Rassegna Stampa

1 – 10 dicembre 2013

La Toscana si difende dagli attacchi alla nuova legge di governo del territorio

Guerra tra Regione e Ferrovie

Le proteste dei Comitati

SEGNALAZIONI

Verso Mondeggi Bene Comune

foto oliveSuccede da alcuni mesi e a due passi da Firenze: ma i media non se ne occupano. Terra Bene Comune non è più soltanto uno slogan che tiene insieme una serie di iniziative volte a rilanciare il ruolo dell’agricoltura e la riqualificazione del territorio. Dopo l’incontro nazionale di GENUINO CLANDESTINO (vedi la sezione Eventi e appuntamenti), che si è svolto a Firenze dal 1 al 3 novembre, la mobilitazione si è concentrata sulla proposta di recupero delle terre abbandonate della fattoria di Lappeggi-Mondeggi, di proprietà della Provincia di Firenze, in comune di Bagno a Ripoli. Non solo NO ALLA VENDITA di un bene della collettività, ma intervento diretto nella raccolta delle olive e nella produzione dell’olio. L’iniziativa prelude alla possibilità di costruire insieme un progetto di recupero di un’azienda pubblica che potrà interessare non solo le decine di giovani che possono essere direttamente coinvolti, ma tutta la rete dei comitati per la difesa del territorio.

In un prossimo consiglio comunale di Bagno a Ripoli verrà discussa la mozione presentata in proposito dal gruppo Per Una Cittadinanza Attiva: si veda il comunicato stampa. Intanto proseguono gli incontri di Verso Mondeggi … in forma di assemblea. Per coglierne il contenuto della discussione, riportiamo di seguito il verbale relativo all’assemblea del 1 dicembre:

Verbale 1 dicembre 2013

L’assemblea si apre con la decisione di aderire e partecipare alla manifestazione del 7 dicembre a Campi Bisenzio contro le nocività nella piana fiorentina.

Emiliano T.: Da oggi, ogni seconda domenica del mese appuntamento fisso a Pozzolatico nel mercato Mangiasano dopo un pranzo condiviso faremo una riunione su Verso Mondeggi Bene Comune. Domenica prossima saranno affrontate le questioni fondamentali. Ora ci raccontiamo gli aggiornamenti di quanto avvenuto in questi giorni: le mosse decise dall’Assemblea si sono rivelate positive. Due raccolte di olive, in due domeniche molto partecipate che hanno visto la presenza di circa 150 persone. Sono state raccolti circa 30 quintali di olive, franti in tempi record. Ringrazio tutti quelli che hanno partecipato, e chi si è occupato dell’etichetta, che è riuscita molto bella. In una serata in Via Aldini abbiamo imbottigliato circa 450 bottiglie. Tre sono stati i momenti di ridistribuzione popolare dell’olio: − mercoledì la cena dell’ANPI sull’olio nuovo all’Antella, in cui è stata anche raccontata l’idea del progetto − giovedì il mercato all’Antella e venerdì il mercato a Grassina, che si sono rivelati momenti molto efficaci. All’Antella l’intervento dei vigili ha impedito l’allestimento del banco, così chi era presente si è mosso con il volantinaggio e la distribuzione dell’olio. Abbiamo rilevato un buon consenso da parte della comunità locale. Questi sono stati i primi passi nella direzione della consapevolezza della comunità per impedire la vendita del bene comune e costruire una gestione alternativa a quella fallimentare degli ultimi decenni. Continuiamo a creare questo percorso e allarghiamolo a tutta la piana fiorentina. Dall’altra parte del fronte sono stati sentiti i nostri passi e c’è stata reazione. Come ci vogliamo rapportare con gli attuali amministratori di questo bene?

Luca R.: Su Mondeggi vi sono tanti appetiti. Uno è quello di vendere il bene in sordina. Il liquidatore Giano Giani mi ha telefonato chiedendomi i farmi da portavoce, e affermando che in caso di ulteriori raccolte non concordate, sarà costretto a rivolgersi all’autorità giudiziaria. Inoltre, ha asserito che la raccolta delle olive è affidata a Vincenzo Pratelli con un regolare contratto, pertanto questi rivendica la proprietà delle olive e non è disponibile a tollerare altre raccolte. Abbiamo avuto modo di notare in questo periodo che frequentiamo Mondeggi che la raccolta effettuata dagli operai del Pratelli sta danneggiando le piante, al contrario le nostre due giornate di raccolta sono state effettuate con la massima cura. Giovedì 28 novembre è uscito un articolo su La Nazione contenente diverse informazioni false volte a screditare qualsiasi iniziativa: sosteneva che Mondeggi è stata gestita da una fantomatica cooperativa, invece l’azienda è sempre stata gestita direttamente dalla Provincia. Infatti, l’abbandono porta alla disaffezione popolare e al deprezzamento, rendendo più facile la vendita. È evidente quindi che le nostre azioni riportando l’attenzione su Mondeggi rendono più difficile l’alienazione sottocosto del bene pubblico. Venerdì 29 novembre è uscito anche un altro articolo, sul Metropoli, in cui il Sindaco di Bagno a Ripoli Luciano Bartolini si dichiara contrario alla vendita e favorevole a valutare attentamente le proposte avanzate da Terra Bene Comune. Articolo a cui Giano Giani ha fatto riferimento ed ha caldeggiato la proposta dell’assessore Tiziano Lepri, che ci aveva richiesto una paginetta di bozza di progetto entro fine anno. Entro domenica 8 dovremmo aver tutti chiaro in mente se siamo favorevoli a portare avanti un colloquio con la Provincia, oppure se siamo contrari. Inoltre, domenica dovremmo formare il gruppo di chi vuole lavorare e vivere a Mondeggi, gruppo che dovrà decidere se e come comunicare con la Provincia e presentare la proposta. Ringrazio in particolar modo Claudio Pozzi, presidente del WWOOF, Giannozzo Pucci, Sergio Paderi e i rappresentanti della MAG presenti, tutte organizzazioni che da anni si adoperano affinché il territorio torni a produrre il cibo che consuma e con le quali auspico una fattiva collaborazione. Il nostro è un progetto di autodeterminazione alimentare dei territori.

Antonio D G.: L’Università per anni ha lavorato a Mondeggi, sperimentando, si vedano gli olivi a monocono per la raccolta meccanizzata. L’università ha sperimentato attraverso progetti finanziati dall’UE, terminati i finanziamenti i macchinari sono stati abbandonati o svenduti.

Niccolò: Alcuni ricercatori dopo aver seguito questo progetto ne hanno proposto un altro sull’agricoltura sociale, che dopo due passaggi in provincia è stato affossato, cosicché alcuni di questi ricercatori si sono tolti dall’impegno in Mondeggi.

Luca R.: Se avete i contatti di questi ricercatori, recuperateli che li coinvolgiamo per conoscere la loro opinione.

Giovanni P.: Mi sembra ridicolo che dopo decenni di abbandono ci diano solo un mese per presentare un progetto. Formiamo un gruppo che coinvolga la popolazione locale che vuole che questo bene venga riutilizzato con l’agricoltura contadina, un gruppo di chi vuol venire a vivere e lavorare a Mondeggi, e un gruppo di chi vuol sostenere questo progetto. Cerchiamo di capire chi siamo e cosa vogliamo, curiamo il nostro percorso. Lasciamo per ora perdere i contatti con la Provincia, lo faremo dopo.

Claudio P.: Per partire serve un progetto semplice, chiaro e condiviso, che va organizzato. Le amministrazioni provinciali stanno chiudendo, quindi ora che non hanno più niente da perdere potrebbero avere un’apertura per favorire un progetto, parliamoci ora.

Vincenzo M.: Cosa abbiamo fatto in questo mese? Abbiamo scoperto che quanto fatto e fatto sapere ha trovato il consenso della popolazione locale. Durante i banchini, ci dicevano “bravi che avete raccolto le olive che sarebbero cadute a terra!”, alcuni prendevano l’olio con le lacrime agli occhi, altri ci raccontavano le relazioni avute durante la loro vita con Mondeggi. Bisogna valutare con attenzione quanto comunicato a Luca. Il nostro percorso ce lo decidiamo noi, l’etica e la tecnica del nostro progetto non sono discutibili. Parlare con la Provincia sì, ma non scendere a mediazioni. Siamo in antitesi con quel che finora è stato fatto a Mondeggi. Il loro metodo ha portato ad un milione di deficit. Per arrivare a chiamarci, significa che quanto abbiamo fatto e il consenso incontrato sono giunti alle loro orecchie. Andiamo in Provincia, diciamo le linee del nostro progetto, e ci sono due possibilità: un’accoglienza oppure il tentativo di tergiversare e impantanarci. Il consenso che abbiamo raggiunto è dovuto al nostro attivismo, quindi battiamo il ferro finché è caldo. Rilancio la distinzione proposta da Giovanni: chi è intenzionato a una scelta di vita in Mondeggi, chi vuole sostenere e dar la propria solidarietà. E poi si parte. Il progetto c’è, ed è unico: che l’azienda non venga venduta, e che l’azienda torni produttiva con il metodo che diciamo noi. Dimostreremo col fare il nostro saper fare. Si è parlato anche di ecovillaggi, e attività che vanno al di là di quelle agricole (artistiche, sociali…) e ben vengano, comunque essenzialmente siamo contadini.

Giovanni P.: Concentriamo le energie sul percorso e non su cosa dire alla Provincia.

Laura T.: Le due cose, il percorso del gruppo e il dialogo con la Provincia (che non significa scendere a compromessi), non si escludono l’un latro, parlare ora con la Provincia significa tener aperta un’opportunità.

Vanessa: Con il Movimento per la Casa ho visto che ogni volta che tocchi delle cose pubbliche abbandonate si svegliano. Ci siamo impegnati per raccogliere 70 olivi, e le abbiamo ridate in olio gratuitamente alla gente… applaudiamoci! È stata una bella esperienza da un punto di vista umano. Qui non voglio occupare, voglio sostenere, ma non scendiamo a compromessi.

Giorgio P.: Il riscontro riportato da Vincenzo del consenso popolare è giusto. Che la popolazione locale sia d’accordo è molto importante. La gente qui ci viene, lo vive, è un luogo bellissimo composto da parco e da terre agricole. Solo un progetto come questo impedisce che costruiscano recinzioni: va spiegato alla gente che se restiamo noi il luogo rimane aperto e accessibile. Chiariamo cosa vogliamo fare: chi compie azioni speculative ha idee chiare, noi invece dovremmo sperimentare, creare strada facendo. La Provincia ci deve consentire di sperimentare in ogni settore, gestioni collaborative e non competitive.

Massimo B.: La forza di un movimento è nella costanza dell’azione. Se la Provincia chiede un incontro, non lasciamo che possano dire che non siamo andati, non creiamo alibi che possano usare contro di noi. Andare non ci toglie troppe energie. Il progettino c’è già, modifichiamolo, tagliamolo come serve, e andiamo. Nel frattempo, anche se non ci viviamo, continuiamo a fare i lavori e ad imparare a lavorare. Veniamo e facciamo quel che la stagione concede, non stiamo solo sul progetto teorico. Dire che noi siamo bravi e loro stronzi chiude all’esterno mentre noi siamo aperti e inclusivi. Restiamo a testa alta, disposti al dialogo, con pochi punti chiari e il coraggio di dirli a tutti.

Niccolò: Sì alla comunicazione con la Provincia, ma facciamo il progetto senza aspettare i loro tempi. Comunque, vista la stagione invernale che non permette tanti lavori, dedicarci adesso al progetto per esser pronti a primavera può tornar comodo anche a noi.

Eva: C’è un’energia positiva, il consenso sul territorio è forte. Creiamo i gruppi di chi vuole effettivamente lavorare qui dentro. La prima cosa è lavorare su gruppi di amici, nuclei familiari che vogliono lavorare e vivere a Mondeggi. In Provincia hanno chiesto una pagina di bozza in tempi stretti perché a giugno la provincia verrà quasi certamente commissariata. Attualmente sul territorio per i GAS e per i mercati locali è molto difficile reperire prodotti di agricoltura contadina, e sta anche aumentando la richiesta. Non tralasciamo l’opportunità della loro apertura.

Davide: All’amministrazione diciamo qual è il nostro scopo (di riprenderci il territorio, con progetti a lungo termine), mentre il progetto ce lo studiamo fra di noi, dobbiamo averlo chiaro fra noi.

Giacomo: Sì per la presentazione della bozza di progetto. Comunque continuiamo con altri lavori, ad esempio iniziamo a potare le viti, e chi sa farlo lo insegna. Io lavoro durante la settimana, ma la domenica ci sarei. Portiamo avanti il progetto e i gruppi, ma nel frattempo continuiamo a lavorare. Fissiamo la prossima domenica di lavoro.

Luca: Se puoi, porta una proposta, un’idea di lavoro la prossima domenica.

Fabrizio: Chiariamoci cosa vogliamo fare e come. Vogliamo scendere al compromesso o scegliere noi? Diamo noi una scadenza. Se a loro non va bene, lo facciamo lo stesso.

Alice: Creiamo una strategia: c’è chi dice una cosa, chi un’altra, creiamo dei gruppi con dei ruoli. Avrà a che fare con le istituzioni chi ne ha le doti, e questi lavorino per armonizzare il rapporto. Ci sarà chi studia il progetto pratico. Iniziamo a fare i progetti e a realizzarli, ma nel frattempo mediamo. 15+15 è un lungo termine. Vogliamo collaborare, condividere, ridistribuire. Creiamo un gruppo di lavoro di chi vuol riabitare Mondeggi.

Luca: Chi è interessato a partecipare attivamente venga domenica prossima.

Emiliano: Domenica prossima tiriamo fuori il gruppo di chi si mette in prima linea nel progetto di vita completo, non solo per riabitare, un nucleo fondamentale che inizi ad incontrarsi una o più volte la settimana. Se con la Provincia c’è la possibilità di metter una zeppa con una pagina di progetto, mettiamocela, senza scendere a compromessi. Il nucleo lavori sul progetto, sulle idee, che vengono poi condivisi in assemblea.

Roberto: Ci sono tante cose che è necessario elaborare insieme, che l’assemblea condivida. Mondeggi comeopportunità di attività e di abitazione, ma anche come esempio di un nuovo modo di stare sul territorio. Con dei gruppi di disoccupati lavoreremo su altri olivi qui a Mondeggi: chi vuole sostenerci è il benvenuto.

Ottavio: Il movimento dei contadini a livello mondiale sostiene che il cibo non è una merce, la sovranità alimentare (perché l’autodeterminazione sia non di gruppo bensì sociale), e la ricostruzione degli usi civici. Teniamo presenti questi punti sostenuti a livello mondiale e facciamoli anche nostri.

Massimo: Le cose che sono state dette oggi non sono in contrapposizione fra loro, ci sono delle piccole divergenze ma tutti condividiamo i punti cardine della nostra azione e la nostra visione di Mondeggi nel futuro. Dipenderà dalla nostra maturità riuscire a trovare la sintesi delle piccole divergenze emerse. Ricordiamoci che le contrapposizioni non sono dentro al nostro gruppo, che deve restare unito e compatto, la contrapposizione è con chi vuole vendere.

Grazie a Tutti da Tutti per essere rimasti tutto il giorno al vento e al freddo che ci ha accompagnatonella giornata, un sentito grazie ai bravissimi musici e poeti.

Rassegna Stampa

11 – 20 settembre 2013

L’inchiesta sul Tunnel TAV monopolizza la stampa

Regione: presentato il nuovo Piano Rifiuti

Fucecchio: il depuratore del Consorzio del cuoio gettava i liquami in Arno

La mobilitazione popolare salva dalla vendita la tenuta di Suvigliano

Altre notizie (importanti) dalla Toscana

SEGNALAZIONI

 

Aziende Confiscate ai Boss.

Untitled-1Il caso di Suvignano, in comune di Monteroni d’Arbia (Siena).

Da Casole Nostra. I dati dell’Agenzia nazionale: 497 imprese fallite e liquidate, 45 messe in vendita, per 14 revocato il provvedimento. Dopo il caso di Suvignano, in Toscana, l’analisi della situazione a cura di Davide Pati, responsabile nazionale beni confiscati per Libera.

La recente decisione dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata di mettere in vendita l’azienda Agricola Suvignano, in provincia di Siena, ha riproposto all’attenzione pubblica il tema della gestione delle aziende e delle attività d’impresa sottratte alle mafie. Secondo gli ultimi dati disponibili e aggiornati al 31 dicembre 2012, dall’entrata in vigore della legge Rognoni La Torre del 1982, sono state confiscate in via definitiva 1708 aziende. 623 in Sicilia, 347 in Campania, 223 in Lombardia, 161 in Calabria, 140 nel Lazio e 131 in Puglia, a conferma del fatto che le organizzazioni mafiose investono sempre più i propri capitali di illecita provenienza nel centro e nord d’Italia. In queste sei regioni si concentrano il 95% del totale delle aziende confiscate. Solo 12 in Toscana e tra queste l’azienda Agricola Suvignano, la più grande azienda agricola confiscata nel nostro paese, con un’estensione superiore ai settecento ettari di terreni. E’ una delle 92 aziende confiscate che operano nel settore dell’agricoltura.

Circa la metà del totale, invece, operano nel commercio (471) e nelle costruzioni (477). Seguite da quelle alberghiere e della ristorazione (173). Ma non mancano le attività immobiliari e quelle finanziarie, l’informatica e i servizi alle imprese, le imprese manifatturiere e di trasporto, quelle che si occupano di sanità e servizi sociali e persino le società di produzione e distribuzione di energia elettrica, acqua e gas. Le confische più recenti hanno riguardato, infine, alcuni impianti fotovoltaici e parchi eolici in Sicilia, Calabria e Puglia. Quasi la metà delle aziende confiscate sono società a responsabilità limitata (796) seguite da imprese individuali (408), società in accomandita semplice (247) e in nome collettivo (141). Solo 34 società per azioni.

Delle 1708 aziende confiscate in Italia, 497 sono uscite dalla gestione, mentre 1211 sono ancora in gestione dell’Agenzia nazionale. Le 497 uscite dalla gestione sono state cancellate dal registro delle imprese e liquidate. Per 14 di esse la confisca è stata revocata. Mentre in 45 casi si è proceduto alla vendita a soggetti privati. Delle 1211 ancora in gestione all’Agenzia nazionale, invece, 393 sono ancora da destinare (il consiglio direttivo dell’Agenzia si deve ancora esprimere sulla loro destinazione). 342 sono state destinate alla liquidazione, 198 hanno un fallimento aperto durante la fase giudiziaria, per 189 è stata richiesta la cancellazione dal registro delle imprese e/o dall’anagrafe tributaria. La gestione di 34 aziende è stata sospesa per pendenza di procedimenti penali, per 5 la sospensione è stata causata da varie criticità.

Solo 5 aziende sono state affittate a titolo oneroso a soggetti privati e una a titolo gratuito, cioè a cooperative di lavoratori dipendenti della stessa azienda. Mentre per 44 aziende la destinazione impressa è stata quella della vendita, a cui si è aggiunta da qualche giorno l’azienda Agricola Suvignano, nel comune di Monteroni d’Arbia. Parliamo di un’azienda ancora attiva, con dipendenti che sono riusciti a garantire la continuità delle attività agricole, turistiche e di allevamento tipiche della provincia senese. Una delle poche eccezioni se consideriamo, dai dati che abbiamo appena riportato, che sono poche decine le aziende che si salvano a seguito dei provvedimenti di sequestro e confisca antimafia.

Le cause di questo vero e proprio “spreco di legalità” sono diverse:

a) Revoca dei fidi bancari: le banche chiudono i “rubinetti”, revocando gli affidamenti e non consentendo all’azienda, già nella fase del sequestro, di proseguire la propria attività;

b) Rapporti con i clienti/fornitori: dopo il sequestro i clienti revocano le commesse e i fornitori chiedono di rientrare immediatamente dei loro crediti, in questo caso spingendo l’azienda alla chiusura;

c) Innalzamento dei costi di gestione: l’azienda sequestrata/confiscata, ricollocata in un circuito legale, sconta l’inevitabile aumento dei costi di gestione relativi alla regolare fatturazione delle commesse e alla regolarizzazione dei rapporti di lavoro;

d) Gestione conservativa delle aziende: l’autorità giudiziaria e gli amministratori si trovano spesso senza strumenti, risorse e competenze specifiche.

Trasformare ogni azienda sottratta alle mafie in una risorsa in grado di sostenere il Paese in un momento di grande difficoltà economica e sociale, certo non è semplice. L’articolo 41 del codice delle leggi antimafia (decreto legislativo n.159 del 2011), stabilisce che, nel caso in cui il sequestro abbia ad oggetto aziende, l’amministratore giudiziario è scelto nella sezione esperti in gestione aziendale dell’Albo nazionale degli amministratori giudiziari, che pur essendo stato istituito nello stesso giorno della nascita dell’Agenzia nazionale (febbraio 2010) non è ancora diventato operativo. Così come, da gennaio 2013 ad oggi, il consiglio direttivo dell’Agenzia nazionale non è stato ancora integrato con i due qualificati esperti in materia di gestioni aziendali e patrimoniali designati, di concerto, dal Ministro dell’Interno e dal Ministro dell’Economia e delle Finanze.

Il consiglio direttivo è l’organo preposto alla destinazione dei beni confiscati. In particolare l’articolo 48 del codice antimafia stabilisce che i beni aziendali sono mantenuti al patrimonio dello Stato e destinati, con provvedimento dell’Agenzia che ne disciplina le modalità operative:

– all’affitto, quando vi siano fondate prospettive di continuazione o di ripresa dell’attività produttiva, a titolo oneroso, a società e ad imprese pubbliche o private, ovvero a titolo gratuito, senza oneri a carico dello Stato, a cooperative di lavoratori dipendenti dell’impresa confiscata;

– alla vendita, per un corrispettivo non inferiore a quello determinato dalla stima eseguita dall’Agenzia, a soggetti che ne abbiano fatto richiesta, qualora vi sia una maggiore utilità per l’interesse pubblico o qualora la vendita medesima sia finalizzata al risarcimento delle vittime dei reati di tipo mafioso;

– alla liquidazione.

Sono stati numerosi in questi giorni gli appelli – provenienti dagli enti locali, dal mondo della magistratura, del sindacato e dell’associazionismo – a non procedere alla vendita della più grande azienda agricola confiscata in Italia e a riprendere il percorso avviato dal tavolo istituzionale presso il Ministero dell’Interno, con la Prefettura di Siena, la Regione Toscana, la Provincia di Siena e il Comune di Monteroni D’Arbia, che andava nella direzione di una sua restituzione alla collettività, salvaguardandone i posti di lavoro presenti. In particolare, la Regione Toscana aveva proposto all’Agenzia di prendere in affitto l’azienda Suvignano, con la collaborazione del partenariato economico e sociale territoriale.

La decisione è andata invece in altra direzione per motivazioni che auspichiamo possano essere oggetto di ripresa di un approfondimento specifico. Sicuramente non si tratta di una procedura semplice, ma proprio in questo momento occorre uno sforzo da parte di tutti per supportare il compito dell’Agenzia, per poter giungere ad una revisione delle sue valutazioni, che l’hanno portata alla scelta della vendita. La stessa Agenzia, nella sua relazione annuale 2012, esplicitava le criticità di gestione delle aziende e proponeva di estendere alle aziende la disciplina oggi dettata per i beni immobili e consentire allo Stato e agli Enti territoriali di acquisire a titolo gratuito le aziende confiscate. Proponeva, altresì, al fine di scongiurare la chiusura aziendale e di evitare messaggi negativi alla cittadinanza, l’istituzione di un Fondo di rotazione che, ricorrendone i presupposti, verrebbe utilizzato per finanziare le aziende che presentano concrete possibilità di rimanere sul mercato. Si potrebbe creare – proseguiva la relazione dell’Agenzia – da un lato, una sinergia tra le aziende sequestrate e confiscate per la rotazione delle commesse e, dall’altro, una rete virtuosa che, coinvolgendo le associazioni rappresentative degli imprenditori, dovrebbe far rientrare l’ex azienda mafiosa in un circuito di legalità tramite le commesse provenienti dalle società facenti parte della rete. (…) Infine, sarebbe utile attivare protocolli d’intesa per utilizzare manager esperti del mercato di riferimento per la gestione imprenditoriale delle aziende particolarmente complesse. Per queste ragioni, è fondamentale l’approvazione in tempi rapidi della proposta di legge di iniziativa popolare “Io riattivo il lavoro”, già depositata in Parlamento.

Allo stesso modo, sarebbe importante anche un intervento del Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali, con il partenariato del Corpo forestale dello Stato e la collaborazione della Camera di Commercio di Siena, di Coldiretti, della Confederazione italiana agricoltori, di Confagricoltura e dell’Alleanza delle cooperative agricole. Solo in presenza di una forte volontà condivisa, infatti, si potrà assicurare la ripresa del tavolo istituzionale interrotto qualche mese fa, al fine di restituire alla collettività l’Azienda agricola Suvignano, moltiplicandone le potenzialità occupazionali e di sviluppo comunitario in termini sociali, culturali e di partecipazione democratica.