Milano e Firenze, chiese a uso privato.

imagesdi TOMASO MONTANARI,
Il Fatto quotidiano, 16 Maggio 2014.

Stasera la banca d’affari newyorchese Morgan Stanley accoglierà i suoi danarosissimi ospiti per una cena ultraesclusiva (organizzata dall’albergo di lusso Four Seasons) nel Cappellone degli Spagnoli, che è la sala capitolare trecentesca di Santa Maria Novella a Firenze. Si chiama così perché, a metà del Cinquecento, divenne la cappella dove si riunivano gli spagnoli del seguito di Eleonora di Toledo, moglie del granduca Cosimo I. È, insomma, una chiesa – con tanto di grande crocifisso marmoreo sull’altare – completamente coperta di affreschi che raccontano la spiritualità e le opere dell’ordine mendicante fondato da San Domenico. La brillante idea di usarla come location al servizio della grande finanza responsabile della crisi è del vicesindaco e candidato a sindaco Dario Nardella: la cappella è, infatti, compresa nel circuito museale comunale. Rispettando più il desiderio di discrezione del gruppetto di super-ricchi che non il diritto dei cittadini a essere informati dell’uso del loro patrimonio monumentale, il Comune ha tenuto finora segreto l’evento. Ma si apprende che il beneficio economico sarà minimo: meno di 20 mila euro, che dovrebbero essere destinati al restauro di un’opera d’arte. La precipitosa e silenziosa organizzazione della serata – gestita direttamente da Lucia De Siervo, responsabile della Direzione cultura di Palazzo Vecchio e membro del cerchio magico renziano – potrebbe comportare la temporanea chiusura della chiesa di Santa Maria Novella (eventualità che ha fatto infuriare il Fondo Edifici di Culto del ministero dell’Interno, proprietario del tempio), e obbligherà a collocare le cucine in un chiostro del convento ancora di proprietà dei frati, all’oscuro di tutto. Nardella, evidentemente, non cambia verso rispetto a Renzi: l’unico uso del patrimonio pubblico è ancora quello commerciale. Ma vista la grottesca esiguità del canone, è evidente che il vero movente è piuttosto quello di disporre di queste location per costruire e consolidare la rete dei rapporti politici ed economici del gruppo dirigente renziano, assai proclive a frequentare la più spregiudicata finanza internazionale. Colpisce che il connubio chiesa-lusso-affari non turbi i sonni di politici che non perdono occasione per esibire il proprio cattolicesimo. Negli affreschi del Cappellone i milionari vedranno San Domenico, ardente di amore per la povertà, che converte e confessa coloro che vivono nel lusso: ci si riconosceranno? Poco più in là vedranno rappresentato il trionfo di San Tommaso d’Aquino, il grande filosofo medioevale che scrisse che “il lucro non può essere un fine, ma solo una ricompensa proporzionata alla fatica”, e che “nessuno deve ritenere i beni della terra come propri, ma come comuni, e dunque deve impiegarli per sovvenire alle necessità degli altri”. Chissà cosa avrebbe pensato se avesse saputo che la sua immagine dipinta avrebbe un giorno decorato la location di un banchetto per i super squali che hanno costruito la più grande disuguaglianza della storia umana. Il prossimo passo quale sarà? Far sfilare modelle in biancheria intima su un altare? Ma si è già fatto, e proprio a Firenze: in Santo Stefano al Ponte, con la benedizione della Curia. Si arriverà a prestare pezzi di chiese gotiche a centri commerciali? Già fatto anche questo: Oscar Farinetti ha appena annunziato che porterà un pezzo del Duomo di Milano nel suo supermercato sulla Fifth Avenue, a New York, per la precisione “due guglie”. E sì, la Veneranda Fabbrica del Duomo (quella che voleva mettere un ascensore per fare una terrazza da aperitivi sul tetto della Cattedrale) gli presta due guglie da tempo musealizzate, con relative statue di santi. Non per un progetto scientifico, ma come attrazione: insieme a quattro di quelle che Farinetti ha chiamato “grondaie” (le gronde gotiche), e a quella che ha definito “una statua di Santa Lucia incinta”. Ora, Santa Lucia era vergine e finì martire: ma incinta non risulta, e probabilmente l’esuberante Farinetti ha frainteso la veste goticamente cinta sotto il seno della bellissima Santa Lucia del Maestro del San Paolo Eremita, che verrebbe strappata al circuito del Museo del Duomo. Ma il punto non è la gravidanza della statua, né la cultura del patron di Eataly: il punto è chiedersi se abbia senso portare pezzi di una grande chiesa medioevale in un supermercato di cibo a New York, o far banchettare i banchieri in una chiesa del Trecento. Il Vangelo dice che non si può servire a due padroni, e che si deve scegliere tra Dio e il denaro: bisogna riconoscere che sia la Veneranda Fabbrica sia Nardella hanno scelto. Ma anche chi non ha scrupoli religiosi dovrebbe preoccuparsi per la distruzione della funzione civile del patrimonio culturale. Chi crede nel marketing dovrebbe interrogarsi sulla ridicola entità degli utili, e chi immagina che questa privatizzazione sia la via del futuro dovrebbe farsi qualche domanda sulla mancanza di trasparenza. Gli unici che in nessun caso avranno dubbi sono i pochissimi che ci guadagnano: questo è certo.

Come è andata a finire? Invece di 20.000 €, viste le polemiche, ne sono stati chiesti 40.000!

Lo leggiamo su: Repubblica 18 maggio Monumenti in affitto

Ricetta Renzi: Uffizi, macchina da soldi privati.

uffizi01di TOMASO MONTANARI, Il Fatto Quotidiano, 3 maggio 2014. «Gli Uffizi sono una macchina da soldi, se li facciamo gestire nel modo giusto», ha dichiarato Matteo Renzi il 29 novembre 2012. A giudicare da quel che si è visto giovedì sera a Servizio Pubblico, almeno quest’unico punto del programma dell’ex sindaco di Firenze si è avverato: nel celebre palazzo vasariano, un invalicabile muro di corpi traspiranti preclude ogni possibilità di vedere le opere d’arte. Il limite di sicurezza prevede la compresenza di 980 persone al massimo. Nelle scorse settimane, dipendenti e giornalisti ne hanno contate invece almeno fino a punte di 3.500. Meglio non chiedersi cosa sarebbe successo nel caso di un’evacuazione d’emergenza. No, è una novità: negli ultimi anni si sono susseguiti esposti e denunce, soprattutto da parte dei sindacati dei dipendenti, ma senza sortire alcun effetto: lo sciacallaggio intensivo del Rinascimento è l’unica economia della città, e guai a chi dice che ormai la vacca non solo stramazza dalle mungiture, ma è anzi prossima alla macellazione. Ci vogliono un Leonardo distrutto o un turista morto per far capire che gli Uffizi sono sul punto di esplodere? La faccia della soprintendente Cristina Acidini, di fronte alle telecamere di Santoro, è la risposta: non sento, non vedo, non parlo. D’altra parte, un processo della Corte dei conti chiede 600.000 euro di danno erariale alla signora, che nel 2009 ha fatto comprare allo Stato un crocifisso ligneo attribuito a Michelangelo e prezzato da lei stessa. E se nessuno dei cinque ministri che si sono succeduti da allora ha pensato bene di destinarla ad altro incarico è anche perché la Acidini garantisce il rapporto di ferro che lega il Polo Museale al concessionario, che è Opera Laboratori Fiorentini, di Civita Cultura (presidente Luigi Abete), a sua volta parte di Associazione Civita (presidente Gianni Letta). Tanto che il portavoce del concedente (cioè il Polo Museale) è un ex giornalista del Giornale della Toscana di Denis Verdini, ora dipendente di Opera: un portavoce a cui la Acidini ha addirittura consentito di curare un’incredibile mostra di documenti storici a Palazzo Pitti. Il legame tra Opera e Polo è ormai cementizio: la concessione risale nientemeno che al 1996, ed è andato avanti di proroga in proroga, alla faccia della libera concorrenza. Ed è Opera a staccare i biglietti per gli Uffizi, e dunque a governarne gli accessi e a decidere la sorte delle opere, la condizioni della visita, lo stato reale della sicurezza. In verità, la legge Ronchey prevede che si possa (ma non che si debba) cedere a un privato for profit come Opera la biglietteria di un museo come gli Uffizi. E le immagini di Servizio Pubblico dimostrano che non è una buona idea dare le chiavi del nostro patrimonio culturale a chi non ha altra bussola che il proprio profitto. Perché il risultato è la socializzazione delle perdite e la privatizzazione degli utili: incassando a percentuale, il concessionario ha interesse a farcire il museo come il tacchino del Ringraziamento, senza curarsi dell’usura delle opere, del drastico abbassamento della qualità della visita, e del rischio sicurezza. E non è solo un problema di biglietti. Nello scorso dicembre, i lavoratori del Polo hanno contestato la decisione dell’Acidini di affidare le visite guidate del Corridoio Vasariano alla solita Opera. Essi fecero notare che i dipendenti pubblici erano più che capaci di gestire da soli la cosa, il che avrebbe evitato le assurde tariffe del servizio privatizzato con Civita: 34 euro a prezzo pieno, 25 il ridotto e 16 il… gratuito! Ma nonostante tutto, si continua a perseverare sulla strada della “macchina da soldi”. Nemmeno le immagini girate in galleria hanno indotto Philippe Daverio (ospite di Santoro) a cogliere il punto: il noto divulgatore ha pensato bene di ripetere che gli Uffizi dovrebbero fare i numeri del Louvre. Qualcuno dovrebbe spiegargli che il Louvre è quasi 12 volte più grande degli Uffizi per dimensioni fisiche e ha un numero di opere d’arte che è circa 76 volte quello degli Uffizi. Considerando che i visitatori del Louvre sono solo 5 volte più di quelli degli Uffizi, dovremmo piuttosto meravigliarci che non ci sia stato ancora il morto. Al contrario, nei 44 punti che strutturano la sua “rivoluzione” della Pubblica amministrazione, Renzi ha incluso l’idea di introdurre “una gestione manageriale nei poli museali”: il che vuol dire continuare a badare solo ai profitti (sperando almeno che siano pubblici), e non alla sostenibilità culturale e alla sicurezza dei lavoratori e dei visitatori dei musei. Chissà se Renzi si è mai chiesto perché da 20 anni gli Uffizi non appartengono più ai fiorentini, che ci mettono piede solo da bambini e poi si tengono alla larga da quella specie di pericoloso bagno turco sontuosamente decorato.

Fiesole: la storia incredibile continua

fiesole-piazzaPer essere giovani non basta avere 30 anni!

Lettera aperta (con immagini) al “giovane” candidato sindaco di Fiesole del Partito Democratico. Di Paolo Della Bella.

Gentile Andrea Cammelli,

leggo sul suo sito che era in terza media quando cadeva il muro di Berlino, che ha votato per la prima volta nel 1994 e che è cresciuto nell’Italia di questo ventennio. Facendo due calcoli si desume che nel 2004 lei avesse, più o meno, ventotto anni. Dico questo perché mi pare fosse abbastanza adulto da vedere invece i “muri” eretti a Fiesole. Inoltre, è sempre lei che scrive, nel 2007 contribuisce a fondare il Partito Democratico (quello fiesolano naturalmente!), e nel 2009 è eletto Consigliere Comunale. Confesso, sicuramente per colpa mia che sono vecchio e distratto, di non essermi mai accorto della sua esistenza; oggi invece nell’apprendere che lei “crede” di non avere colpe dei ricordati muri, implicando, di fatto, i suoi “vecchi” sostenitori, mi chiedo: dov’era in quel periodo? Forse, come molti altri suoi simili, aveva metaforicamente parlando la testa sotto la sabbia!

Come le dicevo sono abbastanza vecchio e a differenza di lei non ricordo quando ho votato la prima volta; ho visto il muro di Berlino da entrambe i lati e ho vissuto, “a testa alta”, anche l’ultimo decennio fiesolano. Tant’è che mi sono preso, sempre metaforicamente parlando solo “sberle”. Questo perché ho osato esprimere il mio dissenso per quei “muri” di cui sopra.

Quando fu abbattuto il muro di Berlino, io a differenza di lei ero adulto e… felice. Quando sono stati eretti i “muri” fiesolani ero un po’ più adulto e meno felice.

Fuor di metafora le vorrei chiedere se ricorda quando il “Comitato per Fiesole” denunciava gli scempi che si compivano in nome della modernizzazione? Un opuscolo e un grande convegno proprio su questi problemi sono datati 2007, l’anno in cui lei “contribuisce a fondare il Partito Democratico”. Si ricorda o aveva ancora la testa sotto la sabbia? Potevamo allora “cambiare direzione” e non ritrovarci a dover subire scelte scellerate. Oggi è sotto gli occhi di tutti che (coloro) avevano ragione! Vediamo allora perché avevano ragione.

La invito a fare una breve passeggiata esemplificativa, altrimenti per osservare tutti i misfatti del territorio fiesolano rischio, sempre per la mia avanzata età, uno scompenso cardiaco!

Partiamo da piazza Mino. Una piazza assurda, improvvisata, finta, come le copie di città che fanno i giapponesi. Una piazza senza personalità, con un una “cantina”, perché quella che oggi è definita la “sala del Basolato” è poco più che una cantina, con tanto d’infiltrazioni e umidità. C’è costata non so bene quanti milioni di euro, e non può essere utilizzata per quello per cui è nata. Spero di essere smentito ma sembra che non ci sia l’agibilità per farci il tanto decantato Front Office. Se fosse vero, sarebbe da denuncia penale per chi l’ha fatta e per chi l’ha autorizzata. Legga cosa mi scriveva il suo Sindaco in proposito:

«Gli spazi che saranno ricavati sotto il terrazzamento del Comune non sono Ufficetti: serviranno ad accogliere funzioni pubbliche e museali, ad accogliere cittadini, ad offrire servizi, iniziative culturali e a dare un significato diverso a Piazza Mino. Inoltre serviranno ad accedere direttamente in Comune con l’abbattimento di tutte le barriere architettoniche e ad offrire un nuovo ingresso al Municipio [•••] occorre uno spazio dove ricevere i cittadini, fornire ogni pratica, servizio ed opportunità».

Per fare questi assurdi e costosissimi lavori, si è perso irrimediabilmente, causa un inutile ascensore e delle inservibili scale, spazi bellissimi sulla piazza, a livello della strada e dov’era assai facile fare l’accesso per i disabili.

Gli evidenziati sono gli spazi persi.

Andiamo avanti, verso piazza Garibaldi. Stendiamo un velo pietoso. Abbiamo svenduto a un privato «Alberto Aleotti l’evasore d’oro del Lichtenstein», come titolavano i giornali nel 2010, per fargli fare un certo numero di appartamenti. Quali vantaggi ne avrà la cittadinanza? E il tanto decantato turismo? A quali viaggiatori pensa quando auspica che facciano meta nella nostra città? A quei perversi che sghignazzeranno davanti alle case dell’evasore!

Dov’era quando si compiva il misfatto. Sempre con la testa sotto la sabbia?

In questi casi, perdoni la malignità, mi viene in mente l’inflazionata citazione andreottiana, «a pensare male si fa peccato ecc. ecc…..»!!!

E non è finita, Questo è un articolo recente, come può vedere!!!

Sempre dalla lettera citata sopra, le propongo un altro brano:

«[…] Fu così firmata la Convenzione del 2004, col Cav. Aleotti di Menarini, per un Piano di recupero che prevede: 7.500 metri cubi per realizzare un Fondazione di studi e ricerca scientifico/farmaceutica. 2.500 metri cubi pubblici con i quali il Comune si allargherà e concentrerà in un unico Municipio tutte le sue funzioni. [•••] La parte centrale dell’area Garibaldi sarà mantenuta a verde e diverrà un parco pubblico dove saranno visibili anche i ritrovamenti archeologici. Il vecchio cisternone del Carraresi sarà recuperato per la nuova Sala consiliare e un Centro Incontri».

Lei ne era a conoscenza? Oppure sono, come molte delle cose dette e scritte dal suo Sindaco, “sciocchezze”. Uso volutamente questo termine mutuato proprio da una sua definizione nei confronti dei dissidenti.

 

Andiamo in piazza del mercato e “visitiamo” l’Auditorium. Questo sì pietra dello scandalo. Le ultime notizie dicono che ci piove, ma non vorrei essere banale chiosando, “governo ladro”!

Un sindaco, sempre il suo Sindaco, l’ha avviato e dopo due mandati non riesce a inaugurarlo. Sono dieci anni da quando sono iniziati i lavori, lei era giovane, non aveva ancora contribuito a fondare il Partito Democratico, e ancora non se ne vede la fine. A essere cattivi potremmo dire che probabilmente finisce prima il Partito Democratico. Non le pare un tempo inammissibile, soprattutto se pensiamo a un’opera più ambiziosa che utile. Tanto per fare un esempio, che penso anche lei abbia studiato in terza media, la costruzione del Colosseo fu iniziata da Vespasiano nel 72 dC. e fu inaugurato da Tito nell’80, sempre dC. ovvero otto anni dopo.

E pensare che nell’introduzione all’opuscolo Opere a Fiesole del giugno 2004, il Sindaco uscente e quello entrante, scrivevano:

«Avere un Auditorium è dunque una necessità irrinunciabile per la città [•••] Finalmente diamo il via ai lavori e fra due anni Fiesole avrà il suo Auditorium»

Come sempre succede, i tempi previsti slittano per qualche intoppo inevitabile, ma potevamo sperare di inaugurarlo almeno quando lei contribuiva a fondare il Partito Democratico, cioè nel 2007. Sarebbe stato un bell’ambo!

Ecco com’era piazza del mercato negli anni ’90.

Ecco invece una foto del novembre del 2013.

Lei sa quant’è costato alla comunità questo inutile e oggi arrugginito oggetto che a questo punto dobbiamo riconvertire quindi spendere altri soldi, se vogliamo farci qualcosa di decente? Chissà perché, di nuovo, mi ritornano in mente la sua adolescenza e il muro di Berlino!

Arriviamo all’area ex macelli. Come dire al peggio non c’è mai fine. Uno spazio con una potenzialità straordinaria per la sua ubicazione. Sotto ci sarebbero stati i parcheggi che avrebbero risolto il problema a Fiesole; bastavano un po’ più di saggezza e di buonsenso! Anche in questo caso è stato venduto un bene pubblico a una società privata, per edificarci case ancora oggi quasi tutte invendute (Chi compra delle case così brutte, così care, 6.500 euro al mq, e per giunta con i bagni senza finestra!). Davvero un oltraggio al pudore. Nel 2006, quando lei aveva 30 anni e si accingeva a contribuire alla fondazione del Partito Democratico, l’assessore all’Urbanistica più mediocre della storia, in una delle tante assurdità che ha scritto, oltre a sostenere il falso ovvero che l’area ex macelli «era da decenni in stato di sostanziale abbandono», asseriva che fosse «di importanza strategica per la ridefinizione dell’assetto urbanistico del capoluogo». (sic!)

Guardi bene questa foto, è del 2005. Le pare una zona così “degradata”?

Invece questo obbrobrio sarebbe “d’importanza strategica per la ridefinizione dell’assetto urbanistico del capoluogo”!!!

Appare chiaro che, strategica o no, quest’area doveva essere usata in un modo più appropriato e francamente, gli esempi e i consigli, volutamente non accolti, non sono certo mancati.

Mi deve scusare se mi ripeto, purtroppo è l’età, ma anche in questo caso mi vengono alla mente la sua adolescenza e il muro di Berlino!

Finita la passeggiata, torniamo indietro? Torniamo pure al titolo, per replicare che non basta avere 30 anni (e nemmeno 38) per essere giovani.

Ci vuole del tempo come diceva Picasso, e col tempo voglio pensare che ci riuscirà anche lei.

Oggi la sua idea di politica è ancora vecchia, legata a schemi e personaggi ormai logori. È la forma “Partito” che non regge più. Specialmente nelle amministrazioni locali, c’è bisogno di persone libere da vincoli e “obblighi” ai quali dover rendere conto e non di “utili idioti”, per usare una definizione tornata oggi agli onori della cronaca. Persone che a un certo punto della loro esperienza di vita, anche politica, si accorgono con entusiasmo di stare diventando “giovani”! Perché, come cantava Jacques Brel, «…ci vuole del talento / ad esser vecchi e non adulti».

Cordiali saluti

Paolo della Bella

 

La novità di Renzi: le mani sulla città.

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Repubblica, con buona pace dell’art. 9 della costituzione, lo sostiene, di TOMASO MONTANARI, Il Fatto Quotidiano, 13 marzo 2014.

Non c’è davvero nulla di nuovo in Matteo Renzi, a parte la grinta: c’è solo un intenso bricolage che ritaglia da destra, e incolla malamente a sinistra, spezzoni di pensiero, parole d’ordine, slogan. Uno dei più impresentabili che Renzi ha preso di peso dal repertorio populista e selvaggiamente liberista di Silvio Berlusconi è il “padroni in casa propria”. Un’idea texana della convivenza civile che significa che ciascuno deve essere libero di cementificare, sfigurare, distruggere pezzi di ambiente, di paesaggio, di patrimonio storico artistico.

Fin da quando era sindaco, Renzi ha polemizzato aspramente contro quelle che chiama “le catene” imposte dalle soprintendenze, istituzioni “ottocentesche” che impedirebbero la “modernizzazione del Paese”. “Sovrintendente – ha scritto nel suo tragicomico libro Stil novo – è una delle parole più brutte di tutto il vocabolario della burocrazia. È una di quelle parole che suonano grigie. Stritola entusiasmo e fantasia fin dalla terza sillaba. Sovrintendente de che?”. Renzi sembra non accorgersi di vivere in un paese massacrato da uno “sviluppo” pensato solo in termini di cementificazione: un paese compromesso non dai troppi no, ma semmai dai troppi sì, delle soprintendenze. E non sono solo le opinioni di Renzi, a preoccupare: è il suo governo di Firenze a far capire come la pensi in fatto di cemento. Vezio De Lucia ha notato come nel piano strutturale del 2010 “le previsioni relative alla proprietà Fondiaria (un milione e 200 mila metri cubi) sono riportate come fossero già attuate: per non smentire la propaganda del sindaco Renzi a favore del piano a sviluppo zero”. Sapendo che il cemento non è telegenico, Renzi cerca di non parlarne troppo. Tanto più stupisce che sia un giornale come Repubblica – subito improbabilmente seguito da Italia Oggi – ad abbracciare, in scala uno a uno, un simile programma. Archiviato il pensiero di Antonio Cederna, sconfessato quello di Salvatore Settis, ora è Giovanni Valentini a scrivere sul giornale di De Benedetti che “troppo spesso le soprintendenze diventano fattori di conservazione e di protezionismo in senso stretto, cioè di freno e ostacolo allo sviluppo, alla crescita del turismo, e dell’economia”.

L’articolo, in prima pagina domenica scorsa, ha lasciato basiti migliaia di lettori che vedevano da sempre in Repubblica un presidio sicuro per la difesa dell’articolo 9 della Costituzione: e da allora si susseguono sul web risposte incredule e indignate di associazioni, funzionari di soprintendenza, singoli cittadini.

È in questa prospettiva che Renzi diventa il campione delle “mani libere” contro le soprintendenze, che l’avrebbero ostacolato nell’allestimento della cena della Ferrari su Ponte Vecchio e fermato nei “sondaggi tecnici” sulla Battaglia di Anghiari di Leonardo in Palazzo Vecchio. Peccato sia tutto falso: sull’osceno noleggio del ponte l’asservita soprintendenza fiorentina non ha aperto bocca, ed è stata una partita tutta giocata dal Comune, con tanto di permesso ufficiale concesso il giorno dopo la manifestazione, e con un incasso pari alla metà di quello sbandierato da Renzi. Quanto a Palazzo Vecchio, giova ricordare che la Battaglia di Anghiari semplicemente non esiste, e che Renzi è stato fermato non dalla soprintendenza (anche in quel caso succube), ma dalla comunità scientifica internazionale, compattamente insorta contro una farsa pseudoscientifica che fa ancora ridere i direttori dei più grandi musei del mondo. Ma i banali dati di fatto non devono oscurare la retorica del Presidente del Fare che spezza trionfalmente i lacci e i lacciuoli frapposti da questa oscura genìa di burocrati. A quando un suo ritratto a torso nudo, mentre aziona una betoniera calpestando l’articolo 9?

L’altra faccia di questa usurata medaglia è l’incondizionato inno ai salvifici privati. Chiedendo la fiducia al Senato, l’unica cosa che Renzi ha saputo dire sulla cultura è che “se è vero che con la cultura si mangia, allora bisogna fare entrare i privati nel patrimonio culturale”. Peccato che i privati ci siano da vent’anni, nel patrimonio, e che a mangiarci da allora non sia lo Stato, ma solo un oligopolio di concessionari fortemente connessi con la politica. E la ricetta è tanto originale che il punto 41 di Impegno Italia (il documento cui ha inutilmente provato ad aggrapparsi Enrico Letta) prevedeva un’unica ideona: “Incentivare lo sviluppo dei servizi aggiuntivi da dare in concessione ai privati”.

Di fronte ai crolli di Pompei, Renzi ha gridato: “L’Italia è il paese della cultura, e allora sfido gli imprenditori: che state aspettando?”. Quando era sindaco di Firenze, Renzi sfidava sistematicamente lo Stato a fare il proprio dovere in fatto di tutela del patrimonio. Ora che lo Stato è lui, sfida gli imprenditori. Fosse il presidente di Confindustria, ce l’avrebbe con gli enti locali. Non c’è davvero nulla di nuovo, se non che il repertorio da palazzinaro anni Sessanta è passato tale e quale dal fondatore di Forza Italia al segretario del Partito democratico. È il manifesto di una nuova stagione di Mani sulla città, un ritorno alla bandiera inverosimile del “più cemento = più turismo”. E siamo solo all’inizio.

NB: Per leggere tutti gli interventi a proposito dell’articolo di Giovanni Valentini si rimanda al sito Carte in regola