A proposito di Renzi.

Alberto Asor Rosa

La rivoluzione moderata e la nascita del nuovo politico

di ALBERTO ASOR ROSA, Il Manifesto, 16 Gennaio 2014

Prima di entrare nel merito della delicata materia politica, cui questo articolo intende fare riferimento, devo confessare una mia personale difficoltà, o storico disagio, che potrebbe rendere quanto segue altamente opinabile. E cioè: quando il dissenso politico diventa abissale, si trasforma in una differenza antropologica, che lo fonda e giustifica. Per quanto mi riguarda è così che io guardo Matteo Renzi, il nuovo e brillante leader della sinistra italiana. E’ come se lui ed io appartenessimo a mondi diversi, incomunicabili. Perciò dicevo della mia difficoltà di costruirci un discorso ragionevole sopra. Sarebbe come se al marziano di Flaiano si fosse chiesto di formulare un oculato giudizio politico sui frequentatori dei caffè di Via Veneto, o anche viceversa (ai tempi suoi, s’intende: adesso anche lì è tutt’altra cosa).

Tutto ciò — lo dico senza ironia e senza nessuna autocondiscendenza affabulatoria — pende gravemente a mio sfavore. Lui è il nuovo che avanza, con tutta la forza dirompente della sua totale (anche anagrafica) ignoranza del passato. Io sono il passato che guarda con sbigottimento al presente, con la pretesa, oggi totalmente, anzi comicamente vana, che la conoscenza del passato, e il tenerne conto, come si faceva una volta, possano portare ancora qualche piccolo elemento di previsione, e di azione, per il presente. Ma allora, se della politica abbiamo due nozioni e credenze nettamente opposte, perché presumere di giudicare una delle due politiche dalla specola di osservazione di una concezione della politica che le è esattamente opposta? Sappia perciò il lettore — lo dico per onestà intellettuale — che questo articolo sarà marcato negativamente da questa forte pregiudiziale .

Ridurrò il resto ad alcune considerazioni basilari, anzi, a questa sparsa “lettura del testo”, che illumini (forse) il punto in cui siamo.

1. L’ho già detto in altre occasioni, ma in esordio voglio tornare e ricordarlo. Renzi, e il renzismo, il quale già gli è nato e anzi prospera vigorosamente accanto, rappresenta l’approdo finale della lunga parabola iniziata venticinque anni fa con la Bolognina di Achille Occhetto. Qual è l’essenza di questa parabola? L’essenza di questa parabola è la cancellazione, oggi ormai totale e irreversibile, della tanto vituperata “diversità comunista” (cioè della pretesa, abominevole agli occhi di molti, di fare politica in modo diverso per obiettivi diversi). Questa cancellazione incide tanto più pesantemente sul panorama politico italiano in quanto non ha dato luogo, come si poteva pensare e sperare, alla nascita di un’opzione socialista. Il crollo del vecchio socialismo, in ragione fondamentale (ma non solo) della campagna giudiziaria di Mani pulite, e il rifiuto, da studiare ancora fino in fondo, della dirigenza post-comunista di subentrargli in quel ruolo, hanno prodotto questo unicum nella storia europea degli ultimi due secoli: l’Italia è l’unico paese in Europa in cui non esiste un partito socialista. Il continuo decalage autodefinitorio — Pci, Pds, Ds, Pd… — e cioè in buona sostanza l’incertezza profonda su cosa si è e soprattutto su cosa si vuole essere o diventare, ha prodotto la perdita di qualsiasi identità culturale e ideale. Il renzismo replica: che bisogno ce n’è? La politica ne prescinde. Intanto andiamo avanti a tutta birra. Poi, eventualmente, si vedrà.

2. Come già accennavo, la chiave di tutta questa storia sta nell’incredibile serie di errori commessi dalla vecchia dirigenza post comunista (che non abbiamo né spazio né voglia di approfondire in questa sede, ma diamo ormai per storicamente appurati). L’ultimo soprassalto identitario si verifica quando Bersani sconfigge nettamente Renzi alle primarie del 2012. Il genio del renzismo consiste nell’avere colto il momento in cui lo sfinimento del vecchio gruppo dirigente lascia aperte le porte al più drastico dei rovesciamenti. Tale rovesciamento consiste essenzialmente di tre aspetti:

a) Renzi sostituisce la forza plebiscitaria del consenso alla gerarchia organizzata e scalare (e talvolta un po’ omertosa) del Partito. Cioè, in sostanza, nega l’utilità e l’opportunità in re del Partito, il quale resta come un puro guscio, la bandiera da sventolare (ma neanche troppo, spesso quasi per niente) nelle occasioni ufficiali. Cioè: cambia la nozione stessa di democrazia, che questo paese bene o male ha praticato dal ’45 a oggi (tutelata, se non erro, da certi aspetti non irrilevanti della nostra Costituzione);

b) Insieme con l’utilità e l’opportunità del proprio Partito (e, più in generale, della forma partito in quanto tale), nega l’utilità e l’opportunità della rappresentanza parlamentare. Infatti, tradizionalmente, fra il corpo degli eletti, i quali, almeno teoricamente, dovrebbero rappresentare l’autentica volontà popolare, e la direzione del Partito corrispondente c’è sempre stata (almeno dopo la chiusura, per il Pci, della fase staliniana) una dialettica di confronto e di scambio. Oggi la rappresentanza parlamentare viene trattata alla stregua di una semplice esecutrice dei diktat provenienti dalla direzione renziana;

c) La politica si dispiega, per il verbo renziano, come la serie di atti che servono a raggiungere il più rapidamente ed efficacemente possibile quel determinato risultato. La direzione di marcia dell’intero processo, e i suoi riflessi sulla situazione sociale, culturale ed etico-politica del paese, restano nell’ombra. Probabilmente ci sono, ma meno si vedono e meglio è (o forse, se si vedessero, sarebbe molto peggio). Come si dice a Roma “famo a fidasse”.

3. Se le osservazioni precedenti sono minimamente fondate, salta all’occhio che le caratteristiche “nuove” del renzismo (cioè la velocissima rivoluzione accaduta negli ultimi due anni nel campo della sinistra moderata) sono enormemente simili a quelle già verificatesi nel corso degli anni precedenti nel centro-destra e nella realtà politica del dissenso e dell’opposizione popolari. Per vincere Silvio Berlusconi e Beppe Grillo — cosa che non era stabilmente accaduta mai alla vecchia dirigenza post-comunista e post-democristiana — occorreva seguirli sul loro stesso terreno. Questo mi pare davvero inconfutabile: leaderismo assoluto, populismo plebiscitario, discreto disprezzo dei meccanismi istituzionali e costituzionali, rifiuto del sistema-partito e del sistema-partiti, rottura degli schemi della vecchia, logora e consunta immagine del politico ancien régime, sono i punti di forza del “nuovo politico” al di là e al di qua dei tradizionali, anch’essi terribilmente obsoleti, limiti politico-ideali, destra, sinistra, e quant’altro ci viene dal passato. Il “nuovo politico” non ha avversari: ha solo concorrenti, da battere più o meno sul loro stesso terreno. Fra loro potrebbero persino intendersi: e non è detto che almeno su certi terreni, per esempio la nuova legge elettorale, questo non accada.

4. Il dato forse più significativo di tale processo è che esso ha acquisito rapidamente un vasto consenso popolare. Il “popolo” (insomma, più esattamente, un quoziente piuttosto vasto dell’elettorato del Pd, con ramificazioni significative negli altri elettorati) segue Renzi su questa strada. Da più parti si sente ripetere: «Con Renzi si vince». Importa meno sapere “cosa si vince”, purché sia raggiunta una ragionevole sicurezza che “con Renzi si vince”. Dunque, leaderismo, populismo plebiscitario, liquidazione dei partiti, un discreto disprezzo per il gioco parlamentare e per le istituzioni che lo garantiscono, hanno fatto breccia in profondità. Media — organi di stampa, televisioni, opinion makers — si allineano sempre più entusiasticamente. Uomini inequivocabilmente di sinistra (Vendola, Landini) sembrano guardare con simpatia alle possibilità di manovra, che il “nuovismo” renziano consente loro (per forza, meglio che star fermi, oppure restare per sempre marginali!).

5. Dunque, c’è stato, come sempre accade in questi casi, un processo di reciproco riconoscimento tra il leader nascente e le masse mutanti (ne hanno discorso recentemente Eugenio Scalfari ed Ernesto Galli della Loggia rispettivamente su la Repubblica e il Corriere della Sera: tornerò prossimamente su tale argomento). Si potrebbe ragionare a lungo su tali processi. Quel che conta è però che siano avvenuti. Constatarlo non significa però sapere come contrapporvisi. Anzi: è difficile interporsi soprattutto nel momento stesso in cui, come accade ora, tale congiungimento avviene. E tuttavia, il momento in cui il congiungimento avviene è però anche quello in cui una possibile interposizione va elaborata e presentata; altrimenti la partita è chiusa come minimo per un decennio. Ma qui conciano i dolenti lai. Non si tratta infatti di contrapporre soltanto un’ipotesi politica a un’altra, per ora prevalente. Si tratta, per riesumare una vecchia, detestatissima terminologia, di ricreare una cultura politica della sinistra, ancorata alla tradizione (tutto quel che c’è di buono al mondo ha un passato e una storia) e al tempo stesso moderna, modernissima, più dell’altra che, tutto sommato, non vede molto più al di là della punta del proprio naso. Ossia. cominciare a dire ragionevolmente quel che si vuole e prima di dire come lo si vuole. Resta dunque qualcosa del passato: diversi. Ma nuovi: non più comunisti. Questa è la scommessa. Resta tutto sommato credibile dal fatto che in Italia di così ce ne sono tanti, li conosco e ci lavoro insieme. Difficile è stendere la rete fra le loro non sempre facilmente assimilabili diversità. ma se si deve fare, si farà. In tempi di durissima carestia è esattamente quello che bisogna tornare a fare.

6. Prima di chiudere vorrei esibirmi nell’ultima farneticazione politica, anzi politicistica. Se le cose stanno come il passatista dice, bisognerebbe evitare a ogni costo che il governo Letta cada e si vada, come gli homines novi più o meno concordemente auspicano, al voto. Per tre motivi (almeno): a) bisogna evitare che la destra si ricompatti; b) bisogna elaborare una buona legge elettorale che senza equivoci assicuri in questo paese l’alternanza: il doppio turno e le preferenze (possibilmente più di una), sono l’unico sistema in grado di farlo, e per ottenerlo ci vorrà più tempo di quanto si pensi; c) abbiamo bisogno di tempo per elaborare, proporre e imporre una nuova cultura politica, della sinistra, con le conseguenze che un tale processo potrebbe avere sull’intero assetto politico e civile del paese. Sono argomentazioni paradossali per uno che invita a resuscitare la vecchio-nuova sinistra? Sì, è vero. Ma il paradosso è la nostra attuale condizione di vita — persino della vita pubblica e civile (talvolta personale), oltre che politica. Fare a meno del paradosso oggi non si può. Perciò è necessario astutamente governarlo.

Il progetto della fattoria aperta

DSC_1594VERSO MONDEGGI BENE COMUNE. Documento approvato nell’Assemblea tenuta a Pozzolatico il 12 gennaio (si veda anche il documento pubblicato a dicembre),

La Carta dei Principi

  1. Promuovere la gestione di Mondeggi come bene comune e impedirne la privatizzazione.
  2. Creare percorsi sperimentali di custodia del bene comune da parte di comunità di persone che si uniscono con questo intento, mantenendo una forte relazione con la comunità territoriale.
  3. Generare ricchezza diffusa (sociale, ambientale, relazionale) costruendo un’economia locale che si autosostiene, che conserva il patrimonio naturale ed edilizio e lo mantiene accessibile e fruibile, impedendo ulteriori sprechi di denaro pubblico.
  4. Sostenere esperienze di ritorno alla terra come scelta di vita e opportunità di lavoro alternativo al lavoro dipendente attraverso forme di autogestione.
  5. Promuovere l’agricoltura contadina come strumento di autodeterminazione alimentare e salvaguardia del patrimonio agro-alimentare, e sostenere un’agricoltura naturale nel pieno rispetto dell’ambiente, degli esseri viventi e della dignità umana.
  6. Innescare percorsi inclusivi di aggregazione e partecipazione  con particolare attenzione al disagio sociale e alla disabilità, attraverso pratiche di accoglienza e condivisione del lavoro.
  7. Promuovere stili di vita sobri basati sulla pratica:
  • di forme di autocostruzione e autorecupero.
  • dell’autosufficienza energetica con tecniche povere e nuove tecnologie che non compromettano la vocazione agro-alimentare della terra.
  1. Stimolare e accogliere tutte le forme di arte che rispettino lo spirito di questa carta e che sono sale e nutrimento della vita comunitaria.
  2. Custodire e curare i valori storici e paesistici del territorio, garantendo l’uso comunitario delle Acque, dei Boschi e dei Percorsi Storici e di tutti i valori ambientali ed ecologici, in una progressiva acquisizione partecipata del valore culturale dei luoghi.

 

Carta degli Intenti – Verso Mondeggi Bene Comune

L’intento principale è quello di riabitare Mondeggi, insediando nuclei familiari e singole persone nelle abitazioni rurali già esistenti della Fattoria, in modo da ricostituire il “popolo di Mondeggi” che dovrà essere composto in primo luogo da coloro che si dedicheranno al lavoro della terra.

All’interno del nuovo villaggio contadino verrà praticata un’agricoltura familiare dedicata all’autosufficienza alimentare dei poderi, attraverso orti condivisi e piccoli allevamenti da cortile, inoltre gli abitanti – assieme anche a persone non residenti a Mondeggi, ma che vorranno lavorarci tutti insieme nell’intento di ridurre progressivamente l’impronta ecologica costituiranno la “Fattoria senza padroni” che si articola mediante due forme assembleari: l’Assemblea di Fattoria e l’Assemblea plenaria territoriale.

L’Assemblea di Fattoria stabilirà la forma associativa, lo statuto e il regolamento e definirà i metodi di funzionamento interno inclusa la turnazione dei responsabili della gestione, inoltre sarà lo strumento primario di organizzazione del lavoro, delle risorse, e dei piani colturali, basandosi sui seguenti principi cardine:

  • la solidarietà al posto della concorrenza;
  • la giustizia sociale;
  • l’uguaglianza e la reciprocità dei diritti;
  • l’utilizzo sostenibile delle risorse naturali;
  • la salute dei produttori e dei consumatori;
  • la salvaguardia e l’incremento della biodiversità e della fertilità dei suoli.
  • l’utilizzo di forme di finanza mutualistica e solidale e di pratiche di scambio e di baratto.

Sulla base di questi principi l’Assemblea di Fattoria si occuperà delle colture più impegnative per estensione e reddito, organizzandosi in gruppi di interesse, ritenendo vitale lo scambio di manodopera e il mutuo soccorso.

I mezzi di produzione potranno essere di proprietà collettiva o individuale, mentre i locali di spaccio, trasformazione e stoccaggio saranno comunitari. I prodotti contadini verranno distribuiti al pubblico direttamente nello spaccio della Fattoria e attraverso il circuito dei Mercati Contadini e dei Gruppi d’Acquisto Solidale.

Dato che la Fattoria di Mondeggi è per tutti noi un bene comune, riteniamo che appartenga alla comunità territoriale che con essa ha rapporti storici e culturali.

Nostro intento quindi, sarà quello di includere per quanto possibile, la comunità nella gestione partecipata.

L’Assemblea di Fattoria, con questi intenti assumerà le decisioni al suo interno mediante il Metodo del Consenso e le sottoporrà all’Assemblea plenaria territoriale che potrà esprimere pareri e modifiche con il medesimo metodo. Le due Assemblee sono composte da persone singole, nel rispetto della Carta dei Principi.

 

La fattoria aperta

La prossimità di Mondeggi all’area urbana risulta strategica per rinnovare le relazioni fra città e campagna, sensibilizzando e coinvolgendo cittadini-consumatori sempre più consapevoli e contadini-produttori sempre più responsabili in percorsi di co-produzione.

Per questi motivi la “Fattoria senza padroni” sarà sempre aperta alla popolazione attraverso varie attività: laboratori didattici per bambini e non solo, un calendario di visite alla fattoria sul modello dei percorsi di Garanzia Partecipata, programmi di integrazione della disabilità, momenti di festa e convivialità legati alle produzioni stagionali, ma soprattutto attraverso un confronto costante tra l’Assemblea dei residenti e l’Assemblea plenaria territoriale per Mondeggi Bene Comune – Fattoria senza padroni, in un virtuoso rapporto di reciproca dipendenza.

Questa mutua dipendenza dovrà essere sempre salvaguardata.

A scuola dai contadini

Sappiamo bene che non si può parlare di ritorno alla terra, di “rinascimento dell’agricoltura” se non si creano momenti di trasmissione gratuita dei saperi e delle buone pratiche.

Per questo riteniamo che il villaggio contadino che potrebbe nascere a Mondeggi sarebbe il luogo ideale per una scuola di vita contadina.

Questo tipo di attività formativa potrebbe inoltre avvalersi del contributo dell’Ass.WWOOF Italia, vista la sua esperienza pluridecennale nel mettere in relazione le persone che vogliono fare pratica di agricoltura naturale e le aziende che già la fanno.

Oltre alla conoscenza diretta delle pratiche agricole la Scuola Contadina potrebbe anche offrire incontri e seminari dedicati, proporre mostre e presentazioni di libri sulla civiltà contadina e l’agricoltura naturale, convegni, mostre e tutte quelle attività volte alla promozione dei contenuti della presente Carta dei Principi e degli Intenti in collaborazione con tutti coloro che vi ci si riconoscono.

Il parco della condivisione

Perché Mondeggi sia un luogo di condivisione avanziamo queste proposte:

  • dedicare parcelle di seminativo ad orti sociali e condivisi, assegnati dalle assemblee a gruppi di famiglie o singoli che vogliano dedicarsi all’autoproduzione di almeno una parte del proprio fabbisogno alimentare;
  • creare un vivaio “popolare” contadino per la produzione di piantine biologiche che vada incontro alle esigenze dei piccoli produttori, degli amatori e di chi produce per l’autosostentamento e che possa coinvolgere nel ciclo produttivo anche persone in difficoltà. Il vivaio avrà inoltre le funzioni di recupero del germoplasma, valorizzazione della biodiversità agraria e vegetale, di banca del seme, riproduzione di varietà rare o antiche, luogo di incontro, confronto e scambio di conoscenze sui semi/marze, innesti, lieviti ed esperienze su tempi, modi e tecniche colturali senza utilizzo di prodotti chimici di sintesi;
  • allestire un  apiario didattico dove poter osservare in tranquillità il volo delle api;
  • allevare animali dedicati sia a fini produttivi che terapeutici nei principi del benessere reciproco;
  • allestire uno spazio dedicato al gioco dei piccoli e dei meno piccoli;
  • realizzare un teatro di paglia dove organizzare nel periodo estivo rassegne di teatro, musica e balli nell’aia e dinamicamente  tanto altro;
  • fare di Mondeggi il centro di itinerari di conoscenza e di pratica amichevole dei valori del Territorio, a cominciare dalle terre pubbliche di Bagno a Ripoli.
  • organizzare momenti di raduno nazionale delle reti contadine.

Mondeggi Bene Comune – Fattoria senza padroni sarà un percorso di sperimentazione sociale in continua evoluzione. Questo documento, è il risultato di un percorso partecipativo, che si è sviluppato attraverso molteplici incontri, iniziative e assemblee pubbliche.

 

 

Il sindaco come il vecchio podestà.

S.SEDE-ITALIA: PAPA SALUTA RENZI A FINE CONCERTOdi Paolo Berdini, il manifesto, 10 gennaio 2014.

Con la bozza del Job­sAct, Mat­teo Renzi ha ini­ziato a ren­dere chiaro il peri­me­tro cul­tu­rale in cui intende muo­versi. E oltre alle pun­tuali osser­va­zioni cri­ti­che sul tema dell’occupazione scritte da Giu­seppe Alle­gri sul manifesto di ieri, c’è un punto della bozza – il capi­tolo 7 “buro­cra­zia” della parte dedi­cata al “sistema” — che apre un velo pre­oc­cu­pante sulle inten­zioni dell’astro nascente dell’afittica poli­tica italiana.

In que­sto caso al cen­tro della scena non ci sono i ragio­na­menti e le pro­po­ste sul lavoro. Al punto 7 si afferma che si intende appli­care alle strut­ture dema­niali ciò che vale oggi per gli inter­venti mili­tari. E’ scritto pro­prio così, e per essere ancora più chiaro: «I sin­daci deci­dono desti­na­zioni, parere in 60 giorni di tutti i sog­getti inte­res­sati, e poi nes­suno può inter­rom­pere il processo».

Il deli­cato pro­blema della deci­sione sull’utilizzazione degli immo­bili pub­blici dismessi diventa dun­que un pro­blema simile alla sicu­rezza mili­tare e a deci­dere deve essere una sola per­sona, il sin­daco, cal­pe­stando regole e demo­cra­zia, per­ché i con­si­gli comu­nali non sono nep­pure citati.

C’è in que­sta pro­po­sta una con­vinta aper­tura alla grande sven­dita dei beni pub­blici, un fatto di per sé molto grave e spe­riamo che den­tro il Pd si alzino voci con­tra­rie. Ma c’è soprat­tutto una gigan­te­sca que­stione democratica.

Il gruppo dei pen­sa­tori attorno al sin­daco di Firenze pensa evi­den­te­mente — spiace scri­verlo, ma è pro­prio così– al modello isti­tu­zio­nale del ven­ten­nio fasci­sta in cui era il pode­stà a deci­dere senza l’inutile impac­cio dei con­si­gli comunali.

Come è noto, è in atto una for­tis­sima pres­sione da parte dei grandi poteri eco­no­mici e finan­ziari per acca­par­rarsi a pochi soldi le pro­prietà pub­bli­che, dalle caserme ai beni dema­niali, come abbiamo visto nella recente discus­sione sul patto di sta­bi­lità quando tra le nuove misure era com­parsa (poi for­tu­na­ta­mente can­cel­lata) per­fino la ven­dita delle spiagge. Renzi si schiera dalla parte di que­sti poteri.

Il Job­sAct è ancora in forma di bozza, l’invito è a dare sug­ge­ri­menti e magari diranno che sul punto si sono sba­gliati: ma dalla sua prima scrit­tura si com­prende meglio quali siano i motivi pro­fondi dell’entusiasmo che Renzi ha riscosso da parte del sistema domi­nante eco­no­mico e della comu­ni­ca­zione: nep­pure Ber­lu­sconi, pur avendo appro­vato decine di leggi dero­ga­to­rie, era riu­scito a pen­sare una norma di que­sto tipo.

Renzi va oltre, rompe ogni indu­gio e si accre­dita come colui che demo­lirà ogni resi­dua regola nelle città e nell’ambiente. Il modello della riforma elet­to­rale chia­mato del “sin­daco d’Italia” non poteva avere peg­gior preludio.

E per meglio pre­ci­sare il con­cetto di demo­cra­zia che ha in mente, il gruppo ren­ziano, alla con­clu­sione del citato arti­colo 7 afferma che non sarà più pos­si­bile chie­dere «la sospen­siva nel giu­di­zio ammi­ni­stra­tivo». I comi­tati che ani­mano le ini­zia­tive in tutta Ita­lia sono ser­viti: non deb­bono distur­bare il mano­vra­tore. Una norma pale­se­mente insen­sata e inco­sti­tu­zio­nale, per­ché non si pos­sono scon­vol­gere regole e il codice civile con la scusa della ven­dita degli immo­bili pub­blici: cor­re­ranno ai ripari, ma fin d’ora con­verrà stare molto attenti al Sin­daco d’Italia.

Museo Contadino: un appello per salvarlo.

pellegrino-004In Poche ore ha raggiunto le 200 firme la petizione online su Avaaz per far riaprire il Museo di San Pellegrino in Alpe che per materiale raccolto è uno dei musei etnografici più importanti d’italia.Si conservano manufatti provenienti dalla ruralità garfagnina e di tutto l’ Appennino Tosco-Emiliano.

Citiamo qui le parole di Fabio Baroni che è stato direttore di quel museo negli anni ’80 “Il Museo etnografico di S. Pellegrino in Alpe è il frutto di una reazione -che ha visto assieme gruppi culturali della sinistra marxista e mondo cattolico, fra cui tanti preti- alla distruzione dei segni del Mondo Contadino fra anni ’60 e ’70. Ci si rese conto che l’esodo forzato, culturalmente, verso le città e la propaganda anticontadina dei media e del modello di vita americano (leggi: urbano) stava spingendo tantissime persone delle campagne a gettare mobili, suppellettili, oggetti contadini per sostituirli con una bella formica e tanta plastica. Le case a pietra furono coperte di pitture sintetiche, le madie finirono in discarica o nel camino, il dialetto fu bandito (e vietato) nelle scuole, il Canto del Maggio finì. In reazione a ciò i preti, legati alla tradizione, e i giovani che avevano vissuto l’esperienza dell’alluvione di Firenze, del ’68 (la parte positiva), fra anni ’60 e ’70 si gettarono a raccogliere gli oggetti in improvvisati Musei della Civiltà Contadina. Don Pellegrini fu uno di questi e creò una vastissima raccolta che divenne, poi, museo, con migliaia di oggetti che, oggi, la politica, miope, vuota, modernista, dei “giovani rampolli” che vediamo maramaldeggiare in TV, uccide. Difendiamo, un’altra volta, quei segni…”
Questo piccolo grande museo di montagna situato a quasi 1600 m di altitudine è oggi patrimonio importante della cultura contadina, bagaglio di conoscenze al quale dobbiamo attingere per poter superare la crisi malefica che stiamo vivendo, oggi più che mai dobbiamo “spolverare” il passato per ritrovare noi stessi e riprendere il cammino li dove l’ avevamo interrotto! A questo Link  la petizione, vi preghiamo di diffonderla e pubblicarla ovunque lo riteniate possibile. https://secure.avaaz.org/it/petition/Provincia_di_Lucca_e_Comune_di_Castiglione_Riapriamo_il_Museo_delle_Tradizioni_Popolari_della_Valle_del_Serchio/