Apuane, le ruspe cancellano i monti.

10_pdfsam_Apuanedi Tomaso Montanari, Il fatto quotidiano, 23 giugno 2014.

Tra Bin Laden e i partiti.

Verrà un giorno in cui le Alpi Apuane saranno come i dinosauri: sparite. Con la differenza che dovremo spiegare ai nostri figli che siamo stati noi a distruggere un pezzo straordinario del nostro territorio e della nostra vita. Parlare delle Apuane vuol dire descrivere – attraverso un caso estremo, e dunque più comprensibile – la situazione di tutto ciò che la Costituzione chiama «paesaggio e patrimonio storico e artistico della nazione». Le Apuane sono cancellate da una industria che crea sempre meno occupazione; sono cancellate in violazione delle leggi vecchie e nuove (per esempio annullando le linee di cresta anche sopra i 1200 metri di altezza, in barba al Codice del paesaggio); sono cancellate inquinando acqua e aria, e abbassando la qualità della vita degli abitanti (si pensi solo ai 700 camion che attraversano ogni giorno Carrara); sono cancellate da una politica incapace (per ignoranza e corruzione) di comprendere che è possibile un’altra economia; sono cancellate dal silenzio mediatico. All’inizio del Novecento i cavatori era 14.000, oggi sono poco più di mille, ma la loro produttività è andata alle stelle. Ogni anno si estrae un milione e mezzo di tonnellate di marmo, distruggendone però quasi dieci milioni. Il professor Elia Pegollo, che viene da una famiglia di cavatori, ha calcolato che col materiale escavato ogni anno si potrebbe lastricare un’autostrada a quattro corsie di 2500 km: da Firenze a Stoccolma, per intenderci. Ma l’80% del volume che ogni anno sottraiamo alla montagna non finisce in opere di architettura o scultura, bensì in filtri per acquedotti, adesivi edilizi, vernici e sbiancanti, industria alimentare, dentifrici. Il che rende grottesco l’uso abusivo della retorica michelangiolesca: come ha scritto lo storico dell’arte Fabrizio Federici, «se davvero, come poetava Buonarroti, le figure portate alla luce dallo scultore fossero già racchiuse entro il blocco di marmo, si assisterebbe a una quotidiana mattanza di Madonne e Bambini, di Veneri, di atleti, ridotti in scaglie e in polvere». Le quantità necessarie ad una industria del lusso globalizzata e le potentissime e violentissime tecniche moderne rendono impossibile – anzi truffaldino – parlare ancora dell’estrazione del marmo nei termini romantici di un cimento tra l’uomo e la montagna. Ma non solo la propaganda, perfino le regole del gioco sono ancora ferme all’antico regime: nonostante alcuni severi pronunciamenti della Corte Costituzionale, il comune di Massa regola le concessioni usando ancora le leggi precedenti all’unità d’Italia (per l’esattezza una legge estense del 1846). Una situazione normativa intollerabile, quando si apprende che la famiglia saudita Bin Laden (sì, quella) sta trattando l’acquisto del 50% del gruppo Marmi Carrara, il più importante estrattore. Una notizia che ci pone di fronte alla situazione per quello che è: sulle Apuane abbiamo rinunciato alla nostra sovranità sul nostro territorio nazionale, il cui letterale sbriciolamento verrà deciso molto, ma molto lontano dai nostri confini. E mentre gli interessi speculativi sauditi sono accolti a braccia aperte, il Coordinamento imprese lapidee del Parco delle Apuane ha dichiarato una guerra santa contro il Piano Paesistico Regionale della Toscana, voluto dall’assessore Anna Marson (che è stata oggetto di pesanti attacchi personali). Il perché di una reazione così violenta lo ha chiarito bene l’urbanista Paolo Baldeschi: «Ma quale è il peccato mortale del Piano? La colpa è di cercare di frenare il taglio delle vette al di sopra dei 1200 metri e di limitare l’estrazione all’interno del Parco delle Apuane, facendo salve le concessioni esistenti, ciò che ha provocato la netta contrarietà del Presidente del Parco, (vicepresidente uscente, già segretario del Pd di Fivizzano), evidentemente più sensibile agli interessi dei cavatori che a quelli dell’ente da lui presieduto». D’altro canto, continua Baldeschi, «il Coordinamento dimentica di dar conto delle inadempienze sistematiche delle aziende impegnate nelle attività estrattive: la mancanza di raccolta delle acque a piè di taglio, l’assenza o il mancato utilizzo degli impianti di depurazione spesso esistenti solo sulla carta, i rifiuti abbandonati nelle cave dismesse, la mancata attuazione dei piani di ripristino, una diffusa e impunita inosservanza di regolamenti e prescrizioni. Si dimentica, altresì, dell’inquinamento delle falde, delle sorgenti e dei torrenti, della diffusione di polveri sottili, degli innumerevoli danni ambientale e paesaggistici». Da una parte gli interessi dell’industria del marmo e una politica locale ad essi legata mani e piedi, dall’altra un movimento di opinione che guadagna terreno grazie alla forza delle proprie ragioni: nel mezzo un’opinione pubblica disorientata dall’eterna propaganda di chi oppone le ragioni dell’economia e del lavoro alle ragioni dell’ambiente. La sfida è quella di far comprendere che questa opposizione è un clamoroso falso, alimentato ad arte da chi ha interesse nella perpetuazione dell’attuale economia di rapina. Sabato scorso è tornato a riunirsi a Casola, in Lunigiana, il movimento Salviamo le Apuane, e martedì prossimo si occuperà dello stesso tema la Rete dei Comitati, convocata a Firenze. L’obiettivo non è solo quello di fermare la distruzione delle Apuane, ma anche e soprattutto dire che un’altra economia apuana è possibile, e che è tempo di mettere a punto un Piano Alternativo di Sviluppo per le Alpi Apuane. Il messaggio è quello contenuto nella Carta delle Apuane, redatta nel 2010: «Le Apuane sono sottoposte ad un regime monocolturale che mortifica ed impedisce uno sviluppo economico potenzialmente notevole: si afferma dunque che la monocoltura della cava è incompatibile con lo sviluppo economico ed occupazionale del territorio … Le Apuane possono diventare il cuore di un modello economico diverso, più equo e più fertile, che rifacendosi alle ricchissime quantità di risorse naturali, antropiche, idrogeologiche e paesistiche di questa catena, unica nel Mediterraneo e in Europa, possa estendersi alle colline e alle città costiere, nonché ai parchi limitrofi (Cinque Terre, Appennino, Magra, San Rossore) fino a costituire un formidabile complesso sociale ed economico, oltre la crisi e la bolla finanziaria». Con le Apuane, insomma, si può anche mangiare: se non ci divoriamo le Apuane.

Da leggere le finestre nella stessa pagina:

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La Rete sul caso Apuane.

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LA DISTRUZIONE DELLE APUANE
È A RISCHIO IL PIANO DEL PAESAGGIO TOSCANO

Auditorium della Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze
via Folco Portinari, 5

mercoledì 25 giugno, ore 11.30

La Rete dei comitati per la difesa del territorio convoca una Conferenza stampa per informare sul livello elevatissimo di distruzione del territorio delle Apuane, bene paesaggistico e culturale senza pari in Italia e in Europa, e per attirare l’attenzione sulle difficoltà che incontrano in questa fase i provvedimenti di legge in materia territoriale e ambientale nell’ambito della regione Toscana, segnatamente il Piano Paesaggistico.

Apre la Conferenza stampa: Mauro Chessa (Presidente della Rete)

Illustra il tema: Paolo Baldeschi (professore della Facoltà di Architettura di Firenze e membro della Giunta della Rete);

Interviene: Eros Tetti (Comitato “Salviamo le Apuane” e membro della Giunta della Rete)

Conclude: Alberto Asor Rosa.

Durante la Conferenza stampa saranno proiettate eloquenti immagini delle distruzioni in atto sulle Apuane.

Sono stati invitati a partecipare il Presidente Enrico Rossi e gli assessori regionali competenti.

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La grande bruttezza.

Cave-Monte-Valerio-175x150Il 10 Giugno 2014 la Provincia di Livorno finirà in bellezza la sua esistenza approvando il Piano delle Attività Estrattive: un piano che, salvo qualche aggiustamento nel 2010, attua con sei anni di ritardo il Piano Regionale del 2007 redatto su dati ormai vecchi di dodici/quattordici anni.

Un Piano inutile perché appunto basato su dati vecchi e ormai insignificanti, su previsioni totalmente infondate che non tengono minimamente conto delle normative europee in materia di uso di materiali riciclati che dovrebbero raggiungere nel 2020 il 70% dei materiali impiegati contro l’attuale 14% della Toscana.

Un Piano pericoloso perché attua un Piano Regionale la cui validità è scaduta nel 2012, confermando previsioni di scavo assolutamente sovradimensionate in un periodo di crisi strutturale come l’attuale, in particolare per quanto riguarda gli inerti per i quali si ammette di estrarre nei prossimi otto anni dodici milioni di metri cubi (più di quanto è stato scavato nei quattordici anni passati).

Un Piano pericoloso perché andando oltre le indicazioni del Piano Regionale, propone di trasformare il Campigliese in un “distretto degli inerti” e auspica la realizzazioni delle “grandi opere” per usare tutto il materiale possibile immaginabile che ormai, nel ciclo produttivo industriale articolato, serve solo alla Solvay, visto che le Acciaierie di Piombino si sono fermate e l’edilizia è allo stremo.

Tutte le criticità del Piano sono state denunciate dal Comitato per Campiglia il 2 Dicembre 2013 alla Commissione Ambiente della Provincia e successivamente raccolte in un documento molto articolato del 28 Febbraio 2014. In quell’occasione la Provincia aveva formalmente promesso un incontro pubblico con i cittadini e amministratori dell’area della Val di Cornia per discutere i dati e le scelte del Piano Provinciale prima della scadenza dei termini di legge per presentare le osservazioni.

Nulla di quanto promesso è stato mantenuto e il Comitato non ha volutamente presentato alcuna osservazione per protestare contro un comportamento così irrispettoso nei confronti dei cittadini e nella convinzione che tutte le osservazioni sarebbe state inutili a modificare il Piano.

Che questa convinzione fosse fondata lo dimostra il fatto che nessuna osservazione che mettesse in discussione il Piano è stata accolta e in particolare quelle del Gruppo di Intervento Giuridico, del Comune di Campiglia, della Soc. Parchi Val di Cornia, della Regione Toscana e addirittura di un Consigliere Provinciale.

Per quanto riguarda i proprietari di cave e Confindustria è stato tutto un chiedere di ampliare i limiti delle cave, malgrado la crisi. In questo caso la Provincia non si è sbilanciata e non ha accolto le osservazioni rimandandole alla Regione per competenza.

Dalla analisi delle osservazioni si può infine capire che nella sostanza tutto il Piano è servito semplicemente ad ammettere l’apertura di una nuova cava di argille in località Gozzone nel Comune di Rosignano Marittimo.

Infatti su 73 osservazioni, 42 riguardano questo tema e ben 41 chiedono di eliminare la previsione in contrasto con gli strumenti urbanistici e i vincoli esistenti. Singoli cittadini italiani e stranieri, imprenditori del turismo, agricoltori, la C.I.A., comitati, M5S, amministratori denunciano i danni che questa attività porterà al paesaggio e ad attività turistiche e agricole che creano lavoro non meno della cava già esistente nel Comune. La Provincia di fronte a questo problema, la cui soluzione pare sia la vera causa del ritardo di anni nell’approvazione del Piano, respinge tutte le osservazioni senza dare alcuna vera motivazione.

Si dimostra allora ancora una volta che amministratori e i sindacati non sono in grado di dare alcuna risposta convincente di fronte ai ricatti occupazionali e preferiscono mandare avanti un processo di distruzione del territorio che impedisce un suo diverso sviluppo economico.

Possiamo allora concludere dicendo che se è vero che quando scompare un organo rappresentativo dei cittadini, come in questo caso la Provincia, è sempre un lutto per la democrazia, è anche vero che i casi come quelli del Piano delle Attività Estrattive della Provincia di Livorno non fanno certo rimpiangere quello a cui l’organo rappresentativo in questione si è ridotto.

Comitato per Campiglia
Arch. Alberto Primi

Cave di Carrara: i beni estimati non sono privati.

imageSecondo il parere arrivato al Comune l’editto del 1751 sancì solo diritti di godimento e non di proprietà  ».

Da Il Tirreno, 8 maggio 2014. CARRARA I beni estimati non sono privati: questo il parere ufficiale del professor Emanuele Conte dell’Università di Roma Tre a cui l’Amministrazione Comunale si era rivolta per dirimere la questione delle cave intestate a soggetti privati e che il primo febbraio 1751 erano iscritte da oltre 20 anni negli Estimi dei Particolari. Con il suo famoso editto, Maria Teresa Cybo Malaspina duchessa di Massa e Carrara, volle disciplinare le concessioni degli agri marmiferi che facevano parte dei beni delle Vicinanze carraresi. E così tutelò i soggetti privati “possessori” ultraventennali delle cave vicinali. Le Vicinanze furono soppresse nel 1812 per volere del principe di Lucca e Piombino, Felice I Baciocchi, investito dei poteri anche sul ducato di Massa e Carrara. Il dominio delle Vicinanze si trasferì ai nuovi soggetti di diritto pubblico fino all’ordinamento attuale. La patata bollente è passata al Comune. Ieri 7 maggio il parere è stato distribuito ai membri della Commissione Comunale Marmo presieduta da Massimo Menconi. Secondo il professor Conte, l’editto di Maria Teresa non ha attribuito la proprietà piena e perfetta dei fondi concessi ai soggetti iscritti nell’estimo come possessori, ma ha consolidato il godimento di quei beni. C’è da ricordare che un tempo le concessioni erano perpetue e non onerose. Il Comune nel 1994 ha adotto un regolamento degli agri marmiferi abrogando, sottolinea Conte, la disciplina estense «benché sussistano in dottrina isolate voci dissenzienti». Insomma, le cave sono state identificate come patrimonio indisponibile del Comune, ma la questione dei Beni estimati, intestati al catasto come piena proprietà, è rimasta aperta. Non soggiacciono al regime concessorio pubblicistico che prevede l’acquisizione a titolo oneroso del diritto di escavazione. Cioè il canone comunale. Secondo le conclusioni dell’esperto incaricato dal Comune di dare il parere, «Conservando il dominio eminente sui terreni concessi, le Vicinanze hanno trasferito il proprio astratto diritto agli enti pubblici che hanno rilevato la titolarità pubblicistica dei territori in questione, giacché su di essi né il diritto comune degli ordinamenti previgenti, né successivamente il diritto pubblico e privato degli Stati preunitari, del Regno d’Italia e infine della Repubblica, ammettevano né ammettono usucapione né prescrizione acquisita». La relazione del prof. Conte, ricevuta dal Comune in aprile ma diffusa solo il 7 maggio, ha avuto ieri un primo passaggio nella Commissione Marmo dove sono intervenuti il vice sindaco Andrea Vannucci e il dirigente Marco Tonelli. Di fatto ora il Comune, confortato da tale parere, procederà ad una nuova regolamentazione, tesa a cancellare di fatto i beni estimati, in sinergia con la Regione che sta mettendo mano alle legge 78/98. Probabilmente ci sarà un periodo di transizione più o meno lungo.«Le conseguenze – ha detto Vannucci – sono: contenuto economico, possibilità di affidamento di tutte le concessioni con procedura di evidenza pubblica. Il parere ci conforta». Obiezioni da parte dei consiglieri De Pasquale (5 Stelle) e Bienaimé (Carrara bene comune, Idv, Verdi e Fabbrica della sinistra) la quale ha alzato i toni della discussione in Commissione contestando l’operato dell’amministrazione. Vannucci ha replicato che il regolamento degli agri marmiferi del 1994 si è occupato essenzialmente delle concessioni pubbliche, ma non risolse il problema dei Beni estimati. Il vice sindaco rispetto al parere avuto dal Comune, prevede ricorsi da parte di chi ha i Beni estimati: «Non credo ci siano intenzioni bellicose, quanto conservatrici. Ma, o si evolve il sistema o il sistema crolla. Il cambiamento è l’unica garanzia per la continuità dell’attività alle cave. Sì, ci aspettiamo ricorsi ma secondo me se ci saranno, faranno un danno alla collettività CARRARA. La consigliera comunale Claudia Bienaimé commenta: «I beni estimati non costituiscono diritti privati ma semplici diritti di godimento». Sostiene che il professor Conte «non fa che ribadire ciò che anche altri in passato avevano sostenuto, ricordiamo i pareri dei Dott.ri Battistoni Ferrara, Piccioli e Barile che affermavano un’unica verità: Maria Teresa con il suo editto volle ribadire che gli agri marmiferi erano di proprietà delle Vicinanze (oggi Comuni) e che gli occupanti senza titoli sarebbero stati iscritti in catasto ma prevedeva a loro favore solo un diritto di godimento e non un diritto di proprietà, stante che il dominio diretto rimaneva in capo alle Vicinanze. Questo principio della proprietà di tutte le cave in capo al Comune venne ribadito in tutti gli atti successivi in particolare nel Catasto estense del 1824 e nel regolamento comunale approvato nel ’94. Questa vicenda – conclude la consigliera – chiude una fase dove vi erano cavatori di serie A, di serie B; e chi paga e chi non paga».

Il commento di Legambiente, su Greeen Report, 14 maggio

Cave, i beni estimati sono pubblici: inizia il coro dei piagnistei? Non si è ancora spenta l’eco della divulgazione del parere giuridico che conferma la proprietà pubblica dei beni estimati e già iniziano a levarsi le prime voci di quello che, immaginiamo, diventerà un coro straziante volto a impietosire i carraresi sul triste destino che ha colpito i titolari di beni estimati. Gara pubblica per le concessioni di cava: un vero esproprio? Apre il coro il titolare della cava Artana B, preoccupato dalla prospettiva che le concessioni siano assegnate mediante gara pubblica e, pertanto, la sua cava, acquistata dal nonno, domani possa essere assegnata ad altri. Gli alti lai, peraltro, sono accompagnanti dall’esclamazione «se il Comune la metterà a gara, sarà un vero e proprio esproprio!», rivelatrice della convinzione che i beni estimati siano proprietà privata, come i titolari hanno sempre rivendicato. Non mancano le solite argomentazioni, economiche (se acquisto macchinari e poi perdo la cava, come li ripago?) e perfino ambientali (se sapessi di avere la cava per un periodo limitato scaverei a man bassa senza curarmi delle conseguenze, lasciando i problemi al concessionario successivo). Segue la proposta: fateci pure pagare il canone come gli altri, ma non mettere a gara le cave e lasciatele alle famiglie che hanno pagato quei terreni. Primi appoggi politici: il soccorso azzurro. A loro supporto, in perfetta sincronia, interviene il centrodestra locale sostenendo che i beni estimati devono essere considerati come un “affitto perpetuo” e quindi i titolari di cava sono come inquilini che devono pagare l’affitto, ma non possono essere sfrattati. Concedi un dito e ti prendono il braccio. Sembra di assistere alla stessa recita già inscenata dai balneari contro la direttiva Bolkestein: in tanti anni di concessione demaniale abbiamo migliorato la spiaggia e fornito servizi, ed ora avete il coraggio di mettere a gara il frutto del nostro lavoro? È evidente il totale capovolgimento del concetto di concessione: anziché ringraziare perché è stato loro “concesso” di sfruttare (per un dato periodo e a certe condizioni) un bene pubblico, rivendicano il “diritto” di continuare ad usufruirne indefinitamente. Allo stesso modo, i titolari di beni estimati, anziché ringraziare per aver sfruttato per decenni le cave (senza peraltro pagare alcun canone!), si atteggiano a povere vittime e rivendicano di fatto la perpetuità della concessione (peraltro mai rilasciata). Sembrano dimenticare che da ormai venti anni la Corte Costituzionale ha sentenziato l’onerosità e la temporaneità delle concessioni e che il Comune (non solo per rispettare le direttive europee) è tenuto a mettere a gara le cave (suoi beni indisponibili), evitando rendite di posizione nell’interesse di tutti i carraresi. Gara pubblica: uno stimolo positivo anche per l’imprenditoria. Merita ricordare infine che l’assegnazione mediante gara pubblica delle concessioni (per le quali proponiamo una durata decennale) è uno stimolo al continuo miglioramento dell’imprenditoria del marmo e delle ricadute sulla città: se il Comune accoglierà la nostra proposta, infatti, le cave saranno assegnate a chi avanza la miglior offerta economica, garantisce la maggior percentuale di blocchi lavorati in loco (quindi maggior occupazione), il minor impatto ambientale e il piano d’escavazione più razionale. Se gli attuali titolari sapranno raccogliere la sfida non avranno nulla da temere: potranno addirittura assicurarsi la concessione di una cava migliore dell’attuale. Legambiente Carrara http://www.greenreport.it/news/urbanistica-e-territorio/cave-i-beni-estimati-pubblici-inizia-coro-dei-piagnistei/#prettyPhoto