Casole d’Elsa. Un concentrato di mala urbanistica toscana (di Paolo Baldeschi)

Ci sono Comuni noti in Italia per la qualità delle loro politiche: ad esempio, Cassinetta di Lugagnano, il Comune zero consumo di suolo o il Comune di Peccioli che detiene il record toscano e forse nazionale per la raccolta differenziata. Anche il Comune di Casole d’Elsa, almeno a livello toscano, ma in concorrenza con le peggiori amministrazioni, rivendica un primato: quello dell’ente locale che nell’arco di dieci anni o poco più ha compiuto il maggior numero di operazioni illegittime: contro la legge di governo del territorio, contro il PIT e il PTC di Siena, contro le normative paesaggistiche e ambientali e perfino contro le disposizioni del vincolo idrologico. Dieci anni di mala urbanistica e mala edilizia, durante i quali la Regione Toscana, nonostante le relazioni dei propri uffici che indicavano la non sanabilità degli abusi promossi dal Comune[1], nonostante gli avvisi di reato (32 fra tecnici e amministratori) e i sequestri della Procura della Repubblica, ha continuato imperturbabile a coprire le malefatte dell’amministrazione e degli speculatori che con questa fanno tutt’uno.

La Variante del Piano strutturale, ora adottata, è un suggello che vorrebbe mettere una pezza sulle porcherie pregresse. Il tutto condito con la solita retorica che condiziona lottizzazioni e nuovi usi di suolo al massimo impegno nella tutela del paesaggio.
Il grande protagonista di tutte le vicende è Piero Pii, già vicepresidente del consiglio regionale toscano, in buoni rapporti con Riccardo Conti, ex assessore al territorio e infrastrutture della Regione. Pii è sindaco di Casole d’Elsa, per l’allora Pds, dal 1994 al 2004, mentre nel 2004 come continuatrice del tracciato di mala urbanistica gli succede Valentina Feti (Ds), precedente vicesindaco. Nel frattempo la società Castello di Casole, promotrice di varie iniziative immobiliari e proprietaria di aree nel comune, dà l’incarico a Pii, per 140.000 euro l’anno, di seguire le proprie pratiche urbanistiche ed edilizie presso il Comune. A perfezionare il tutto, nel 2009 Piero Pii si presenta di nuovo alle elezioni, questa volta contro il suo ex partito, a capo di una lista civica appoggiata dal Pdl e, diventato sindaco per una manciata di voti, adotta una Variante al Piano strutturale destinata far scuola su come si aggirino le norme urbanistiche. Una Variante, si è detto, che vorrebbe sanare le precedenti malefatte e compensare i privati ‘penalizzati’ dai sequestri dalla Procura della Repubblica.

Affinché i lettori di Eddyburg possano apprezzare pienamente l’operato del Comune e il ruolo politico della Regione dobbiamo, rapidamente e omettendo molti particolari e aggravanti, accennare all’operazione cardine di dieci anni di mala urbanistica, un Piano integrato di intervento (P.I.I, come il suo ispiratore) la ‘madre’ di molti degli abusi urbanistici edilizi, paesaggistici e ambientali che sanciscono il primato negativo di Casole. Il Piano integrato di intervento è uno strumento urbanistico che per legge dovrebbe durare non oltre il mandato dell’amministrazione promotrice, finalizzato a realizzare opere pubbliche (strade, infrastrutture, spazi collettivi, ecc.), mentre i privati possono proporvi l’inserimento di loro progetti non oltre il termine perentorio di 60 giorni dalla data di approvazione del piano. Il Comune di Casole, infischiandosene della legge, tiene invece aperto il piano ‘sine die’, inserendovi via via gli interventi richiesti dai promotori immobiliari, difformi dal PS ma regolarmente pubblicati sul Bollettino ufficiale della Regione. Fra questi spicca il piano di recupero di San Severo, inserito nell’aprile 2004 (quindi 3 anni dopo la scadenza ‘perentoria’), e approvato nel 2005.

Il piano ‘recupera’ un podere con due case coloniche, stalle e altri annessi per un totale di 5860 mc trasformandolo in edilizia residenziale a villette per 7.530 mc (Il P.I.I. prescriveva che la volumetria del piano di recupero non dovesse superare quella esistente), ma il Comune generosamente rilascia permessi per quasi 11.200 mc e i costruttori, non contenti, ne realizzano più di 12.000 divisi in 55 appartamenti. Osserva, a tale proposito, il dott. Formisano, Sostituto Procuratore presso il tribunale di Siena, che “è evidente che in tanto l’impresa ha edificato oltre il consentito in quanto era certa che l’Amministrazione avrebbe comunque assentito ogni eventuale abuso. I rapporti con l’Amministrazione erano di tale natura che mai vi sarebbe stato un controllo con successivi provvedimenti di demolizione degli abusi realizzati. Il silenzio serbato dell’Amministrazione, che si è limitata ad attendere gli sviluppi delle indagini ed a porre in essere solo gli accertamenti obbligati, dimostra in modo evidente la volontà di ridimensionare le condotte poste in essere dagli indagati. Appare sin troppo evidente che si ignorano le responsabilità e gli obblighi che la normativa urbanistica riserva agli uffici comunali in materia”. Intanto, di fronte a incriminazioni, sequestri, ricorsi al Tar, denunce di comitati, di cittadini, circostanziate ricostruzioni delle vicende da parte di Italia Nostra, articoli di giornale, inchieste televisive, pareri negativi dei suoi stessi uffici, la Regione si tappa gli occhi, le orecchie (e il naso), rimanendo inerte e continuando a pubblicare sul proprio Bollettino ufficiale le varianti al Regolamento urbanistico (complessivamente 24), al P.I.I. e al Piano di recupero, che via via il Comune approva in un quadro di totale illegalità.

Gli abusi edilizi si sommano, perciò, agli abusi urbanistici che, a loro volta, si inquadrano in una sostanziale difformità del Regolamento urbanistico approvato nel maggio del 2001 rispetto al PS vigente, le cui previsioni, come viene ammesso nella Relazione della Variante al Piano strutturale del novembre 2010, superano largamente quelle consentite.

Arriviamo ai nostri giorni: venendo a mancare le coperture politiche, la situazione diventa insostenibile per l’amministrazione comunale. Nel giugno 2010 viene, perciò, approvata una Variante di ‘assestamento’ al Regolamento urbanistico che sostanzialmente conferma, con qualche ridimensionamento minore, le previsioni del precedente Regolamento, mettendole ‘in salvaguardia’: vale a dire ‘congelandole’, in attesa che una Variante al PS sani la situazione, ratificando quanto anticipato in quella di assestamento.

Siamo giunti, quindi, alla Variante al PS, adottata nel novembre del 2010 che ha l’obiettivo di ‘sdoganare’ le operazioni messe in salvaguardia. Il dimensionamento residenziale è basato su una previsione di crescita della popolazione da 3860 a 5660 unità (il 50%) pari a 180.000 mc di edificazione, quasi tutta nuova. A questo dimensionamento ‘domestico’ si sommano 1.440 posti letto per attività turistico ricettive – pari a 120.000-140.000 mc, – che si vanno ad aggiungere ai 380 posti letto esistenti, con un incremento quasi del 400% (saranno tutti confermati nella destinazione?). Infine la Variante prevede addirittura 210.000 mq di superficie coperta per attività artigianali/industriale e commerciali/direzionali; ciò significa un impegno di suolo circa 70 ettari e implicherebbe un’occupazione, a regime, di circa 3.500-4.000 addetti. Si tratta evidentemente di previsioni ipertrofiche, non sorrette da alcuna analisi della domanda (le aree industriali presenti sono solo parzialmente utilizzate). O meglio, la stima della domanda residenziale è basata su un incremento di quasi novecento residenti nell’ultimo decennio, attirati da altri comuni con l’offerta di case: si offrono abitazioni si aumenta la popolazione e sulla base di questo aumento si ipotizza una nuova domanda (mentre è evidentemente l’offerta che comanda), un vecchio trucco che premia i comuni meno virtuosi.

Ciò che, tuttavia, maggiormente stupisce è l’assenza nel PS di qualsiasi analisi sulla dotazione di risorse, forse contenuta nella Valutazione strategica che dovrebbe essere allegata al piano, ma di cui il garante alla comunicazione del Comune non ha dato notizia. Ma, in un’ottica ancora più complessiva, è tutto il Piano strutturale – variante o non variante – che tradisce non solo la norma, ma lo spirito della legge di governo del territorio e del PIT, con buona pace dell’invariante strutturale ‘patrimonio collinare ‘ che in quella parte di territorio vieta lottizzazioni residenziali. Basti dire che, incredibilmente lo Statuto del territorio (che nelle NTA viene ancora chiamato ‘dei luoghi’) non contiene né l’individuazione delle invarianti, né una qualunque disciplina di tutela ambientale e paesaggistica, limitandosi a indicazioni generiche, non statutarie, e rimandando ogni eventuale disciplina al Regolamento urbanistico. La Variante al PS ha, evidentemente, un unico scopo: tentare di sanare il cumulo di atti illegali pregressi, mettere al riparo i responsabili dalle incriminazioni passate e future della Procura della Repubblica e accontentare società immobiliari e costruttori.

La Variante ora adottata dovrà essere esaminata dagli uffici della Regione. Sarà interessante vedere se questi non avranno nulla da obiettare (come è avvenuto in passato in tutto l’iter del Piano integrato di intervento e delle varianti al regolamento urbanistico) o se la Regione eserciterà il suo ruolo di garante del rispetto della legge nei confronti dei cittadini. I quali confidano che la nuova amministrazione regionale segni un punto di svolta in materia urbanistica rispetto a quella precedente.

[1] Si veda la relazione allegata dell’arch. Maurizio De Zordo, funzionario della Regione Toscana, relativa a un’altra operazione abusiva nel Podere alle Vigne, con pressappoco gli stessi protagonisti del piano di recupero di San Severo

Ambiente e poteri forti nella città di Paolo Berdini

Da Il Manifesto: 21.11.2010

Alberto Asor Rosa nel delineare i caratteri di un nuovo ambientalismo (manifesto del 17.11) sottolinea «il conflitto inesauribile e insanabile con i poteri forti dell’economia, della speculazione e dello sfruttamento». Concordo, e la sua analisi permette di ridare spessore all’elaborazione della sinistra. Provo ad articolare il ragionamento nel campo delle città e del territorio, dove si possono misurare quattro novità che hanno mutato i contorni del conflitto e impongono dunque di mutare strategia.
Innanzitutto la lacerazione dello storico “patto” tra cittadini e forze economiche dominanti.
Lo sviluppo delle città era affidato ai piani regolatori e la tutela dell’ambiente ai vincoli previsti dalle prerogative costituzionali dell’Articolo 9. Nonostante scempi e violazioni, c’era comunque un sistema di regole che garantiva un quadro di legittimità. Il neoliberismo ha sostituito ogni regola con gli “accordi di programma” che mutano caso per caso il disegno delle città e azzerano i vincoli paesaggistici. La proprietà fondiaria, un ristrettissimo numero di persone, edifica dove e come vuole.
La seconda novità riguarda il carattere teoricamente infinito dell’offerta di nuove costruzioni. Si continua a ricoprire di cemento l’Italia perché “c’è mercato”. Uno dei pilastri dell’economia liberale classica sono le regole del gioco e nell’Europa civile le nuove costruzioni vengono programmate salvaguardando gli interessi pubblici. Non ci sono altrimenti dubbi che se si costruisse sulle colline ancora integre della Toscana, in ogni valle alpina o sulle coste ancora scampate dal cemento, si troverebbero potenziali acquirenti nei 50 milioni di ricchi russi, nei 200 milioni di nuovi ricchi cinesi. Poi verranno gli indiani e i brasiliani.
Non c’è chi non comprenda il baratro che si è aperto nell’aver supinamente accettato la favola del “mercato”: rischiamo la cementificazione del paese e non serve a fermarla neppure la tragica serie di alluvioni e frane. Oltre all’insipienza culturale dei gruppi dirigenti della sinistra, si dovrà mettere a fuoco l’intreccio perverso tra i proprietari delle aree da urbanizzare, le grandi banche e l’informazione (Messaggero, Mattino, Corriere della sera, Tempo, Gazzetta di Parma e un’infinità di giornali locali).
La terza novità è una diretta conseguenza della sinergia tra le due precedenti. Se non ci sono più regole e se non esiste più un limite all’ipertrofia urbana, si sta creando un corto circuito economico che porterà al collasso il tessuto produttivo del paese. La speculazione fondiaria ha davanti una comoda autostrada per rendere edificabili i terreni agricoli. Vengono comprati a 10 – 15 euro al metro quadrato e non appena l’accordo di programma li rende edificabili raggiungono il valore di almeno 200 euro. Con dieci ettari di terreno che cambia destinazione, la speculazione si mette in tasca 20 milioni di euro senza nessun beneficio per la collettività perché non si crea neppure un posto di lavoro. Il lavoro, la ricchezza per le città e per tanti lavoratori si crea costruendo. In Europa obbligano a farlo su terreni già edificati, dove i valori immobiliari sono elevati e chi costruisce guadagna soltanto sulle sue capacità imprenditoriali. Chi mai investirà nel difficile mestiere dell’imprenditore o dell’artigiano se stando comodamente seduti può mettersi in tasca una fortuna?
E veniamo infine all’ultima tragica novità italiana. I comuni non hanno più risorse per realizzare servizi sociali, parchi, trasporti scuole. Per tenere in piedi i bilanci, i comuni e le loro società strumentali hanno fatto ricorso all’indebitamento sottoscrivendo quei titoli spazzatura che hanno portato al tracollo l’economia occidentale. Roma ne ha sottoscritti per oltre un miliardo di euro. Milano un’altra valanga, e così via. Afferma Loretta Napoleoni che le pubbliche amministrazioni «invece di cercare di risparmiare, sono andate dalle banche d’affari. La banca dice: tu devi pagare queste fatture per i prossimi due anni? Bene: me le compro io, ti do subito i soldi, e intanto emetto obbligazioni che poi vendo in borsa».
Per tenere in piedi i bilanci, poi, tutti i sindaci, di qualsiasi colore politico, affermano che l’unico modo è quello di moltiplicare all’infinito nuove costruzioni. Ma se non ci sono più soldi sarebbe interesse di tutti bloccare l’espansione senza fine che ha interessato le città italiane nell’ultimi sedici anni. Come si può pensare di costruire nuovi quartieri quando non si hanno neppure i soldi per costruire l’illuminazione pubblica e quando ci sono infinite aree produttive dismesse e case vuote? Se questa è la diagnosi, non bastano vecchie ricette. Occorre cambiare gioco e provo ad elencare le mosse che dovremmo mettere in campo al più presto.
Primo. Occorre bloccare per legge ogni espansione urbana, vincolando i comuni a ricollocarle all’interno delle aree già edificate e in stato di abbandono. Il settore delle costruzioni è un pilastro dell’economia dei paesi europei, ma per aprire una fase virtuosa anche in Italia occorre rompere per sempre il circuito infernale della rendita assoluta. Questa legge potrebbe partire dal basso, seguendo la proposta di Guido Viale, raccogliendo firme in ogni angolo dell’Italia violentata dal cemento e contrastata dai mille comitati spontanei. Secondo. Concludere per sempre la criminale stagione degli accordi di programma: basta un semplice articolo. Strillerà (molto) il manipolo di speculatori che nel periodo del trionfo berlusconiano hanno conquistato le città e distrutto l’ambiente. Terzo. Occorre restituire ai comuni – in un quadro di rigoroso controllo della spesa- i soldi tagliati per metterli in grado di governare le città. Non so se questa proposta sia collocabile nel comoda casella “dell’estremismo”: lascio questo inutile esercizio alla fallimentare politica di questi anni, utilizzata ancora di recente dopo la splendida vittoria di Pisapia nelle primarie di Milano. So soltanto che è l’unica ricetta per ristabilire un futuro al nostro paese: ridare voce al popolo derubato in questi anni dei beni comuni per eccellenza, le città e l’ambiente.
Prosegue il dibattito sul “che fare” per invertire la devastante tendenza in atto, nel mondo e in Italia. Tre cose da fare per partire dalle città. Il manifesto, 21 novembre 2010

La Distratta Bucalossi….

Da una comunicazione di Luigi Meconi

Su Il Sole 24 Ore di oggi a pagina 36 c’è un servizio che vorrei leggeste: “Comuni. Il governo disposto a confermare per il periodo 2011-2013 la possibilità di coprire le spese correnti con gli oneri di urbanizzazione”. Non meno scioccante è quello accanto: “Parma si finanzia con le holding”.
Un mese fa amici di Lapedona (Provincia di Fermo) mi hanno avvicinato e detto: “Lo sai che a Moresco il Comune (un Comune della stessa Unione di Comuni Valdaso) sta trasformando un terreno agricolo di proprietà in edificabile per fare entrate?”. Ho risposto che la stessa cosa fosse fatta da un privato incorrerebbe nel reato di “lottizzazione abusiva”, ma che oramai i principi dell’articolo 97 della Costituzione su legalità, imparzialità e buon andamento, guardando a quanto sta succedendo nei nostri Comuni, mi sembrano più un ricordo.

Si ricorda Vittorio Emiliani in una assemblea a Colli del Tronto di pochi anni fa. Lo avvicino e gli faccio leggere un articolo su Il Sole che informava che il Governo Prodi (con dentro quindi anche le forze dell’Arcobaleno) aveva approvato la triennalizzazione, 2008-2010, della possibilità di coprire le spese correnti con gli oneri di urbanizzazione.
Ricordo che Emiliani ha subito ripreso il microfono della presidenza e da, allarmato, la notizia a tutti.
Il Sole 24 Ore definisce la cosa “meccanismo perverso”. Non mi risulta di un qualche altro quotidiano che abbia detto parole altrettanto oneste.
E’ una delle gravi cause della svendita del Paesaggio. E non solo. Nel solo 2008, sempre da Il Sole, dai rendiconti, quindi dati certi, si parla di 3,2 miliardi di euro (non si capisce bene se di questa somma si deve ricavare il 75%, che sarebbe comunque una somma di tutto rispetto) che dalla Bucalossi, notoriamente vincolata per opere di urbanizzazione primaria e secondaria, che sono passati alle spese correnti.
Si parla se stare con i movimenti o se fare sistema, forse, non ho ben capito, alleandosi con forze politiche.
Se si ripercorre la storia di questo mercanteggio che vi invio in uno studio da me fatto che vi allego in file, si scopre che dietro ci sono tutte, si ripete, tutte le forze politiche con cui, mi pare di capire, si vorrebbe creare ’sinergie’. Bella non è.
Sul Manifesto di domenica 7 novembre Guido Viale, tra l’altro, scriveva: “Il pianeta Terra è sull’orlo di un baratro dovuto all’eccessivo consumo di ambiente, sia dal lato del prelievo delle risorse che dal lato dell’emissione degli scarti, residui e rifiuti. Crisi economica e crisi ambientale sono indissolubilmente legate”.
Viale scrive molte altre cose. Vi invito a leggerle tutte.
Non mi sento di aggiugere altro. Se non che quando sento parlare di “conflitti di interesse” in relazione all’informazione e a noi ignoranti di Italiani che continuiamo a votare come sappiamo, lavorando nei Comuni da oltre 30 anni e seguendone gli sviluppi in particolare in questi ultimi 15 anni con: esternalizzazioni, privatizzazioni, politicizzazione o spoil system della dirigenza, presidenzialismo (elezione diretta di Sindaco e Presidenti e messa in un angolo delle assemblee), mi dico sempre: “accidenti, possibile che nessuno si accorge che i conflitti di interesse dentro le istituzioni locali, se solo si apre un po’ gli occhi, sono tali e tanti da fare impallidire qualsiasi altra ipotesi di conflitto di interesse? Al punto che il cittadino comune non sapendo più a quale santo raccomandarsi è forse più che logico, anche se per me riprovevole, che scelga come si sa?”
Un saluto
10 novembre 2010 Luigi Meconi