Rassegna Stampa

1 – 10 settembre 2013

Grandi opere, ancora e ancora…

Autostrada Tirrenica: pubblicato il progetto della variante Fonteblanda Talamone

Firenze: la difesa di Oltrarno

Gli inceneritori sono troppi?

Apuane: dubbi e proteste sul nuovo disegno di legge sugli usi civici

Comitati e Associazioni

SEGNALAZIONI

Tutti in tenda sul Monte Amiata!

amiata

Dal 10 al 14 Luglio 2013, intendiamo costruire un incontro nazionale sul monte Amiata, un momento in cui confrontarsi tra differenti battaglie per la difesa del territorio e la riappropriazione dei beni comuni, un’occasione per costruire un processo collettivo di confronto, oltre che un appuntamento per sostenere la lotta territoriale in Amiata contro la geotermia.

La crisi è il pane quotidiano delle nostre giornate. Ma siamo di fronte ad una crisi o ad una nuova e più aggressiva fase di accumulazione della ricchezza nelle mani di pochi? Una nuova fase in cui questo Stato ed il blocco economico-politico dominante compiono costanti imposizioni nei confronti degli individui e delle comunità. Questo è il nuovo assetto che governa le nostre vite basato su un saccheggio sistematico che produce costante erosione della ricchezza sociale e dei diritti conducendo alla precarietà e alla povertà, individuale e sociale. Un modello destinato ad aggredire i territori con sempre maggior violenza e ad utilizzare strumenti come le privatizzazioni e la finanziarizzazione per saccheggiare beni e servizi comuni. In Italia come in Grecia, Turchia, Brasile e via dicendo.

Su questi temi nel nostro paese si è aperto un importante fronte di resistenza, duraturo, radicato e radicale che, a sua volta, ha consentito di costruire una prospettiva alternativa sulla gestione dei territori, i meccanismi partecipativi e gli strumenti di finanza, accompagnato anche da un ragionamento di indirizzo normativo. Le battaglie a difesa dei territori e dei beni comuni rappresentano uno dei più importanti ostacoli all’aggressione dei processi di privatizzazione e finanziarizzazione.

Sono relazioni ed alleanze che si pongono su un piano avanzato, innovativo, passando dalla posizione di trincea ad un vero e proprio rilancio di alternative e di nuovi assetti economici e sociali.

Il referendum sull’acqua è stato vinto nel 2011 grazie alla capacità di costruire un’alleanza sociale dal basso che ha dettato una nuova agenda e imposto all’opinione pubblica il tema dei beni comuni, oggi scippato e vituperato dai partiti politici e non solo, ma non per questo svuotato di significato.

Un’agenda che ha al centro, in maniera ogni giorno più stringente, la questione della democrazia. Ovvero chi decide sul futuro dei nostri territori e delle nostre vite e come costruire nuovo modelli di organizzazione sociale ed economica che pongano al centro le comunità e la loro partecipazione diretta alle decisioni.

Ma per aprire questo spazio politico è necessario trovare strategie comuni per contrastare la finanziarizzazione dei beni comuni, delle risorse naturali e dei territori e la rottura democratica che questo comporta, dettata dalle dinamiche di un nuovo e più aggressivo capitalismo improntato sulla speculazione sui beni collettivi necessari alla vita.

La proposta di quest’incontro nasce dalla necessità di condividere riflessioni, esperienze, prospettive e strategie con movimenti e comitati che oggi stanno lottando in questa prospettiva. Non intendiamo creare nessun nuovo contenitore, rete o movimento dei movimenti, né tanto meno offrire un’occasione elettorale a nessuno.

Quello che proponiamo è costruire un’opportunità per delineare nessi e punti in comune in cui riuscire ad individuare alcune azioni coordinate. Ci piacerebbe fare uno sforzo di astrazione dalle singole esperienze per fare un passo in avanti tutti/e insieme.

Vorremmo costruire una leva collettiva per sollevarci da quelle imposizioni che schiacciano le nostre vite e i nostri territori ribaltando il profitto generato sulle nostre vite.

Un incontro nazionale che possa essere propulsore di un ragionamento, ma anche un sostegno concreto alle battaglie contro le bugie della green economy finanziarizzata, incarnate bene dalla geotermia sull’Amiata che produce morte, prosciuga uno dei bacini idrici più grandi d’Europa, garantisce profitto all’ENEL e che inquina la democrazia nel territorio. Una vertenza emblematica in cui l’energia è il fulcro dello scontro tra due visioni: mercato contro diritti, merce contro bene comune.

Una storia simile a tante altre nei nostri territori.

Da qui intendiamo ripartire per difendere i beni comuni e riprenderci il futuro.

 

Promotori:

Coordinamento SOS Geotermia

Forum Italiano Movimenti per l’Acqua

Rete StopENEL

Forum Contro le Grandi Opere Inutili e Imposte

Per info e adesioni: campeggio_amiata@acquabenecomune.org

Un Osservatorio sulle buone pratiche

sdt_2 copydi autosostenibilità locale.

Di Alberto Magnaghi.

La Società dei territorialisti e delle territorialiste  (www.societadeiterritorialisti.it) ha avviato la costruzione di un Osservatorio con obiettivi molto vicini a quelli proposti dalla rubrica de Il Manifesto: denotare un’altra geografia che, procedendo  da piccole esperienze locali, ma integrate e operanti nella trasformazione dei  luoghi, consenta di costruire un’immagine di un territorio in auto trasformazione nel quale società locali, associazioni, forme articolate di cittadinanza attiva, in molti casi  insieme ai i loro municipi, attivano percorsi concreti  di “ritorno al territorio” e di “conversione ecologica dell’economia locale”, attraverso la  riattivazione di saperi contestuali per la valorizzazione dei patrimoni ambientali, territoriali e paesistici, sperimentando forme di produzione sociale  fondate sul riconoscimento del territorio come bene comune.

Si tratta dunque di intercettare e dare visibilità alle pratiche e ai saperi diffusi “invisibili” (o visibili a livello molto circoscritto), per costruire una nuova geografia sociopolitica che denoti queste esperienze, nella ipotesi che già oggi costituiscano un tessuto sociale rilevante, ma che incidano molto poco sugli indirizzi politico-istituzionali.

E’ strategicamente alternativo questo mondo in costruzione, poco visibile e poco raccontato dai media, rispetto agli orizzonti  della politica che ci parla ogni giorno ossessivamente di crescita e di bollettini finanziari come antidoto alla crisi, come se nulla fosse successo? O è semplicemente il frutto dell’arte di arrangiarsi nella crisi, come testimoniato dalla vertiginosa crescita degli orti urbani e periurbani autogestiti  nelle grandi città? O tutte due le cose?  L’interpretazione è aperta, ma una cosa è certa: questi mondi locali  ci parlano d’altro, di altri rapporti fra le persone, con la terra, con l’ambiente, con il patrimonio territoriale e culturale, con il paesaggio, con la produzione; ci parlano di nuovi beni da produrre, del modo di produrli, di nuove forme della comunità e della “coscienza del suo essere “, per dirla con Carlo Cattaneo. I racconti delle  prime schede  dell’Osservatorio (11  si trovano sul sito, ma molte altre in elaborazione) ci forniscono una prima “finestra” su questo mondo in costruzione.  Le schede del nostro Osservatorio sono lunghe e documentate, il che non esclude brevi contributi che ne illustrino i tratti essenziali nella rubrica del Manifesto.

Ma qual’è la società, il progetto socioterritoriale che emerge in filigrana da queste prime ricognizioni? Innanzitutto, lo ripeto, la dimensione:  la significatività delle esperienze è ancorata a borghi, piccole valli, piccole città, quartieri: una dimensione che consente la ricostruzione delle relazioni di prossimità,  di forme comunitarie di neoradicamento territoriale, di scambio fiduciario, di rapporti economici non mercantili, di riconoscimento denso e minuto dei valori patrimoniali del luogo: acque, sentieri, sorgenti, mestieri legati al territorio, lingue, culture, spazi pubblici urbani. Poi la localizzazione: non è azzardato affermare che la densità di esperienze innovative cresce con il procedere verso le aree interne, i territori di alta collina e di montagna dell’esodo e della marginalità, dove si sperimentano processi di ripopolamento di aree periferiche e marginali. E’ come se le esperienze sociali puntiformi anticipassero un grande progetto di riequilibrio territoriale e culturale, come  viene delineato nell’affresco I borghi dell’utopia di Piero Bevilacqua in questa rubrica) dopo il grande esodo industriale e terziario verso le pianure e le aree metropolitane.  E ancora, il superamento della settorialità: i casi raccontati non riguardano il singolo  recupero di un edificio, di un borgo, una piazza, un bosco,  la raccolta differenziata dei rifiuti, un sentiero o una pista ciclabile, un ecomuseo, una filiera agroalimentare, un parco e cosi via: essi riguardano, sullo stesso territorio,  l’integrazione di molte di queste azioni; che sovente promanano da un conflitto o un obiettivo specifico, per poi investire  l’intero rapporto fra comunità insediata e territorio,  in un percorso di crescita della coscienza e dei saperi della comunità locale.

La patrimonializzazione dei beni comuni territoriali avviene, nei casi proposti dall’Osservatorio, attraverso una reinterpretazione culturale e collettiva  delle risorse attraverso forme di retro-innovazione: cosi, per fare qualche esempio,  nel comune di Castel del Giudice (alto Molise), dove la rinascita del paese si è incardinata su forme di coinvolgimento collettivo degli abitanti (fra cui l’azionariato popolare) in azioni progettuali quali una residenza per anziani, il rilancio dell’agricoltura con filiere corte (in particolare meleti), il recupero del centro storico con il progetto di un albergo diffuso. Nell’esempio della Val d’Ultimo (Merano), la ricostruzione di una complessa economia socio territoriale, per iniziativa dei contadini dei masi della valle, ha integrato fra loro risorse e antichi mestieri, separatamente poveri o di nicchia (legna, pecore, erbe officinali, lavorazione e tintura della lana, cosmesi e cure con prodotti naturali, produzioni artistiche, in legno, lana, pelle), reinserendoli in un processo di riappropriazione culturale che ha avuto come  epicentro la rivalorizzazione dei prodotti locali attraverso percorsi formativi e la qualificazione dell’offerta di prodotti in   rapporto alla  trasformazione della domanda urbana di salute e qualità della vita (Vienna, Graz, ecc). Nel caso dell’Ecomuseo del Casentino (Toscana), la ricostruzione di cittadinanza attiva è avvenuta attraverso lo strumento delle mappe di comunità, ovvero una forma partecipativa  di autoriconoscimento da parte degli abitanti dei valori patrimoniali con cui riorganizzare l’economia montana in forme collettive (associazioni culturali e produttive, consorzi di produttori, ecc), integrando diversi settori di attività (il recupero di manufatti storici, le produzioni della farina di castagna e della patata rossa, la valorizzazione sociale del paesaggio, dell’ospitalità, la sperimentazione di energie alternative e cosi via). Nel recupero della borgata Paraloup (Val di Stura), a segnare la particolarità del messaggio è il rapporto stretto fra memoria densa dei luoghi legati alla Resistenza (“Rinasce il borgo rifugio dei partigiani dopo la strage di Boves”) e il borgo restaurato come centro di irraggiamento di nuove culture e economie della montagna atte a  valorizzare l’identità storico-culturale del territorio (Museo multimediale della Resistenza e della storia locale, attività culturali e  turistico-ricettive, l’insediamento di attività agro-silvo-pastorali ecc.). Ma, scendendo in pianura, in provincia di Milano, il caso di Mezzago testimonia la  capacità di molte piccole città di sganciarsi da una realtà “provinciale” ovvero di dipendenza metropolitana e riaffermare, attraverso lo sviluppo di reti civiche complesse (associazioni di volontari, parrocchie, cooperative agricole, processi partecipativi, giornali, manifestazioni culturali, ecc) ) e di produzioni tipiche (in questo caso l’asparago), la permanenza di modelli socioculturali e identitari autonomi che reinterpretano in forme innovative, sociali e  relazionali  l’autogoverno della comunità.

Ritengo importante che questa contro-geografia di esperienze che andiamo denotando con l’Osservatorio si arricchisca, fino a consentire che la discussione politico culturale sulle alternative  alla crisi della globalizzazione economico finanziaria si appoggi non solo sul conflitto, ma sulla sua evoluzione in pratiche diffuse di costruzione di società locali allo stato nascente. Costruzione che passa attraverso nuove relazioni comunitarie fra abitanti, terra e territorio, che allontanano e marginalizzano i poteri globali, ricostruendo dal basso le basi socioeconomiche, materiali, della riproduzione della vita biologica, e immateriali, della riproduzione dell’ identità culturale.

 

Svendere immobili e terreni con risparmi dei cittadini

Il ruolo della Cassa Depositi e Prestiti.

Due articoli di Marco Bersani, di Attac.

Nel dicembre 2011 Deutsche Bank presentò direttamente alla Troika il rapporto “Guadagni, concorrenza e crescita”, con cui proponeva per una serie di paesi europei un gigantesco piano di dismissioni, proporzionale a quello che coinvolse la ex Germania Est dopo la riunificazione del 1990. Alcuni passaggi relativi al nostro Paese sono senz’altro significativi: “ (..) I Comuni offrono il maggior potenziale di privatizzazione. Attualmente, si stima che le rimanenti imprese a capitale pubblico abbiano un valore complessivo di 80 miliardi di euro (pari a circa il 5,2% del PIL); ma una particolare attenzione deve essere prestata agli edifici pubblici, il cui valore totale corrente arriva a 421 miliardi di euro, con un 10% attualmente non in uso, che potrebbe essere messo in vendita con relativamente poco sforzo o spesa”.

Deutsche Bank, nel rapporto rimasto a lungo segreto, si richiama direttamente al Treuhandanstalt tedesco, l’Istituto di Gestione Fiduciaria che, tra il 1990 e il 1994, garantì la dismissione di circa 8.000 aziende dell’ex DDR a vantaggio delle imprese dell’ovest, per un valore patrimoniale di 600 miliardi di marchi tedeschi (307 miliardi di euro attuali). “La situazione difficile sui mercati finanziari non è un ostacolo – afferma il rapporto – Una modalità consisterebbe nel trasferire gli attivi ad un’agenzia incaricata esplicitamente di privatizzazione. Questa potrebbe in seguito, a seconda della congiuntura dei mercati, scaglionare la vendita nel tempo”.

Sembra esattamente il ruolo che Cassa Depositi e Prestiti si sta ritagliando verso gli enti locali con il nuovo Fondo Investimenti per la Valorizzazione degli immobili comunali (Fiv), che ormai da mesi propaganda attraverso un tour nelle maggiori città italiane.

Tra patto di stabilità, fiscal compact, spending review e drastica riduzione dei trasferimenti erariali, gli enti locali sono prossimi al collasso e impossibilitati ad assolvere alla propria funzione sociale : quale miglior occasione per tirare un po’ il fiato di una bella svendita del patrimonio pubblico? E quale miglior beffa del realizzarla utilizzando il risparmio postale dei cittadini?

Cassa Depositi e Prestiti si propone all’ente locale come consulente per la definizione del valore degli immobili, assegnandogli un prezzo. Da quel momento, l’ente locale potrà metterli in vendita e, se riuscirà a farlo ad un prezzo superiore, avrà fatto un buon affare; in caso contrario, gli immobili verranno acquistati da Cdp al prezzo fissato e messi successivamente sul mercato.

In pratica, si utilizza la drammatica situazione di difficoltà finanziaria nella quale sono stati scientemente condotti gli enti locali dopo anni di politiche liberiste, per permettere loro di “fare cassa” una tantum, deprivando i cittadini di beni pubblici che potrebbero a ben altri scopi essere riutilizzati. Con il paradosso di un’espropriazione di beni collettivi fatta utilizzando i risparmi postali dei cittadini stessi.

Se tutto ciò non bastasse, ci sono sempre i servizi pubblici locali da mettere in vendita, e anche in questo settore Cassa Depositi e Prestiti si sta velocemente attrezzando con Volano Utilities, proponendosi come partner ideale per accompagnare gli enti locali nella privatizzazione dei servizi a rete, nella fusione tra sociètà partecipate, nella messa sul mercato dei beni comuni.

Se questo è il quadro, diviene evidente come la riappropriazione della democrazia locale e di prossimità passi necessariamente per la socializzazione di Cdp e la restituzione alla stessa di un ruolo pubblico, sociale e partecipato dalle comunità territoriali.

 

CDP ALL’ASSALTO DEL DEMANIO AGRICOLO 

Secondo l’Agenzia del Demanio, che utilizza i dati del Censimento per l’ Agricoltura 2010, l’estensione dei terreni agricoli demaniali in Italia ammonta ad oltre 338.000 ettari, per un valore che oscilla fra i 5 e i 6 miliardi di euro.

Un patrimonio importante che, grazie alla sua equa distribuzione geografica, consentirebbe la messa a punto di un progetto nazionale per una diversa agricoltura, per una conseguente salvaguardia e manutenzione idrogeologica del territorio e per il rilancio di nuova occupazione, in particolare giovanile, durevole e di qualità.

Riflessioni che non sfiorano l’attuale Ministra dell’Agricoltura De Girolamo, che ha recentemente incontrato i vertici dell’Associazione bancaria italiana (Abi) e il presidente della Cassa Depositi e Prestiti, Franco Bassanini, per mettere a punto un programma di “valorizzazione” e (s)vendita dell’immenso patrimonio agricolo demaniale.

Replicando quanto sta già proponendo agli enti locali in merito alla svendita del patrimonio immobiliare, Cassa Depositi e Prestiti avrebbe la funzione di assegnare un prezzo ai terreni demaniali, di acquisirli consentendo allo Stato di fare cassa e di metterli successivamente sul mercato.

Incredibile l’obiettivo dichiarato dalla Ministra De Girolamo : “(..) un’occasione per sbloccare la situazione e mettere nuovi terreni a disposizione soprattutto dei giovani, perché senza terra da lavorare non è possibile pensare ad un vero rilancio del comparto”.

Altrettanto incredibile è che per questo ulteriore processo di colossale espropriazione di patrimonio pubblico si utilizzino le risorse del risparmio postale affidato dai cittadini alla Cassa Depositi e Prestiti.

Davvero si pensa che i giovani disoccupati (oltre il 35%) siano provvisti di capitale e non attendano altro, per trasformarsi in futuri agricoltori, che divenire proprietari dei terreni da coltivare?

Davvero si pensa che privare la collettività del bene terra, di inestimabile valore pubblico e sociale, corrisponda a “servizio di interesse economico generale”, qualifica cui dovrebbe attenersi ogni investimento di Cassa Depositi e Prestiti (art. 10, D. M. Economia 6/10/1994) ?

Possibile che non si pensi ad un piano per un’agricoltura di qualità e per una nuova occupazione giovanile attraverso il mantenimento della proprietà collettiva del demanio agricolo, l’affidamento dei terreni ai giovani con affitti calmierati e l’intervento di Cassa Depositi e Prestiti per il sostegno dell’avvio di attività (start up di impresa) e dei primi investimenti in mezzi, tecnologie, impianti e sementi per consentire alle diverse nuove aziende un funzionamento a regime?

Ancora una volta l’obiettivo è quello di consegnare patrimonio pubblico alle banche e beni comuni alla speculazione finanziaria, con il paradosso di renderlo possibile attraverso l’utilizzo dei risparmi dei cittadini. La socializzazione di Cassa Depositi e Prestiti e la sua gestione territoriale, democratica e partecipativa diventa un obiettivo sempre più urgente, che da oggi dovrà vedere coinvolte in prima fila tutte le esperienze e reti dell’altra economia, dei gruppi di acquisto solidale, dell’agricoltura autogestita e di qualità, del commercio equo e solidale.

Marco Bersani (Attac Italia)