Ma chi sono i “professionisti”

mosaic_castore-281x300che si oppongono alla nuova Legge Urbanistica toscana?

E che cosa rappresentano gli Ordini professionali in nome dei quali, a quanto pare, vengono espressi gli attacchi di cui abbiamo letto in questi ultimi giorni?

Già nello scorso mese di maggio si erano avute le prime avvisaglie di questa “campagna”: già allora i “professionisti” avanzavano critiche e perplessità sui punti principali della proposta di legge che oggi è stata approvata dalla Giunta Regionale, come il contenimento del consumo di suolo e il controllo della pianificazione comunale (si veda in questo sito gli interventi sulle regole per il buongoverno). A sentire gli stessi Ordini professionali, le critiche erano espresse in nome di tutti gli iscritti, di tutti i professionisti. Contestando la regolarità di una simile presa di posizione, ampiamente riportata sui giornali locali, l’arch. Beppe Rinaldi (allora membro del Consiglio dell’Ordine della provincia di Firenze) aveva scritto una lettere alla redazione fiorentina di Repubblica, che non fu mai pubblicata. Visto che il tema è di nuovo attuale, ci sembra giusto pubblicare quella lettera: Gent ma Ilaria Ciuti, leggo il Suo articolo del 18 Maggio u.s. (…)  Sentendomi coinvolto dalle affermazioni dei Colleghi nel Suo articolo, vorrei precisare quanto segue: A fine Marzo è uscito dall’Ordine un comunicato stampa, non firmato, con una posizione durissima verso la Bozza di Legge Urbanistica Regionale. Questa posizione, assunta utilizzando la forza numerica ma non la consapevolezza degli Architetti, non è stata discussa in Consiglio, né è mai seguita una Delibera; è stata assunta e diffusa all’insaputa del Consiglio e della stessa Commissione Urbanistica dell’Ordine. Tutti l’abbiamo appresa dai media. Questa uscita, avvenuta fuori da qualunque procedura istituzionale, non ha alcun valore; lede inoltre e direttamente le prerogative del Consiglio, per non parlare dell’imbarazzo che può creare negli Iscritti. Chi aveva l’obbligo di privilegiare il Consiglio, per rispetto all’Istituzione di cui parla con “consigliocentriche” buone intenzioni, non ha avuto esitazione a propalare ai media una posizione del tutto autoreferenziale. Desidero far riflettere lei e, tramite il Suo Giornale, i Colleghi tutti e i cittadini, sulla credibilità di chi, anonimamente, ha coinvolto gli Architetti della nostra Provincia in decisioni da loro mai discusse, mai condivise, mai prese. La gravità di questo atto riguarda anche la struttura stessa dell’Ordine; si è andati talmente al di là, al punto da dimenticarsene: l’Ordine non rappresenta gli Architetti di Firenze, è solo l’Ente di Stato che gestisce l’Albo degli Architetti di questa Provincia e con le attribuzioni che la Legge gli dà. Anche ammettendo una funzione di rappresentanza, a maggior ragione le prerogative del Consiglio, le ragioni dell’approfondimento e della discussione nelle sedi deputate (Consiglio, Commissioni e Assemblee con gli Iscritti) debbono essere rispettate al massimo grado; ma questo non è stato fatto. E non solo questa volta, come si vede. Si è compromessa la credibilità di un intero Ordine e quindi la sua possibilità di sedere con prestigio a un Tavolo Regionale di discussione. Si è azzoppata clamorosamente l’occasione di inserire gli Architetti nel dibattito sul Restauro territoriale ed edilizio di beni pubblici e privati di questa Regione, che potremmo a ragione definire Patrimonio dell’Umanità, e sul contributo che un nuovo concetto di restauro poteva portare all’economia di questa Regione, a quella di tanti Studi Professionali, di tante Imprese, di tanti Comuni. Mi auguro che l’autoreferenzialità di chi ha commesso questo errore strategico non pregiudichi questa possibilità, ma certo mi domando come possa, chi è responsabile di questa miope azione, rispondere a una sfida Regionale, se non è neppure in grado di intravederla. Distinti saluti, Beppe Rinaldi Consigliere dell’Ordine degli Architetti PPC della Provincia di Firenze

Perché sia rapidamente approvata

pifla proposta di legge urbanistica della Toscana.

Un appello di Eddyburg.

Siamo venuti a Firenze da altre città e altre regioni. Analizzando e discutendo la proposta di legge in materia di urbanistica e di governo del territorio abbiamo imparato molto su come si può fare per combattere davvero il consumo di suolo, cioè l’espansione dell’urbanizzazione (la “repellente crosta di cemento e asfalto”) sull’intero territorio nazionale. Il blocco dell’espansione è un obiettivo che molti dicono di voler raggiungere ma le intenzioni diventano efficaci solo se ad esse seguono i fatti. Quando si tratta del territorio i primi fatti sono le regole.Le regole per il buon governo proposte dalla Giunta della Regione Toscanaci sembrano esemplari. Vorremmo che fossero presto approvate, per almeno due ragioni: perché consentono di bloccare subito la dilapidazione di una risorsa – lo spazio aperto – indispensabile per il futuro della Toscana e prezioso per tutta l’umanità presente e futura; perché sono un esempio per le altre istituzioni elettive che hanno responsabilità in proposito: dal Parlamento nazionale ai Comuni. È un percorso che può contribuire far uscire l’Italia dalla crisi soddisfacendo l’esigenza della sicurezza del territorio e dei suoi abitanti, della tutela dei patrimoni comuni, e quella di uno sviluppo fondato sul lavoro e sul benessere degli abitanti.
Marco Cammelli, Giovanni Caudo, Vezio De Lucia, Salvatore Lo Balbo, Paolo Maddalena, Giampiero Maracchi, Edoardo Salzano
Firenze, 20 novembre 2013Condividendo le valutazioni dei promotori dell’appello e la loro sollecitazione a una tempestiva approvazione del disegno di legge approvato dalla Giunta regionale aderiscono all’appello:
Alberto Asor Rosa, Paolo Baldeschi, Piero Bevilacqua, Roberto Camagni, Vittorio Emiliani, Domenico Finiguerra, Roberto Gambino, Maria Cristina Gibelli, Maria Pia Guermandi, Alberto Magnaghi, Oscar Mancini, Giorgio Nebbia, Tomaso Montanari, Massimo Quaini, Salvatore Settis, Renato SoruAderiscono inoltre:

Rete dei Comitati per la difesa del territorio, …

Invitiamo chi ha letto la proposta di legge e condivide l’appello ad aderire inviando l’adesione (nome, cognome, qualifica) a eddyburg@tin.it

Attori nel regno posturbano.

Untitled-1di Alberto Magnaghi.

Una presentazione della Lectio Magistralis tenuta il 4 dicembre presso l’Aula Magna del Dipartimento di Architettura, in via Micheli 2 a Firenze. A seguire, un articolo di Alberto Ziparo sul Manifesto del 4 dicembre.

L’urbanizzazione del mondo è irreversibile? Ma innanzitutto, perché mai fermarla? L’aria della città non rende liberi? Forse un tempo, quando ci si liberava dal feudo costruendo città e cittadinanza o quando, in seguito, ci si liberava dalla fatica dei campi e dalla precarietà del raccolto per andare a cercare un salario certo in fabbrica. Ma oggi la città, come terra promessa è, per la maggioranza degli abitanti della terra, solo un miraggio. Il più grande esodo della storia dell’umanità è duplice: verso l’iperspazio telematico, promessa di democrazia immateriale, ma anche assoggettamento al dominio delle reti globali, e verso le megacities e megaregions di decine di milioni di abitanti del Sud e dell’Est del mondo. Nel 2050, secondo l’Onu, su 9 miliardi di abitanti, 6,4 saranno urbanizzati. Questo percorso è iniziato con la crisi della città fabbrica fordista che aveva concentrato nelle cittadelle produttive del nord del mondo i flussi di forza lavoro dalle periferie regionali e globali, costruendo grandi aree e conurbazioni metropolitane al servizio del sistema produttivo massificato fordista.

Con la crisi di questo sistema dopo il grande ciclo di lotte operaie (1968-70) e la crisi petrolifera (1973) si avvia un doppio esodo: il primo regionale, che con il decentramento produttivo e la molecolarizzazione della grande fabbrica, costruisce il territorio della «città diffusa», che pervade distruttivamente le campagne e «urbanizza» vasti territori regionali; un processo che procede tutt’ora con edificazioni d’interesse esclusivo del capitale finanziario; il secondo più radicale che sposta dal nord al sud-est del mondo il ciclo produttivo globale provocando l’inurbamento forzato di milioni di contadini.

I protagonisti di questo megaesodo planetario non arrivano più in città. Arrivano in smisurate e sconfinate periferie, slums, favelas, urbanizzazioni illegali, frutto esponenziale e terminale dei processi di deterritorializzazione già avvenuti (ma con proporzioni e tempi diversi) nelle periferie della città-fabbrica occidentale: rottura delle relazioni culturali e ambientali con i luoghi e con la terra, perdita dei legami sociali, dissoluzione dello spazio pubblico, condizioni abitative decontestualizzate e omologate, crescita di nuove povertà. Questo «regno del posturbano» (e del postrurale) si è costruito, nella civiltà delle macchine, con la rottura delle relazioni co-evolutive fra insediamento umano, natura e lavoro che ha caratterizzato, nel bene e nel male, le civilizzazioni precedenti.

Il percorso di «deterritorializzazione senza ritorno» che si è avviato con la recinzione dei commons, procede, nel tempo del grande esodo, con la privatizzazione e la mercificazione progressiva dei beni comuni naturali (la Terra, innanzitutto, e poi l’acqua, l’aria, le fonti energetiche naturali, le selve, i fiumi, i laghi, i mari e cosi via), e dei beni comuni territoriali (città e infrastrutture storiche, sistemi agroforestali, paesaggi, opere idrauliche, bonifiche, opifici, impianti energetici).

Autogestioni locali

Questa deterritorializzazione ha trasformato progressivamente gli abitanti (che ancora nella città fabbrica esprimono la forza collettiva per rivendicare nel territorio condizioni di vita adeguate) in consumatori individuali e clienti del mercato e i luoghi in siti occupati da funzioni che rispondono a reti globali. L’urbanizzazione del pianeta che compie questo processo è dunque catastrofica per la mutazione antropologica che produce con la fine della città e della cittadinanza, oltre che ecocatastrofica per gli effetti sul clima, sul consumo di suolo fertile, sugli ecosistemi, provocati dalla dimensione, velocità e forma dei processi di inurbamento. Si compie così un percorso, analizzato da molti osservatori scientifici, da una parte verso una condizione urbana globale (ma non di urbanità) come destino esclusivo dell’umanità sul pianeta, dall’altra, «fuori le mura», verso l’abbandono e l’inselvatichimento di molti spazi aperti, resi inospitali per la vita dell’uomo da processi di degrado, desertificazione, alluvioni; e verso lo sfruttamento commerciale della natura fertile residua.

Se questa urbanizzazione globale non è più la terra promessa, vanno allora ricercate forme di controesodo: accrescendo la resistenza (in via di crescita) dei luoghi periferici e marginali al loro definitivo tramonto e colonizzazione e favorendo il loro ripopolamento con nuovi agricoltori, alleati con cittadini consapevoli, per la costruzione di una nuova civilizzazione urbana e rurale.

Il controesodo è un «ritorno al territorio» come bene comune (alla terra, alla montagna, alla urbanità della città, ai sistemi socioeconomici locali) per disseppellire luoghi, ritrovare la misura umana delle città e degli insediamenti. Il che significa ricostruire relazioni sinergiche fra insediamento umano e ambiente; aiutare la crescita di «coscienza di luogo», ovvero la capacità della cittadinanza attiva di sviluppare, a partire da vertenze specifiche, saperi e forme di autogoverno per la cura dei luoghi, in primis dei fattori riproduttivi della vita; promuovere nuovi stili conviviali e sobri dell’abitare e del produrre; valorizzare le forme in atto di mobilitazione sociale, le reti civiche e le forme di autogestione dei beni comuni territoriali e ambientali, per produrre ricchezza durevole in ogni luogo del mondo attraverso una conversione ecologica e territorialista dell’economia e la costruzione di reti solidali per una «globalizzazione dal basso».

Lo strumento concettuale e operativo che propongo, insieme a molti ricercatori della Società dei territorialisti, per avviare questo «ritorno al territorio» è la bioregione urbana, declinazione territorialista del concetto storico di bioregione: un modo di ridisegnare, in controtendenza, le relazioni virtuose fra insediamento umano, ambiente e storia che, similmente alla costruzione di una casa, individui e metta in opera gli «elementi costruttivi» di un progetto di territorio che produca l’autosostenibilità degli insediamenti umani.

Eccentricità a confronto

Questi elementi costruttivi sono, in sintesi: le culture e i saperi locali contestuali e esperti che si mobilitano per riattivare l’ars aedificandi dei mondi di vita delle comunità locali; gli equilibri idrogeomorfologici e la qualità delle reti ecologiche come precondizioni dell’insediamento umano e della sua capacità autorigenerativa; la decostruzione delle urbanizzazioni contemporanee centro-periferiche e la ricostruzione di centralità urbane policentriche e dei loro spazi pubblici (città di villaggi, reti di città in equilibrio ambientale con il loro territorio rurale); lo sviluppo di sistemi produttivi locali orientati alla messa in valore dei beni patrimoniali per la produzione di ricchezza durevole; la valorizzazione integrata delle risorse energetiche locali in coerenza con il patrimonio ambientale, territoriale e paesaggistico, per l’autoriproduzione della bioregione; i ruoli multifunzionali degli spazi agroforestali (già presenti in molte esperienze di neoruralità) per la riqualificazione delle relazioni città-campagna per la produzione di servizi ecosistemici e la riduzione della impronta ecologica; le istituzioni di democrazia partecipativa, le forme e le esperienze di gestione sociale dei beni comuni territoriali per l’autogoverno della bioregione.

Ognuno di questi «elementi costruttivi» si appoggia su energie sociali (comportamenti, movimenti, comitati, reti) che vanno esprimendo nuove forme del conflitto che si è desituato, almeno nelle regioni del nord del mondo, con la complessificazione crescente dei rapporti sociali di produzione, dalla centralità della contraddizione fra capitale e lavoro alla opposizione fra eterodirezione e autogoverno delle comunità locali, come già scrivevo nel 1981: «Due eccentricità si fronteggiano sul nuovo territorio metropolitano: le aree socioeconomiche in cui si disarticola il territorio della produzione, in quanto terminali informatizzati del nuovo ciclo di accumulazione e la formazione di nuovi bisogni di autodeterminazione della qualità della vita, emergenti in modo articolato e specifico nelle singole comunità socioeconomiche».

Il progetto di bioregione consolidandosi nel tempo in relazione alla evoluzione dalla coscienza di classe alla coscienza di luogo, fa riferimento a esperienze di ricerca-azione e di progettualità sociale del territorio in corso in alcune regioni europee dove l’urbanizzazione diffusa ha già raggiunto livelli difficilmente superabili; ma può nel contempo indicare strade per il contenimento del grande esodo verso megacity, contrapponendogli la visione di un pianeta brulicante di bioregioni in rete, per una globalizzazione dal basso fondata in ogni luogo sulla gestione collettiva del bene comune territorio.

La Società dei Territorialisti e il sistema vivente dei «luoghi»

La Società dei Territorialisti e delle Territorialiste è nata per iniziativa di un Comitato di garanti di diverse discipline di molte università italiane, per perseguire i seguenti obiettivi: a) sviluppare il dibattito scientifico per la fondazione di un corpus unitario, multisciplinare delle arti e scienze del territorio di indirizzo territorialista, che assuma la valorizzazione dei luoghi come base fondativa della conoscenza e dell’azione territoriale; b) promuovere indirizzi per le politiche e gli strumenti di governo del territorio a partire da questo corpus; c) indirizzare il dibattito sulla formazione di scuole, dipartimenti, dottorati, master di Scienze del territorio nelle università italiane; d) promuovere eventuali strutture di carattere culturale e scientifico al di fuori dell’Università; e) sviluppare relazioni internazionali mirate a estendere e confrontare i temi della Società.

Soprattutto, vi si favorisce un approccio che ha posto al centro dell’attenzione disciplinare il territorio come bene comune nella sua identità storica, culturale, sociale, ambientale, produttiva e il paesaggio in quanto sua manifestazione sensibile. Si critica, invece, l’idea di una fatalità della deterritorializzazione e despazializzazione. L’approccio della Società interpreta il territorio, appunto, come un sistema vivente ad alta complessità che è prodotto dall’incontro fra eventi culturali e natura, composto da luoghi (o regioni) dotati di una propria storia, struttura e carattere. Ribadisce dunque il legame interattivo delle società umane con la terra (nella sua entità geologica, topografica, ecologica, vegetale e animale).

 

Vivere nelle bioregioni, padroni dei propri spazi
di Alberto Ziparo


Questa «lectio magistralis» di Alberto Magnaghi può essere letta come una sintesi del percorso teorico dell’urbanista italiano. Un itinerario che ha visto Magnaghi impegnato nel dare vita a esperienze di progettazione, ricerca, azione di tutela e affermazione dei valori territoriali («Era e resta un grande organizzatore di anime», disse di lui Rossana Rossanda un po’ di tempo fa). Nel testo, Magnaghi ricorda inoltre come il capitalismo globalizzato, di recente «ad alta finanziarizzazione», abbia esasperato i processi di deterritorializzazione già in atto per gli impatti dello «sviluppo insostenibile contemporaneo».

Magnaghi propone di guardare alle problematiche condizioni ecologiche attuali da una prospettiva diversa da quella restituita dalla vulgata mediatica e dalle classi dirigenti che la informano. Lontano dalle politiche dominanti nelle varie governance multilivello che connotano i quadri decisionali istituzionali di oggi, l’innovazione viene cercata «guardando al basso» verso le nuove soggettività territoriali, consapevoli dell’urgenza di azioni di riqualificazione sociale incentrata sulla tutela e riaffermazione dei valori ambientali.

Tali attori sono individuati tra gli «abitanti della bioregione urbana», categoria «glocale» a forte connotazione socio-ambientale, utile ed efficace per reinterpretare i processi di declino e deterritorializzazione in atto, e rivoltarli in rappresentazioni di scenari di recupero ambientale e culturale del patrimonio territoriale. Dai comitati di difesa del territorio ai nuovi attori delle produzioni agrorurali a filiera corta, alle strutture della green economy locale, agli animatori della landscape oriented smart city, Magnaghi individua possibili reti di «abitanti di bioregioni urbane» capaci di esprimere azioni allargate e sostantive per politiche di restauro del territorio – bene comune, di riutilizzo del patrimonio, di riqualificazione civile e sociale dell’ambiente.

Con la più recente delle organizzazioni di ricerca e azione che ha promosso, la «Società dei Territorialisti» e i moltissimi studiosi, esperti, cultori e ambientalisti che vi aderiscono, l’urbanista oggi promuove «Osservatori» sui diversi contesti regionali, riletti secondo i criteri della «Bioregione Urbana» su cui si sofferma nel suo scritto.

L’obiettivo è proporre strategie che prefigurino il piano e il progetto urbanistico nella sua accezione più coerente di «formalizzazione spaziale di politiche»: connotate, invece che da una partecipazione crescente solo a livello di declaratorie, dalle intenzionalità strutturanti dei nuovi abitanti; consapevoli delle necessità di un’azione «attenta e sensibile» ad altissima coscienza e bassissima impronta ecologica.

Verso Mondeggi Bene Comune

foto oliveSuccede da alcuni mesi e a due passi da Firenze: ma i media non se ne occupano. Terra Bene Comune non è più soltanto uno slogan che tiene insieme una serie di iniziative volte a rilanciare il ruolo dell’agricoltura e la riqualificazione del territorio. Dopo l’incontro nazionale di GENUINO CLANDESTINO (vedi la sezione Eventi e appuntamenti), che si è svolto a Firenze dal 1 al 3 novembre, la mobilitazione si è concentrata sulla proposta di recupero delle terre abbandonate della fattoria di Lappeggi-Mondeggi, di proprietà della Provincia di Firenze, in comune di Bagno a Ripoli. Non solo NO ALLA VENDITA di un bene della collettività, ma intervento diretto nella raccolta delle olive e nella produzione dell’olio. L’iniziativa prelude alla possibilità di costruire insieme un progetto di recupero di un’azienda pubblica che potrà interessare non solo le decine di giovani che possono essere direttamente coinvolti, ma tutta la rete dei comitati per la difesa del territorio.

In un prossimo consiglio comunale di Bagno a Ripoli verrà discussa la mozione presentata in proposito dal gruppo Per Una Cittadinanza Attiva: si veda il comunicato stampa. Intanto proseguono gli incontri di Verso Mondeggi … in forma di assemblea. Per coglierne il contenuto della discussione, riportiamo di seguito il verbale relativo all’assemblea del 1 dicembre:

Verbale 1 dicembre 2013

L’assemblea si apre con la decisione di aderire e partecipare alla manifestazione del 7 dicembre a Campi Bisenzio contro le nocività nella piana fiorentina.

Emiliano T.: Da oggi, ogni seconda domenica del mese appuntamento fisso a Pozzolatico nel mercato Mangiasano dopo un pranzo condiviso faremo una riunione su Verso Mondeggi Bene Comune. Domenica prossima saranno affrontate le questioni fondamentali. Ora ci raccontiamo gli aggiornamenti di quanto avvenuto in questi giorni: le mosse decise dall’Assemblea si sono rivelate positive. Due raccolte di olive, in due domeniche molto partecipate che hanno visto la presenza di circa 150 persone. Sono state raccolti circa 30 quintali di olive, franti in tempi record. Ringrazio tutti quelli che hanno partecipato, e chi si è occupato dell’etichetta, che è riuscita molto bella. In una serata in Via Aldini abbiamo imbottigliato circa 450 bottiglie. Tre sono stati i momenti di ridistribuzione popolare dell’olio: − mercoledì la cena dell’ANPI sull’olio nuovo all’Antella, in cui è stata anche raccontata l’idea del progetto − giovedì il mercato all’Antella e venerdì il mercato a Grassina, che si sono rivelati momenti molto efficaci. All’Antella l’intervento dei vigili ha impedito l’allestimento del banco, così chi era presente si è mosso con il volantinaggio e la distribuzione dell’olio. Abbiamo rilevato un buon consenso da parte della comunità locale. Questi sono stati i primi passi nella direzione della consapevolezza della comunità per impedire la vendita del bene comune e costruire una gestione alternativa a quella fallimentare degli ultimi decenni. Continuiamo a creare questo percorso e allarghiamolo a tutta la piana fiorentina. Dall’altra parte del fronte sono stati sentiti i nostri passi e c’è stata reazione. Come ci vogliamo rapportare con gli attuali amministratori di questo bene?

Luca R.: Su Mondeggi vi sono tanti appetiti. Uno è quello di vendere il bene in sordina. Il liquidatore Giano Giani mi ha telefonato chiedendomi i farmi da portavoce, e affermando che in caso di ulteriori raccolte non concordate, sarà costretto a rivolgersi all’autorità giudiziaria. Inoltre, ha asserito che la raccolta delle olive è affidata a Vincenzo Pratelli con un regolare contratto, pertanto questi rivendica la proprietà delle olive e non è disponibile a tollerare altre raccolte. Abbiamo avuto modo di notare in questo periodo che frequentiamo Mondeggi che la raccolta effettuata dagli operai del Pratelli sta danneggiando le piante, al contrario le nostre due giornate di raccolta sono state effettuate con la massima cura. Giovedì 28 novembre è uscito un articolo su La Nazione contenente diverse informazioni false volte a screditare qualsiasi iniziativa: sosteneva che Mondeggi è stata gestita da una fantomatica cooperativa, invece l’azienda è sempre stata gestita direttamente dalla Provincia. Infatti, l’abbandono porta alla disaffezione popolare e al deprezzamento, rendendo più facile la vendita. È evidente quindi che le nostre azioni riportando l’attenzione su Mondeggi rendono più difficile l’alienazione sottocosto del bene pubblico. Venerdì 29 novembre è uscito anche un altro articolo, sul Metropoli, in cui il Sindaco di Bagno a Ripoli Luciano Bartolini si dichiara contrario alla vendita e favorevole a valutare attentamente le proposte avanzate da Terra Bene Comune. Articolo a cui Giano Giani ha fatto riferimento ed ha caldeggiato la proposta dell’assessore Tiziano Lepri, che ci aveva richiesto una paginetta di bozza di progetto entro fine anno. Entro domenica 8 dovremmo aver tutti chiaro in mente se siamo favorevoli a portare avanti un colloquio con la Provincia, oppure se siamo contrari. Inoltre, domenica dovremmo formare il gruppo di chi vuole lavorare e vivere a Mondeggi, gruppo che dovrà decidere se e come comunicare con la Provincia e presentare la proposta. Ringrazio in particolar modo Claudio Pozzi, presidente del WWOOF, Giannozzo Pucci, Sergio Paderi e i rappresentanti della MAG presenti, tutte organizzazioni che da anni si adoperano affinché il territorio torni a produrre il cibo che consuma e con le quali auspico una fattiva collaborazione. Il nostro è un progetto di autodeterminazione alimentare dei territori.

Antonio D G.: L’Università per anni ha lavorato a Mondeggi, sperimentando, si vedano gli olivi a monocono per la raccolta meccanizzata. L’università ha sperimentato attraverso progetti finanziati dall’UE, terminati i finanziamenti i macchinari sono stati abbandonati o svenduti.

Niccolò: Alcuni ricercatori dopo aver seguito questo progetto ne hanno proposto un altro sull’agricoltura sociale, che dopo due passaggi in provincia è stato affossato, cosicché alcuni di questi ricercatori si sono tolti dall’impegno in Mondeggi.

Luca R.: Se avete i contatti di questi ricercatori, recuperateli che li coinvolgiamo per conoscere la loro opinione.

Giovanni P.: Mi sembra ridicolo che dopo decenni di abbandono ci diano solo un mese per presentare un progetto. Formiamo un gruppo che coinvolga la popolazione locale che vuole che questo bene venga riutilizzato con l’agricoltura contadina, un gruppo di chi vuol venire a vivere e lavorare a Mondeggi, e un gruppo di chi vuol sostenere questo progetto. Cerchiamo di capire chi siamo e cosa vogliamo, curiamo il nostro percorso. Lasciamo per ora perdere i contatti con la Provincia, lo faremo dopo.

Claudio P.: Per partire serve un progetto semplice, chiaro e condiviso, che va organizzato. Le amministrazioni provinciali stanno chiudendo, quindi ora che non hanno più niente da perdere potrebbero avere un’apertura per favorire un progetto, parliamoci ora.

Vincenzo M.: Cosa abbiamo fatto in questo mese? Abbiamo scoperto che quanto fatto e fatto sapere ha trovato il consenso della popolazione locale. Durante i banchini, ci dicevano “bravi che avete raccolto le olive che sarebbero cadute a terra!”, alcuni prendevano l’olio con le lacrime agli occhi, altri ci raccontavano le relazioni avute durante la loro vita con Mondeggi. Bisogna valutare con attenzione quanto comunicato a Luca. Il nostro percorso ce lo decidiamo noi, l’etica e la tecnica del nostro progetto non sono discutibili. Parlare con la Provincia sì, ma non scendere a mediazioni. Siamo in antitesi con quel che finora è stato fatto a Mondeggi. Il loro metodo ha portato ad un milione di deficit. Per arrivare a chiamarci, significa che quanto abbiamo fatto e il consenso incontrato sono giunti alle loro orecchie. Andiamo in Provincia, diciamo le linee del nostro progetto, e ci sono due possibilità: un’accoglienza oppure il tentativo di tergiversare e impantanarci. Il consenso che abbiamo raggiunto è dovuto al nostro attivismo, quindi battiamo il ferro finché è caldo. Rilancio la distinzione proposta da Giovanni: chi è intenzionato a una scelta di vita in Mondeggi, chi vuole sostenere e dar la propria solidarietà. E poi si parte. Il progetto c’è, ed è unico: che l’azienda non venga venduta, e che l’azienda torni produttiva con il metodo che diciamo noi. Dimostreremo col fare il nostro saper fare. Si è parlato anche di ecovillaggi, e attività che vanno al di là di quelle agricole (artistiche, sociali…) e ben vengano, comunque essenzialmente siamo contadini.

Giovanni P.: Concentriamo le energie sul percorso e non su cosa dire alla Provincia.

Laura T.: Le due cose, il percorso del gruppo e il dialogo con la Provincia (che non significa scendere a compromessi), non si escludono l’un latro, parlare ora con la Provincia significa tener aperta un’opportunità.

Vanessa: Con il Movimento per la Casa ho visto che ogni volta che tocchi delle cose pubbliche abbandonate si svegliano. Ci siamo impegnati per raccogliere 70 olivi, e le abbiamo ridate in olio gratuitamente alla gente… applaudiamoci! È stata una bella esperienza da un punto di vista umano. Qui non voglio occupare, voglio sostenere, ma non scendiamo a compromessi.

Giorgio P.: Il riscontro riportato da Vincenzo del consenso popolare è giusto. Che la popolazione locale sia d’accordo è molto importante. La gente qui ci viene, lo vive, è un luogo bellissimo composto da parco e da terre agricole. Solo un progetto come questo impedisce che costruiscano recinzioni: va spiegato alla gente che se restiamo noi il luogo rimane aperto e accessibile. Chiariamo cosa vogliamo fare: chi compie azioni speculative ha idee chiare, noi invece dovremmo sperimentare, creare strada facendo. La Provincia ci deve consentire di sperimentare in ogni settore, gestioni collaborative e non competitive.

Massimo B.: La forza di un movimento è nella costanza dell’azione. Se la Provincia chiede un incontro, non lasciamo che possano dire che non siamo andati, non creiamo alibi che possano usare contro di noi. Andare non ci toglie troppe energie. Il progettino c’è già, modifichiamolo, tagliamolo come serve, e andiamo. Nel frattempo, anche se non ci viviamo, continuiamo a fare i lavori e ad imparare a lavorare. Veniamo e facciamo quel che la stagione concede, non stiamo solo sul progetto teorico. Dire che noi siamo bravi e loro stronzi chiude all’esterno mentre noi siamo aperti e inclusivi. Restiamo a testa alta, disposti al dialogo, con pochi punti chiari e il coraggio di dirli a tutti.

Niccolò: Sì alla comunicazione con la Provincia, ma facciamo il progetto senza aspettare i loro tempi. Comunque, vista la stagione invernale che non permette tanti lavori, dedicarci adesso al progetto per esser pronti a primavera può tornar comodo anche a noi.

Eva: C’è un’energia positiva, il consenso sul territorio è forte. Creiamo i gruppi di chi vuole effettivamente lavorare qui dentro. La prima cosa è lavorare su gruppi di amici, nuclei familiari che vogliono lavorare e vivere a Mondeggi. In Provincia hanno chiesto una pagina di bozza in tempi stretti perché a giugno la provincia verrà quasi certamente commissariata. Attualmente sul territorio per i GAS e per i mercati locali è molto difficile reperire prodotti di agricoltura contadina, e sta anche aumentando la richiesta. Non tralasciamo l’opportunità della loro apertura.

Davide: All’amministrazione diciamo qual è il nostro scopo (di riprenderci il territorio, con progetti a lungo termine), mentre il progetto ce lo studiamo fra di noi, dobbiamo averlo chiaro fra noi.

Giacomo: Sì per la presentazione della bozza di progetto. Comunque continuiamo con altri lavori, ad esempio iniziamo a potare le viti, e chi sa farlo lo insegna. Io lavoro durante la settimana, ma la domenica ci sarei. Portiamo avanti il progetto e i gruppi, ma nel frattempo continuiamo a lavorare. Fissiamo la prossima domenica di lavoro.

Luca: Se puoi, porta una proposta, un’idea di lavoro la prossima domenica.

Fabrizio: Chiariamoci cosa vogliamo fare e come. Vogliamo scendere al compromesso o scegliere noi? Diamo noi una scadenza. Se a loro non va bene, lo facciamo lo stesso.

Alice: Creiamo una strategia: c’è chi dice una cosa, chi un’altra, creiamo dei gruppi con dei ruoli. Avrà a che fare con le istituzioni chi ne ha le doti, e questi lavorino per armonizzare il rapporto. Ci sarà chi studia il progetto pratico. Iniziamo a fare i progetti e a realizzarli, ma nel frattempo mediamo. 15+15 è un lungo termine. Vogliamo collaborare, condividere, ridistribuire. Creiamo un gruppo di lavoro di chi vuol riabitare Mondeggi.

Luca: Chi è interessato a partecipare attivamente venga domenica prossima.

Emiliano: Domenica prossima tiriamo fuori il gruppo di chi si mette in prima linea nel progetto di vita completo, non solo per riabitare, un nucleo fondamentale che inizi ad incontrarsi una o più volte la settimana. Se con la Provincia c’è la possibilità di metter una zeppa con una pagina di progetto, mettiamocela, senza scendere a compromessi. Il nucleo lavori sul progetto, sulle idee, che vengono poi condivisi in assemblea.

Roberto: Ci sono tante cose che è necessario elaborare insieme, che l’assemblea condivida. Mondeggi comeopportunità di attività e di abitazione, ma anche come esempio di un nuovo modo di stare sul territorio. Con dei gruppi di disoccupati lavoreremo su altri olivi qui a Mondeggi: chi vuole sostenerci è il benvenuto.

Ottavio: Il movimento dei contadini a livello mondiale sostiene che il cibo non è una merce, la sovranità alimentare (perché l’autodeterminazione sia non di gruppo bensì sociale), e la ricostruzione degli usi civici. Teniamo presenti questi punti sostenuti a livello mondiale e facciamoli anche nostri.

Massimo: Le cose che sono state dette oggi non sono in contrapposizione fra loro, ci sono delle piccole divergenze ma tutti condividiamo i punti cardine della nostra azione e la nostra visione di Mondeggi nel futuro. Dipenderà dalla nostra maturità riuscire a trovare la sintesi delle piccole divergenze emerse. Ricordiamoci che le contrapposizioni non sono dentro al nostro gruppo, che deve restare unito e compatto, la contrapposizione è con chi vuole vendere.

Grazie a Tutti da Tutti per essere rimasti tutto il giorno al vento e al freddo che ci ha accompagnatonella giornata, un sentito grazie ai bravissimi musici e poeti.