Storia della ReTe

Fino all’agosto del 2006 sembrava che tutto fosse tranquillo, in Toscana, in materia di urbanistica e di paesaggio. La Regione aveva già avviato la redazione di un Piano di Indirizzo Territoriale, in attuazione della Legge Regionale n.1 del 2005, che aveva confermato l’impianto già in atto da dieci anni, cioè dalla precedente Legge Regionale n.5 del 1995. Questa era stata salutata a suo tempo come una legge innovativa, che doveva correggere le rigidezze della vecchia pratica dei Piani Regolatori e del controllo dall’alto sulle iniziative dei Comuni. Tuttavia è bastato un breve articolo sulla pagina culturale di la Repubblica, il 24 agosto del 2006, firmato dall’italianista Alberto Asor Rosa, per scatenare un putiferio e rimettere in discussione proprio la politica urbanistica della Regione Toscana. Anche il paesaggio toscano è aggredito dal cemento? Tutti lo sapevano, ma nessuno lo diceva con la chiarezza e l’autorità del “professore”. L’articolo ha effettivamente messo a nudo una realtà che da allora è sempre più oggetto di dibattito e di scontro politico e culturale.
Il caso è assai noto: alle pendici del centro murato di Monticchiello, a pochi chilometri da Pienza, si stava costruendo un complesso di undici villule (in stile rustico), per un totale di 95 appartamenti. Il tutto nel bel mezzo di un’area dichiarata “Patrimonio mondiale dell’Unesco”, la Val d’Orcia, quasi un simbolo della qualità e della conservazione della campagna toscana. Un’estensione e una volumetria, denunciava Asor Rosa, che superano in blocco le dimensioni dello stesso centro storico nel suo impianto medievale: per una popolazione potenziale pari al doppio di quella esistente, ridotta oggi a poco più di 150 abitanti. “Pare a me – concludeva Asor Rosa – che il caso superi le dimensioni locali e investa responsabilità più generali”. E infatti …
La reazione è stata duplice. Da parte degli amministratori regionali si è subito cercare di minimizzare e circoscrivere il caso. L’assessore al territorio, Riccardo Conti, riconosceva che “il nuovo insediamento di Monticchiello fa schifo” (frase riportata su molti giornali), ma la Regione aveva le mani legate, non poteva mettersi contro l’autonomia comunale, che proprio la legislazione regionale garantisce. Gli amministratori locali (il presidente della Provincia di Siena Ceccherini e il sindaco di Pienza Del Ciondolo) difendevano a spada tratta il progetto, contribuendo anche a montare una campagna di insulti contro il “professore”. Alla fine il presidente della Regione, Claudio Martini, dichiarava: “Noi non condividiamo quell’opera, ma non possiamo farci niente. Possiamo solo rafforzare gli strumenti perché in futuro un caso Monticchiello non accada più”.
Queste reazioni si riassumono in un dato, che è poi la specificità del caso Monticchiello: quello che viene denunciato non è un abuso, ma è il risultato di un meccanismo legislativo che non impedisce che simili scempi possano avvenire: sotto gli occhi della Soprintendenza, che ha dato il suo regolare nulla-osta. Di qui l’iniziale imbarazzo dei dirigenti regionali, che hanno provato a scaricare sull’organo periferico del Ministero la responsabilità del caso, ma si sono anche sentiti sotto accusa agli occhi della stampa nazionale. Ma il caso Monticchiello è davvero un’eccezione, un piccolo neo? No, e lo si vede subito.
Nel frattempo, infatti, Asor Rosa viene letteralmente sommerso da una valanga di appelli, segnalazioni, denunce di situazioni non molto diverse da quella di Monticchiello, un po’ in tutta la Toscana. Le segnalazioni vengono da Comitati già costituiti e dalle associazioni ambientaliste “storiche”, Italia Nostra, WWF, FAI, Legambiente. Il tam-tam mediatico fa circolare un messaggio: “vediamoci a Monticchiello il 28 ottobre (2006)”. Erano previste una sessantina di persone, ne arrivano oltre trecento, che la sala del “Teatro Povero” non ce la fa ad accogliere. Vengono anche con le auto blu Riccardo Conti, e Francesco Rutelli. Trovano ad accoglierli striscioni, cartelli, volantini e soprattutto un coro di denunce che dimostrano che ormai il coperchio è stato tolto. Sotto accusa sono i Comuni di Fiesole, di Bagno a Ripoli, di San Casciano Val di Pesa, sempre per aggressioni al paesaggio, tanti altri casi sono segnalati nelle province di Siena, di Arezzo, di Grosseto. Dopo dieci anni di “governo del territorio” si ricomincia a parlare di urbanistica.
Il “caso Fiesole” è l’oggetto di un nuovo incontro, l’11 marzo 2007 a San Domenico (Lo sviluppo in-sostenibile), dove confluiscono tutti i Comitati o i singoli cittadini che denunciano situazioni in-sostenibili, ma anche esperti delle diverse discipline che guardano alla Toscana anche dal punto di vista più generale. Anche qui, una partecipazione numerosissima, che prelude alla formazione di una Rete, come aveva anticipato Asor Rosa.
Intanto la contestazione si allarga a macchia d’olio. Oltre ai Comitati originari dell’ottobre 2006, ne spuntano come funghi in ogni parte della regione. Sotto accusa non solo le aggressioni al paesaggio e ai centri storici, ma anche i progetti delle grandi infrastrutture (la TAV, l’autostrada tirrenica), la politica energetica e quella dei rifiuti. Il 25 marzo, a Firenze, si costituisce ufficialmente la Rete dei Comitati toscani per la difesa del territorio, con la partecipazione di oltre settanta comitati. La stampa nazionale (la Repubblica e il Corriere della sera) ne dà ampio risalto. Viene approvato un “Documento dei dieci punti” che riassume quanto è emerso fino a questo momento e fissa il quadro organizzativo della Rete, che si propone anche come “Osservatorio toscano” permanente, in grado di realizzare un controllo senza smagliature sull’intero territorio, per arrivare a “realizzare una mappa integrale degli scempi, dei disastri, degli ecomostri realizzati in Toscana” e quindi prevenire quelli futuri. Dunque una “grande battaglia culturale”, nella quale ci si dovrebbe confrontare con le “Istituzioni come interlocutori, non come avversari” (E’ il titolo di un articolo di Asor Rosa su la Repubblica del 23 marzo ).
Ma sempre più spesso i Comitati si trovano di fronte un muro, anche quando presentano, a termini di legge, osservazioni ben motivate agli strumenti urbanistici: che non vengono mai prese in considerazione. L’unica via, in molti casi, è quella giudiziaria: fioccano gli esposti, i ricorsi al TAR e al Presidente della Repubblica, con tutti i rischi che questi comportano (anche finanziari). Sempre più spesso la magistratura interviene anche per proprio conto, magari su segnalazione della Forestale, l’unica istituzione a cui sembra affidato il controllo del territorio: così a Casole d’Elsa (Siena) finiscono sotto sequestro tre cosiddette ristrutturazioni di altrettanti complessi rurali, dove al cambio di destinazione si aggiungono abbondanti volumi: questi sì, abusivi, tanto che finisce sotto inchiesta tutto lo staff tecnico-politico del Comune. Lo stesso succede a Campi Bisenzio, per difformità fra il Piano Strutturale e il Regolamento Urbanistico: e anche qui non ci sono Comitati all’origine della vicenda.
In questo clima si consolidano le strutture della Rete: le assemblee prendono un carattere più strutturato e si svolgono il 7 luglio e il 10 novembre. Dalle due assemblee esce la versione definitiva di un documento che apre la “Vertenza Toscana”, articolato nei punti che riguardano il PIT e il paesaggio, le problematiche energetiche, le grandi infrastrutture, il consumo di suolo, la partecipazione.
I Comitati registrati sono diventati oltre 150, comprese le sezioni locali di Italia Nostra e del WWF, e in qualche caso anche di Legambiente. Ma non facciamo del trionfalismo: si tratta certamente di un fermento straordinario, in cui convergono però discorsi ed esigenze anche molto diverse, tutte tenute insieme dal vantaggio (anche mediatico) di poter contare su un coordinamento che è insieme un servizio tecnico e una cassa di risonanza. E’ per questo che molti Comitati nascono proprio perché esiste la Rete, in un processo che potremmo definire autocatalitico.
L’allargamento della Rete ha certamente comportato anche una differenziazione delle tematiche che vengono affrontate: dalla tutela del paesaggio, tema originario e costitutivo, si passa alle tematiche ambientali, con la denuncia dei progetti di inceneritori e di impianti per l’energia, a quelle delle infrastrutture, dove i grandi lavori riguardano l’autostrada costiera parallela all’Aurelia, la TAV che dopo i disastri combinati in Mugello dovrebbe attraversare Firenze in sotterranea, fino alle linee della tramvia, sempre a Firenze. Non solo grandi progetti di grandi lavori, ma anche piccoli progetti non meno pericolosi. In molti casi i problemi ambientali si sommano con quelli paesistici e territoriali: così ad Ampugnano, dove la Provincia di Siena ha avanzato in estate l’incauta proposta (sostenuta da una finanziaria franco-tedesca) di ampliare il minuscolo aereoporto esistente per fare concorrenza a Pisa e a Firenze, nella delicatissima pianura fra la Montagnola e la città. Contro questo progetto si sono mobilitati tantissimi cittadini mettendo in serio imbarazzo il Comune interessato (Sovicille) e coinvolgendo la stessa città, dove si è svolta in novembre la prima manifestazione “autonoma” dalle forze politiche. Il bello è che in questo caso la Regione tace, nonostante che il suo PIT, a proposito di aereoporti, non attribuisca ad Ampugnano altro che un ruolo locale.
Nascono nuovi Comitati, ma purtroppo anche nuovi episodi di aggressione al paesaggio: sempre durante l’estate si denuncia la truffa delle cosiddette Residenze Turistico-Alberghiere, sotto la cui sigla si nascondono future lottizzazioni residenziali. Così a Campiglia Marittima, a Serravalle Pistoiese, a Grosseto. Anche in questi casi andiamo ben oltre la soglia della legalità.
Ce n’è abbastanza per fare della Toscana un caso nazionale: certo, non siamo in Calabria, ma neppure in quel paradiso che i nostri politici vorrebbero farci intendere. E sicuramente gli ultimi anni vedono una continua accelerazione del processo di degrado, senza che si intraveda una seria intenzione di invertire la tendenza. Per questo i successivi convegni che la Rete dei Comitati organizza (a partire da quello del 28 giugno 2008) avranno come sfondo la rilevanza nazionale del  caso toscano, testimoniata dai contatti con esperienze analoghe in Umbria, Marche, Lombardia, Veneto.
Che cosa hanno in comune tutti i casi dei quali la Rete si fa carico di raccogliere la documentazione e di sostenere il punto di vista dei Comitati? Un primo aspetto riguarda le fonti finanziarie: in quasi tutti i casi si parte da una proposta di investimento, da cui la “valorizzazione” (la parola fa sempre venire i brividi) del patrimonio culturale o ambientale che sia. Interessi privati, quindi, anche nel caso di investimenti pubblici in infrastrutture dove la scelta cade sempre sul progetto più costoso (e rischioso) che offrirà maggiori opportunità di ricadute (di varia natura). Da qui discende un secondo aspetto, che riguarda la stragrande maggioranza dei casi: il progetto contro cui ci si trova a fare i conti non è frutto di una seria e coerente pianificazione, ma nasce occasionalmente in assenza di un quadro previsionale affidabile. Il Piano di Indirizzo Territoriale, nella gestione della giunta Martini-Conti, è stato definito un “piano di chiacchiere”: si delega ai Comuni la tutela del paesaggio, si rinviano le scelte energetiche ad un “piano energetico regionale” che ancora non esiste, ma intanto si autorizzano impianti qua e là, e così per il trattamento dei rifiuti. Quanto agli strumenti urbanistici, si può sempre fare una variante ad hoc. L’interpretazione della legislazione in materia di “governo del territorio” era la seguente: adesso possiamo fare quello che ci pare, senza nessun controllo superiore. Così era stata salutata la Legge del 1995, e gli effetti si vedono nei dodici anni successivi.
Oggi la ReTe è impegnata a consolidare la propria presenza e a rendere sempre più efficaci le forme di contestazione delle politiche sbagliate del territorio.