Luglio 2014 – Selezione della stampa. Il patrimonio.

Intorno alla riforma delle sovrintendenze e altre questioni.

Dove si discute delle iniziative del governo Renzi. E ancora del Piano Paesaggistico della Regione Toscana.

05 07 2014. FQ. Montanari, Il piano che salva il paesaggio

16 07 2014. CorrSera. Immobili, il progetto Patrimonio Italia

16 07 2014. Repubblica. Erbani, Rivoluzione ai Beni culturali, via i soprintendenti dai grandi musei

17 07 2014. RepF. Lo storico Montanari, Avranno più potere dei soprintendenti

17 07 2014. RepFI. Dubbi e incertezze, il Polo in fermento

19 07 2014. Messaggero. Meno poteri di veto alle sovrintendenze

25 07 2014. CorrFior. Il pretesto del paesaggio per ostacolare le imprese

30 07 2014. Manifesto. Asor Rosa, Il governo va all’assalto

30 07 2014. Repubblica. Settis, se troppo successo fa male al museo

Il governo Renzi va all’assalto dei beni comuni.

14620090691_3fccc1e50f_zdi ALBERTO ASOR ROSA, Il Manifesto, 30 Luglio 2014. Quando si scrive di politica… quando io scrivo di politica, mantengo sempre, per quanto mi riesce, un atteggiamento di dubbio formale e sostanziale. Sì, è così, mi sembra che sia così, però… Delle affermazioni e conclusioni contenute in questo articolo sono invece assolutamente certo. Verrebbe voglia di dire: allarme, cittadini, sono in pericolo la vostra esistenza e il vostro futuro, e quelli dei vostri figli. Levate la testa prima che sia troppo tardi. Mi riferisco agli atteggiamenti e alle promesse che il governo Renzi dispensa a piene mani in materia di ripresa economica e, contestualmente, di ambiente, territorio, beni culturali, paesaggi italiani. Non c’è in giro il minimo straccio di piano industriale. Ma in compenso c’è, a quanto sembra, un piano ormai pensato ed elaborato, anche nei suoi particolari dispositivi di attuazione, per quanto riguarda il già troppo martoriato volto del nostro paese, cui si continua a ricorrere, in mancanza di altro, tutte le volte in cui si deve dare l’impressione di rimettere in movimento la macchina. Qui il più spregiudicato nuovismo coincide con il più arretrato vecchismo: come, per l’appunto, rischia di essere sempre più naturale in questo nuovo contesto. Il discorso potrebbe, anzi dovrebbe, essere assai lungo. Io invece mi liniterò a disegnare una traccia del possibile, anzi, ormai facilmente prevedibile percorso che ci sta davanti. Bisogna infatti, in questo caso più che in altri, essere pronti a prevenire, piuttosto che aspettare, come sempre più spesso accade, che i giochi siano fatti. Le mie fonti sono esclusivamente quelle parlamentari (dibattito, decreti legge e disegni legge, ecc.) e quelle rappresentate dalla grande stampa d’informazione: le une e le altre, mi pare, attendibili. Si leggano, ad esempio, se ancora non lo si è fatto, gli articoli apparsi recentemente in rapida successione su “la Repubblica”. Già i titoli esprimono con sufficiente eloquenza di cosa si tratti: «Entro fine luglio arriva “SbloccaItalia” » (2 giugno); Renzi: «sbloccheremo 43 miliardi» (24 luglio); «Arriva lo SbloccaItalia: permessi edilizi più facili e grandi opere accelerate, fuori le imprese in ritardo» (28 luglio); le anticipazioni non fanno molta differenza fra le opere in ritardo per motivi burocratici o altro, e quelle nei confronti delle quali si è manifestata la consapevole opposizione dei cittadini in nome di una vivibilità che fa tutt’uno con il rispetto del territorio e dell’ambiente. Anzi: facendo intenzionalmente (ripeto: intenzionalmente) di ogni erba un fascio, si adotta la parola d’ordine dello sviluppo a tutti i costi, lanciando anatemi contro tutti i coloro che vi si oppongono in nome di sacrosante pretese. In un’intervista al «Corriere della sera» (13 luglio) il nostro leader tira fuori la parte più consistente della sua personalità etico-politica: «Nel piano SbloccaItalia c’è un progetto molto serio sullo sblocco minerario… Io mi vergogno di andare a parlare delle interconnessioni fra Francia e Spagna, dell’accordo Gazprom o di South Stream, quando potrei raddoppiare la percentuale del petrolio e del gas in Italia e dare lavoro a 40 mila persone e non lo si fa per paura delle reazioni di tre, quattro comitatini.…». È noto che il disprezzo che cala dall’alto si esprime sempre attraverso un tentativo di ridimensionare la portata degli eventuali antagonisti: «comitatini», appunto, come Minzolini? ecc. ecc.

Il miracolo della bozza Ma le ultime anticipazioni indicano con chiarezza ancora maggiore in quale direzione si muove questo nuovo-vecchio grande piano di sviluppo. Il giornalista di Repubblica (in questo caso Roberto Petrini, 28 luglio) spiega infatti che «secondo una bozza del testo… si andrebbe incontro a una piccola rivoluzione nel rilascio delle concessioni edilizie…». E cioè: «Con la riforma ci si potrà rivolgere direttamente allo sportello unico, muniti di autocertificazione con le caratteristiche essenziali del progetto, realizzata da uno studio professione, che testimonia il rispetto del piano regolatore e delle altre norme urbanistiche. A quel punto lo sportello unico avrebbe trenta giorni di tempo per rispondere, nel caso contrario si potrebbe procedere ai lavori…». Sembra di avviarci a stare nel paese di Bengodi. Lo sportello unico! Trenta giorni di tempo per rispondere! Non sarebbe più semplice dire che in Italia si potrà intraprendere qualsiasi iniziativa edilizia (e consimili, naturalmente), senza che vi sia più la possibilità di entrare nel merito? L’appello, contemporaneo e conseguente, che il Premier ha rivolto ai Sindaci affinché presentino la lista delle loro opere incompiute o non iniziate mira a costituire una imponente galassia di interventi, mediante la quale premere sull’opinione pubblica per ottenere il più largo consenso. Parallelamente al profilo d’interventismo attivo delineato da progetto di Sbloccaitalia si è mosso il disegno di legge «per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo» che di fatto è una vera riforma del Ministero dei Beni culturali ed è stato votato dalla Camera dei Deputati il 9 luglio scorso. Le idee basilari mi sembrano due: (1°. Innanzi tutto l’idea che il patrimonio culturale e artistico, di cui gode l’Italia, vada considerato nei suoi aspetti di massa economica potenziale da sfruttare fino in fondo più che come un bene universale umano, innanzi tutto da tutelare e (2°, conseguente al primo, il tentativo di sbarazzarsi il più possibile delle competenze e, sì, anche delle resistenze del personale tradizionalmente investito dallo Stato italiano del compito, innanzi tutto, di difendere e preservare quel patrimonio da ogni possibile offesa, comprese quelle che potrebbero provenire da una prevalente prospettiva di sfruttamento turistico-monetario.

Annientare le resistenze La lettura ragionata di questo disegno legge richiederebbe quattro pagine intere del manifesto (ne ha ragionato a lungo Francesco Erbani sul «manifesto» del 16 luglio). Scelgo il punto che, secondo me, per le sue possibilità di generalizzazione, presenta il valore simbolico più elevato. All’art. 12 della Legge suddetta è stato inserito in Commissione un emendamento (da chi? Non lo so), che suona in codesto modo: «Al fine di assicurare l’imparzialità (!) e il buon andamento dei procedimenti autorizzativi in materia di beni culturali e paesaggistici, i pareri, i nulla osta o altri atti di assenso comunque denominati, rilasciati dagli organi periferici del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, possono essere riesaminati d’ufficio o su segnalazione delle altre amministrazioni coinvolte nel procedimento, da apposite commissioni di garanzia per la tutela del patrimonio culturale, costituite esclusivamente da personale appartenente ai ruoli del medesimo Ministero»… Trovo stupefacente questo passaggio. Se lo si dovesse applicare fino in fondo, e a questo mira il disegno di legge — verrebbe affermato il principio secondo cui un altro funzionario dello Stato, e tale è il cosiddetto Soprintendente — potrebbe legittimamente essere sospettato di svolgere la propria funzione non obiettivamente e in vista d’interessi terzi. In base a tale visione del mondo, si potrebbero allo stesso modo prevedere commissioni di garanzia destinate a rivedere ed eventualmente sanzionare i presidi e i professori che portano a termine uno scrutinio scolastico o un gruppo di medici e di sanitari nell’atto di pronunciare una diagnosi o di compiere un’operazione. Allo stesso atteggiamento (o analogo) va condotto il principio secondo cui i grandi poli museali del paese non possono essere retti da Soprintendenti collocati nelle strutture dello Stato, e andrebbero invece demandati a manager non pubblici, la cui formazione e scelte dipenderebbero unicamente dalla capacità loro di fare fruttare il patrimonio culturale, che si sono trovati a gestire (con criteri inevitabilmente politici).

In difesa del Sistema Ce n’è abbastanza, insomma, sull’uno come sull’altro versante, per prevedere e organizzare una vera e propria guerra contro questa spropositata pessima tendenza. Osservo semplicemente, a questo proposito, che, al di là delle molto spesso troppo arzigogolate discussioni in merito alle cosiddette riforme istituzionali (Senato, e tutto il resto), qui, appare con evidenza massima che non c’è differenza, non c’è davvero nessuna differenza su questo più concreto terreno fra ideologia e visione del mondo del Ministro Lupi e quella del presidente del Consiglio Renzi. Ambedue appartengono a pieno diritto al partito unico della presunta razionalizzazione del sistema, la quale si rivela contraria, anzi antitetica non solo alle buone idee della sinistra ambientalista e democratica ma persino alla perpetuazione del vecchio sistema statuale borghese, imperfetto ma in una certa misura garantista. Le associazioni ambientaliste e i Comitati hanno abbastanza voce per farsi sentire. Perché questo accada, non basta però la buona volontà. Bisogna avere la consapevolezza che questa è una battaglia decisiva, per organizzare la quale occorre preliminarmente una concertazione programmatica di grande serietà e intelligenza. Proviamoci.

Una tre giorni di iniziative:

download27-28-29 giugno a Mondeggi (Bagno a Ripoli).

Quella di Mondeggi è una storia come tante, troppe altre; una di quelle che stimolano la gastrite, per quanto sono difficili da digerire. Una storia, per chi ancora non la conoscesse, fatta di sperpero e abbandono, di sfruttamento irresponsabile, di responsabilità eluse e poi riversate sopra una collettività ignara, ma che rischia di avallare, col proprio disinteresse, le scelte e le mire dei suoi amministratori. I 200 ettari della fattoria di Mondeggi, situati nel comune di Bagno a Ripoli, sono proprietà della Provincia di Firenze ed ospitano vigneti, pascoli, oliveti, boschi, giardini, fabbricati rurali e l’antica villa rinascimentale intorno a cui tutto ruotava; terra abbandonata ormai dal 2009, di cui ormai si tiene conto soltanto quando diventa possibile accaparrarsi i frutti pendenti che ancora, a scapito della sua gestione scriteriata, le piante continuano a produrre. Un degrado perpetrato negli anni, attraverso operazioni che vanno dalla devastazione dei poderi, sostituiti dalle colture estensive, alle sperimentazioni di meccanizzazioni spinte che hanno stravolto il territorio, ha coinvolto Mondeggi nella sua totalità; l’annegamento nei debiti (oltre un milione di euro) e il conseguente fallimento della società a controllo provinciale che l’amministrava non è stato altro che lo scontato epilogo. Così come scontata appare, per chi è avvezzo a relazionarsi con l’arroganza di chi gestisce in maniera privatistica gli enti pubblici, la scelta ultima della proprietà: vendere, o meglio svendere, per monetizzare un simile patrimonio immobiliare in nome della stabilità di bilancio, ingrassando tasche private già gonfie di capitali da investire, liberandosi così degli oneri di gestione ma anche dell’eccezionale potenziale in esso contenuto.
Quella del comitato “Verso Mondeggi Bene Comune – Fattoria Senza Padroni” (MFSP) è una piccola storia nella storia, che tenta di sovrapporsi con la propria attività a quella venale e miope appena descritta, che prova a determinare un cambiamento sostanziale di direzione all’interno di un percorso che si definisce ineluttabile. Impedire la vendita per donare nuova vita a Mondeggi è l’obiettivo; agricoltura contadina, sostenibile e naturale, multifunzionalità e orizzontalità totale i mezzi attraverso cui praticarlo; un documento, la Carta dei principi e degli intenti (http://tbcfirenzemondeggi.noblogs.org/carta-dei-principi-e-degli-intenti/) la bussola di cui ci siamo dotati per auto-guidarci, per non perdere il sentiero sul quale abbiamo deciso di camminare. Sappiamo di non essere soli, bensì di avere l’appoggio, per ora espresso sotto voce, di una comunità territoriale che desidera la rinascita di Mondeggi; e al di là di essa possiamo contare su una galassia di esperienze complici in campagna come nelle metropoli, in chi si batte contro la privatizzazione dei beni pubblici, sostanziando al contempo l’ancora aleatorio concetto di “bene comune”, nelle esperienze di autogestione, siano esse di spazi sociali piuttosto che abitative o produttive, nelle mille espressioni di lotta che si prefiggono trasformazioni concrete e produzione di immaginario alternativo. Insieme all’esperienza per certi versi gemella di Caicocci, Mondeggi è stato assunto come impegno collettivo e primario dalla rete di Genuino Clandestino, costituita da un arcipelago di realtà contadine e non solo, per attuare e dare corpo, in queste due situazioni e attraverso di esse, ai presupposti intorno ai quali il suo organismo si è coagulato.
Una fattoria abbandonata eletta a paradigma, quindi, di ciò che poteva essere e non è stato, per convertirla in ciò che potrebbe essere e che vogliamo diventi. Intendiamo riabitare Mondeggi e la sua terra per sottrarla alla speculazione, per guardare la realtà da una diversa prospettiva; vogliamo ripartire dalla radicalità di una proposta che intreccia al suo interno numerosi piani differenti, che in sé mescola cibo e gioco, salute e lavoro, socialità e agricoltura. Il nostro proposito è dimostrare che, ben oltre le parole vuote della retorica istituzionale, a cui piace spesso citare il ritorno all’agricoltura come risposta alla crisi senza però spendersi in alcun modo per favorirlo, processi auto-organizzati prendono vita e crescono sull’impulso non soltanto della mancanza di alternative, quanto soprattutto sulla volontà di spendersi in qualcosa di essenziale, rigettando il superfluo ridondante in cui siamo immersi. Accedere alla terra, quindi, per sperimentare in essa la gestione, o meglio l’autogestione, di ciò che un qualcosa del genere è necessario sia: un bene comune, una risorsa collettiva, la cui fruizione sia garantita a tutte e tutti, la cui economia sia decisa in maniera comunitaria, ben lontana dalle dinamiche di profitto imperanti. Autogestire un bene comune per autogestire un pezzetto della propria vita, in sostanza; un pezzetto che auspichiamo possa crescere e crescere ancora.
Fino ad ora abbiamo messo in atto interventi “clandestini” di cura e manutenzione del territorio agricolo e dell’area a parco, operando a Mondeggi da esterni: questo non ci basta più. I suoi 200 ettari racchiudono potenzialità enormi; su di essi vorremmo che confluissero le energie di chi condivide il nostro percorso, siano essi vicini o lontani, realtà organizzate o singoli, e soprattutto di una comunità locale minacciata della sottrazione di una porzione importante di territorio. Per questo motivo abbiamo deciso di lanciare una 3 giorni di iniziative, dibattiti, socialità e divertimento, prevista per il 27-28-29 giugno, da utilizzare come trampolino per balzare oltre, per dare inizio alla fase di custodia popolare del bene comune in questione. Per far nascere in maniera collettiva e condivisa quel presidio contadino che vuol essere il preludio all’insediamento sul territorio di una presenza che lo sappia gestire e valorizzare, amare e difendere.
Invitiamo quindi tutte le persone e tutte le realtà organizzate di resistenza ad aderire esplicitamente con un comunicato e a partecipare ad un’iniziativa che vuol essere aperta e trasversale, ma antirazzista, antifascista e antisessista nell’animo, così come la realtà che la promuove.
Infine vogliamo essere chiari: poiché ad oggi non vi è nessun accordo con le istituzioni non possiamo sapere ciò a cui andremo incontro, non ci è dato conoscere gli sviluppi che questa vicenda assumerà; ci auguriamo però che il nostro passo possa essere riprodotto quante più volte possibile, laddove la realtà e l’immaginazione lo permettano.

MFSP – verso Mondeggi rinasce in 3 giorni

“Don’t cry for me, Cafaggiòlo”.

CASTELLO-DI-CAFAGGIOLO-PValorizzazione estilo pampero per la villa medicea,

di Ilaria Agostini, 29 maggio 2014.

Non c’è pace in Mugello. Autostrada del sole, autodromo, invaso di Bilancino, villaggio Outlet, alta velocità, raddoppio dell’A1: opere che insistono su pochi chilometri quadrati in un’area interna, non ricca ma già bella, che da decenni ha ceduto al ricatto occupazionale. Per un lavoro fugace, non sicuro, dai connotati schiavistici come denuncia Simona Baldanzi dai cantieri TAV. Ora però l’attacco al territorio cambia di segno e si chiama “valorizzazione”. La villa di Cafaggiòlo, da poco iscritta nel patrimonio Unesco, e l’intera fattoria medicea, sono al centro di una storia annosa che riparte nel 2011, quando Regione Toscana, Provincia di Firenze, comuni di Barberino di Mugello e San Piero a Sieve, Autorità di Bacino dell’Arno, MIBAC-Direzione generale per i beni culturali e paesaggistici della Toscana, siglano un protocollo d’intesa con la proprietaria Società Cafaggiolo srl rappresentata dall’argentino Alfredo Lowenstein. Un «modello di collaborazione istituzionale» che nei giorni a ridosso delle elezioni ha raggiunto un’ulteriore tappa: il protocollo è approvato, con un atto di indirizzo, da entrambi i comuni mugellani, di cui uno – San Piero – in mano al commissario prefettizio. Il protocollo, «ispirato a principi di tutela, sviluppo e valorizzazione della villa e della tenuta», sostiene un progetto della Cafaggiolo srl medesima, che interessa circa 370 ettari ripartiti tra i comuni di Barberino e San Piero, inclusi nella zona di rispetto Unesco (buffer zone). Il “Progetto Cafaggiolo” prevede il riuso del patrimonio edilizio esistente per finalità ricettive turistico-alberghiere di gran lusso, nonché «la creazione di un polo museale con attività culturali e la realizzazione di uno spazio per lo sport ed il tempo libero, attraverso interventi di recupero e riqualificazione dell’esistente e, in parte, interventi di nuova edificazione, nonché interventi per la riqualificazione paesaggistica dell’area». Ad insaporire la pietanza, l’industriale argentino promette a Rossi un investimento di 170 milioni di euro che darebbe vita a 700 (sì, proprio 700!) posti di lavoro diretto e indiretto, e 120 per la realizzazione. Vediamo cosa prevede la “valorizzazione”: col parere favorevole della sovrintendenza, la villa – malgrado il vincolo ex lege 1939 – sarà squartata in 36 eleganti suites dotate di ogni comodità postmedicea; negli annessi (manica lunga, falegnameria, ma anche conigliera e lavatoio) troveranno posto 59 lussuose camere; l’insieme delle case coloniche, ragguardevole per consistenza, sarà trasformato in 82 suites, per un totale di 164 posti letto. Medesima sorte per fienili e mulini, e per la canonica di Campiano. Un nuovo resort in località Santini sarà composto da 24 nuovi appartamenti costruiti ex novo mettendo a frutto le volumetrie dei demolendi silos; e poi piscine, biopiscine, saune, campi da polo, spazi espositivi. Per l’argentino sussiste tuttavia un unico, insopportabile, neo: la strada statale della Futa che attraversa l’insediamento monumentale. La Regione si dimostra comprensiva e con solerzia prevede lo spostamento della viabilità in tre possibili varianti, a spese del contribuente (che non vedrà più la villa attraversando il Mugello) e, naturalmente, dell’ambiente rurale. A parte il comitato giallo “Cafaggiolo deve risplendere” che spinge per la realizzazione del resort, la cittadinanza (e la lista “LiberaMente a sinistra” ora in consiglio comunale a San Piero-Scarperia) si oppone a questa valorizzazione sui generis contravvenente all’art. 6 del Codice dei beni culturali, che con il termine “valorizzazione” intenderebbe la messa in valore sociale, la garanzia della fruizione collettiva del bene, e non l’esclusiva messa in valore economico con sottrazione alla vista del bene, come nel caso in esame. Il nuovo piano paesaggistico regionale, ora in discussione presso le commissioni regionali, rafforza le aspirazioni della cittadinanza mugellana prevedendo la salvaguardia dell’assetto insediativo di lunga durata, ivi compreso, da un lato il reticolo stradale storico, dall’altro l’assetto generale della fattoria che verrebbe stravolto dalla trasformazione estilo pampero. Di concerto, la riscrittura della legge urbanistica, in via di approvazione, impedirà ogni nuova ulteriore edificazione residenziale (e ricettiva) sui terreni agricoli, e comunque renderà oggetto di copianificazione di area vasta gli interventi di modifica a fini non residenziali in aree non urbanizzate. La schizofrenia messa in scena nelle stanze della Regione Toscana offre dunque uno spettacolo sconfortante. E, dando respiro (per un pugno di posti di lavoro) al Progetto Cafaggiolo, rende impossibile perfino immaginare un progetto di conversione ecologicamente e antropologicamente sostenibile, sperimentabile sull’area. Speriamo che l’esempio mugellano non intacchi le sorti di un’altra fattoria storica, oggetto di interessanti tentativi partecipati dal basso: la fattoria di Mondeggi, proprietà della Provincia di Firenze, oggi in vendita per pochi spiccioli, questa volta schiettamente nel segno della politica renziana.

Si allega anche una lettera a La Repubblica del 30 maggio scorso.