina partitica. L’osmosi si è disastrosamente interrotta. Altro che “Italia bene comune”! Parola d’ordine vuota, se non riempita da diecimila contenuti.

3) E il lavoro? Possibile che nessuno noti, e faccia notare, che fra le tante anomalie italiane c’è anche l’assenza di un Partito socialista (salvo alcuni residui marginali)? Ora lasciamo stare, per amore di brevità e di chiarezza, la vecchia diatriba sulle etichette. Ma com’è possibile che la rinuncia all’etichetta abbia portato a questa colossale rinuncia alla rappresentanza dei ceti sociali legati alla produzione e del lavoro, e più necessariamente soggetti alla loro crisi, la quale in questo momento è il fattore discriminante per il destino del paese Italia? Se il Pd non assumerà di nuovo con chiarezza tale rappresentanza, non compirà il passaggio che può garantire non la stentata sopravvivenza ma una ripresa in grande nel sociale, e dunque (dico io) nel paese.

4) Esiste o no una “questione morale” in questo paese? Una “questione morale”, che riguarda singoli soggetti, gruppi organizzati e pezzi interi del sistema, e invade sempre più spesso le istituzioni, la politica e persino il senso comune? C’è un silenzio impressionante su tutta questa sfera dell’agire pubblico, che fa da sgabello alle operazioni più spregiudicate. Dalla risposta a questa domanda dipende una parte importante, anzi decisiva, dell’essere organizzazione politica di un certo tipo e non di un altro. Può un partito come il Pd non disseppellire la “questione morale” e farne la propria bandiera?

5) Il Pd vive meglio, è meglio, in periferia che al centro. Non penso agli scout toscani: penso alle scelte amministrative, spesso fuori del controllo degli apparati, di città come Milano, Genova, Cagliari, oggi Roma, e con Roma la Regione Lazio. Metodologie di scelta degli apparati e dei candidati di tale natura andrebbero adottate anche a livello nazionale. Primarie generalizzate? Non solo, e non tanto: ma la verifica delle scelte, ogni qualvolta se ne fa una importante, in un quadro di trasformazione permanente. Un partito perpetuamente trasformativo, non fossilizzato.

6) Non c’è nuova politica in Italia se non c’è una nuova Europa in Europa: tutto quello che ho detto finora va proiettato su questo sfondo. Finora l’Europa è un insieme di vincoli elaborati e gestiti dall’oligarchia di Bruxelles. O si esce da questo ambito, recuperando capacità e possibilità di sviluppo diverse rispetto al presente, oppure dobbiamo rassegnarci a un futuro e a un ruolo di quarto o quinto grado. Qui si vede bene come l’interesse particolare (il lavoro, la partecipazione, la cittadinanza) è condizione, non remora o impedimento, dell’interesse generale (il bene del paese).

Ora, la domanda con cui concludere il discorso è: serve ancora in epoca post-moderna riflettere sulle coordinate generali dell’azione politica oppure no? Se si risponde no, l’azione politica sarà ridotta, come sempre più lo è, a gesto, improvvisazioni, spettacolo, battuta, gioco di potere, gutturale richiamo della foresta e, soprattutto, agli interessi personali e di carriera da difendere: in tal caso non ci interessa più, la lasciamo volentieri agli altri, a tutti coloro cui Mitridate ha insegnato bene la lezione. Se sì, bisogna rimboccarsi le maniche e lavorare. Infatti, mettere insieme tutte queste cose (e altre, naturalmente) – l’organizzazione democratica e partecipativa, la difesa degli interessi e del sociale, la rappresentanza del lavoro, l’osmosi fuori-dentro, il rapporto centro-periferia, un nuovo europeismo, – significa costruire un “progetto”. Ce l’ha un “progetto” il Pd? No, non ce l’ha; o se ce l’ha, nessuno finora se n’è accorto.

Bene, il “progetto” è l’anello mancante, che serve a tenere insieme critica e moralità, azione politica e partecipazione, consenso e dissenso, proposte concrete e futuro lontano possibile. Daremo fiducia a quel gruppo dirigente che ci metterà sotto gli occhi l’anello mancante. Se nessuno farà vedere l’anello mancante, non daremo fiducia.

 
NB: l’illustrazione de l’anello mancante, piuttosto curiosa, è tratta da: http://www.trattidimare.it/filippo-sassoli/. Si ringrazia l’autore per l’involontaria collaborazione.

La Regione e la Rete

RAPPORTO SULL’INCONTRO FRA LA GIUNTA REGIONALE  TOSCANA E LA GIUNTA DELLA RETE DEI COMITATI PER LA DIFESA DEL  TERRITORIO.

Il giorno 15 aprile 2013, secondo quanto preannunciato, si è svolto presso la Presidenza della Regione Toscana, in Piazza Duomo a Firenze, l’incontro fra la Giunta Regionale Toscana e la Giunta della Rete dei Comitati per la difesa del territorio. L’incontro è durato dalle ore 11 alle ore 13,15: è stato dunque lungo, complesso e ricco di implicazioni.

Per la Giunta Regionale toscana, oltre al Presidente Enrico Rossi, erano presenti gli Assessori: Anna Marson (urbanistica), Anna Rita Bramerini (ambiente), Vincenzo Ceccarelli (mobilità), per pochi minuti, Gianni Salvadori (agricoltura).

Per la Giunta della Rete dei Comitati per la difesa del territorio, oltre al Presidente Alberto Asor Rosa, erano presenti: Mauro Chessa, Sergio Morozzi, Claudio Greppi, Gianni Mori, Paola Jervis, Helen Ampt, Ilaria Agostini, Nino Criscenti, Paolo Celebre. Era inoltre presente per la Rete anche la professoressa Maria Rosa Vittadini, esperta di infrastrutture e grandi opere.

Il Presidente Rossi, esordendo, ha sottolineato la novità e l’importanza dell’incontro, che vedeva per la prima volta a confronto le istituzioni regionali toscane e le rappresentanze dei Comitati di base e dei gruppi intellettuali che nella Rete gli si sono affiancati, operativamente e strategicamente. Ha quindi invitato Alberto Asor Rosa a esporre le posizioni della Rete. Asor Rosa è tornato a illustrare, come era già accaduto nell’Assemblea dei Comitati del 3 febbraio, i termini generali della Piattaforma Toscana, raccomandando che qualsiasi rilievo o risposta parta dalla conoscenza per esteso di quel documento, in cui sono sistematicamente approfondite ed esposte tutte le principali questioni ambientali e territoriali della Regione toscana.

Presenta successivamente le Schede per l’incontro con la Regione, le quali riassumono per punti la piattaforma e contengono l’analisi delle situazioni più critiche e le richieste più radicali della Rete:

1. Il dissesto idrogeologico;

2. Lo sfruttamento fuori norma e misura delle risorse energetiche;

3. La distruzione delle Alpi Apuane;

4. La revisione della Legge 1 e il nuovo Piano paesaggistico regionale;

5. La situazione urbanistica fiorentina;

6. La questione della Piana fiorentina;

7. La “nuova questione agricola” (cui, connessa, aderisce la problematica dei “parchi agricoli”, di cui, a mo’ d’esempio, viene chiamata in causa la Val d’Orcia);

8. Il “corridoio tirrenico”;

9. Il sottoattraversamento ferroviario di Firenze.

[Nel merito dei singoli punti si rinvia al testo dello medesime “Schede”, che sono state trasmesse insieme con questo Rapporto].

L’intervento successivo del Presidente Rossi è stato puntuale e circostanziato (indipendentemente dal maggiore o minore consenso che le sue posizioni sono destinate a incontrare da parte della Rete). Riassumendo per punti molto sinteticamente:

1. Sul “corridoio tirrenico” Rossi ha ribadito i termini della delibera della Giunta regionale del 9 aprile u.s., molto vicina alle posizioni della Rete (sovrapposizione della autostrada al tracciato dell’Aurelia fino a Orbetello Scalo; ricerca di tutte le soluzioni meno invasive per i cittadini e meno dannose per l’agricoltura e per il paesaggio per il tratto fra Orbetello scalo e Fonteblanda);

2. E’ in via di definizione il nuovo “regolamento” per l’escavazione sulle Apuane; l’obbiettivo è quello di tutelare le attività lecite, fornendo gli strumenti contro le attività di rapina;

3. Anche per quanto riguarda l’Amiata è in preparazione il nuovo PAER. E’ arrivato il momento di abbandonare l’alta entalpia e prendere un’altra strada meno invasiva, e che al tempo stesso abbia impatti più fruttuosi sulla salute, la ricerca o l’occupazione;

4. Sulla Piana Rossi si dichiara “sereno”: l’aeroporto c’è, è difficile cancellarlo; ma l’adozione già deliberata di un “Parco agricolo” di circa 7mila ettari è “un atto robusto”, di cui tener conto, anche per le ricadute urbanistiche che ne possono derivare; bisognerà vedere come si comporteranno i Comuni interessati “all’accordo di programma”.

5. Rossi sottolinea la positività dell’iniziativa regionale in merito alle leggi urbanistiche e paesaggistiche. Tra i principali avanzamenti segnala il vincolo di inedificabilità delle aree agricole, già previsto nella vecchia e tuttora vigente Legge 1/2005, dove tuttavia “il carattere generico della norma ha consentito di tutto”. Si chiede al tempo stesso come il piano paesaggistico sarà recepito dagli strumenti comunali. Bisognerà andare probabilmente in maniera sempre più sistematica verso piani intercomunali. Importanti gli strumenti di monitoraggio e d’indirizzo del piano paesaggistico. Inoltre: di fronte a possibili cambiamenti climatici, bisogna attrezzarsi per tempo, anche allo scopo di tutelare al meglio 1’agricoltura. Sono previsti interventi a favore della collina e della montagna, da programmare in maniera innovativa e originale. Insomma: bisogna costruire un cambiamento culturale per uno ”sviluppo conservativo”

6. Sul sottoattraversamento ferroviario di Firenze Rossi, pur esprimendo perplessità in merito ai comportamenti dello Stato e alle precedenti decisioni regionali in materia, ritiene che non sia possibile tornare indietro dagli accordi stipulati, anche per il peso degli oneri che questo comporterebbe, e in base al principio di “continuità istituzionale”, cui la Regione deve ispirarsi.

Si apre la discussione

Interviene l’Assessore Bramerini: a sostegno delle parole del Presidente Rossi nel merito, informa che si sta chiudendo la fase delle osservazioni VAS al PAER e dichiara: “Siamo pronti ad accogliere contributi”. E’ in fase di avanzata preparazione anche il nuovo Piano dei rifiuti, che prevedono un sistema industria1e di riciclo dei rifiuti e la riduzione del numero degli inceneritori.

Interviene l’Assessore Marson: ribadisce il valore di rinnovamento della Nuova Legge l e del Piano Paesaggistico regionale;

Interviene Mauro Chessa, Vice Presidente della Rete: sottolinea le attività di rapina da parte dell’ENEL sull’Amiata, che sta depauperando rapidamente risorse non rinnovabili e produce seri problemi sanitari e ambientali. [Asor Rosa consegna a Rossi una lettera – appello di massimo allarme per l’acquifero dell’ Amiata di Cinzia Mammolotti, membro della Giunta non presente]. Sul capitolo delle Apuane fa osservare che nel 2010 è uscito dalle Apuane un volume di marmo pari a una coda continua di autobus della lunghezza di 30 km; anche in questo caso si sta smantellando una risorsa inestimabile senza produrre ricchezza in loco ed anzi producendo danni ambientali e sociali gravissimi. Per quanto riguarda il dissesto idrogeologico sottolinea la necessità di sottrarre gli interventi alla logica dell’emergenza e del settorialismo per inserirli in ampie politiche socio economiche che conducano ad una rivitalizzazione dell’economia montana e del presidio di questi plessi territoriali. Conclude ricordando l’impegno di Rossi non solo per questo incontro ma anche per inserire la Rete nel sistema della concertazione.

Interviene Maria Rosa Vittadini: a proposito del sottoattraversamento ferroviario di Firenze, parte dall’accordo tra RFI, Regione Toscana e Comune di Firenze, in cui non emerge un progetto “dalla parte della città”. Vi manca ad esempio totalmente il raccordo con il traffico regionale/metropolitano/urbano. I vantaggi per i viaggiatori fiorentini e toscani non esistono. La Rete, comunque, chiede di “non fare questo tunnel”. Esistono progetti alternativi. Potrebbe partire un grande ed emblematico processo di partecipazione per la costruzione di un progetto regionale alternativo al progetto attuale. La valutazione dev’essere tra lo scenario dei vantaggi di tutti contro lo scenario dei lavori attuali.

Interviene Gianni Mori: ricorda la lotta che si combatte in Val di Chiana contro l’insediamento della mega-centrale a biomasse al posto dell’ex-zuccherificio di Castiglion Fiorentino, passa a parlare del rapporto fra cambiamenti climatici e agricoltura in una zona come la Val di Chiana, che potrebbe essere recuperata a una vocazione agricola di avanguardia.

Torna a intervenire Asor Rosa: ribadisce che nel merito di molte delle assicurazioni formulate da Rossi e dai suoi Assessori bisognerà trovare lo strumento di una verifica puntuale e costante, per la quale chiede garanzie. Inoltre ribatte alle posizioni espresse da Rossi in merito al sottoattraversamento ferroviario di Firenze. La Rete chiede che il progetto venga abbandonato. In ogni caso chiede che vengano valutate con attenzione molto maggiore le innumerevoli ricadute negative di tale progetto sui cittadini fiorentini e toscani.

Replica Rossi che sul tunnel c’è in Consiglio regionale un’ampia maggioranza ad andare avanti. Tuttavia ritiene che sia possibile da parte della Regione aprire un tavolo di confronto in merito alle ricadute negative che il progetto attuale produrrebbe sui cittadini fiorentini e toscani e invita la Rete a presentare le proprie controproposte in merito, per una scadenza molto ravvicinata.

L’Assessore Ceccarelli, in carica solo da poco tempo, dichiara di esser pronto a un incontro sul tema della valutazione dei due scenari (tunnel vs progetto alternativo integrato), pur lamentando che, come spesso accade in casi del genere, la Regione rischia d’essere l’ultimo nodo al quale addossare le colpe dei mancati minuti di recupero sulle tratte.

Asor Rosa: la Rete non può condividere il principio di “continuità istituzionale” invocato per la regione da Rossi. Poiché, tuttavia, anche da parte della Giunta Rossi non sembra esserci un’adesione entusiastica alle scelte in precedenza adottate, solo se si esce da questa prospettiva di rigida continuità, può esserci un contributo da parte della Rete. Se si entra in questa prospettiva dialettica, bisogna dunque che si preveda un nuovo incontro in cui la Giunta regionale dia risposte puntuali su ognuna delle “Schede”.

Il presidente Rossi conclude dichiarando che intanto il confronto richiesto dalla Rete sulle materie delle relative “Schede” può iniziare con ognuno degli Assessori interessati. Le ultime affermazioni di Rossi riguardano la possibilità in generale di aprire un processo di ”concertazione” permanente, nella quale la Rete potrebbe essere riconosciuta come interlocutore autorevole della Giunta Regionale toscana attraverso un protocollo.

Valutazione politica

La Giunta della Rete ritiene che l’incontro con la Giunta regionale toscana e con il Presidente Rossi rivesta una notevole importanza nel quadro delle lotte che Comitati e Associazioni conducono in una Regione preziosa come la Toscana per la difesa dell’ambiente, del territorio, del paesaggio e dei beni culturali.

Dando per scontata l’assoluta autonomia della Rete nei confronti delle istituzioni regionali e di qualsiasi formazione politica, l’apertura di un processo puntua1e, circostanziato e costante di proposta, verifica e controllo, non può non esser considerata positiva.

Le prossime, significative scadenze sono quelle elencate nelle “Schede” e ampiamente trattate nella discussione, sempre nel quadro più generale, da non accantonare mai, della “Piattaforma Toscana”. In una riunione di Giunta, da programmare a breve scadenza, saranno organizzati i gruppi di lavoro, dentro e fuori la Giunta, destinati a portare avanti i lavori sui singoli argomenti interessati. Alla Giunta il compito di sistematizzare l’insieme dei lavori e di tenere il più alto possibile il confronto con la Regione.

Soggetto politico nuovo e beni comuni

Il sito della Rete ha ospitato l’articolo di Alberto Asor Rosa del 26 aprile che discuteva criticamente il “Manifesto per un soggetto politico nuovo”,  presentato al Mandela Forum di Firenze il 28 aprile.

Il “Manifesto” è consultabile su: http://www.soggettopoliticonuovo.it/, insieme alla discussione sul nuovo soggetto che evidentemente continua oltre l’intervento di Asor Rosa e in convegno fiorentino. Segnaliamo in particolare l’intervento di Guido Viale, su Il Manifesto del 12 maggio, che compare nella nostra Rassegna Stampa. Leggi tutto