Verso un’economia alternativa per il territorio

apuane

Comunicato: Salviamo le Apuane – Chiudiamo le Cave.

A Lucca due giorni di seminario dedicato alla costruzioni di un alternativa economica per le Alpi Apuane, montagne duramente devastate dall’escavazione del marmo e del carbonato di calcio. Oggi in un giorno di scava una quantità di materiale che solo pochi decenni fa si estraeva in 3 mesi, oggi alle cave lavorano poche centinaia di persone in tutto il comprensorio delle Apuane è evidente che ormai è un’ economia finita e residuale. Una devastazione che rapina le nostre comunità dei beni comuni che ci appartengono. Dobbiamo pensare al futuro chiudere le cave e riconvertire l’economia di questo territorio prima che si compromettano definitivamente l’ecosistema, le falde acquifere, le montagne e di conseguenza il nostro futuro qui!

Siamo già davanti ad una grave emergenza ambientale ed occupazionale pertanto di fronte al reiterato silenzio della politica ci ritroveremo con imprenditori, associazioni, movimenti, cittadini e comitati per lanciare un progetto di economia alternativa, di economie durevoli per il territorio compreso tra Lucca e La Spezia. Un progetto che non verrà teorizzato ma che è già in costruzione e necessità di sempre maggiore partecipazione.

Un grande progetto costruito dal basso, da chi vive giorno dopo giorno la devastazione ed il conseguente impoverimento di questa splendida bioregione.

Di seguito il programma che si svolgerà a Lucca presso il Palazzo Ducale (sala Tobino) i prossimi 8 e 9 Febbraio.

Programma
Sabato 8 febbraio, ore 15,00

  • Lettura della Carta delle Apuane (a cura dei giovani di Aeliante)
  • Lettura dei messaggi al Seminario (Elia Pegollo, Franca Leverotti, ecc.)
  • Proiezione di “Aut Out” (Alberto Grossi)
  • Apertura Sessione “L’alternativa economica alla monocoltura del marmo”
  • Relazione introduttiva (Fabio Baroni)
  • Interventi (altre esperienze possono aggiungersi durante l’incontro nella fase di dibattito): Azienda Agricola Terrapuana, Azienda Agricola Mirko Tetti, Guide Ambientali/Geoguide (Andrea Benvenuti), Guide Turistiche (Lavinia Stanila), Tour Operator (Live your Tuscany), Gas (Elena Bertoli), Mulino di Pruno tra agricoltura e turismo (Silvia Malquori), un ostello (Maria Stella Pieroni), Giochi e artigianato in legno (Denise Pagano), Telelavoro e risparmio energetico (cooperativa Lunidonna), uso del Web (Roberto Andreotti)
  • Dibattito
  • Ore 19,00 Chiusura con l’intervento di Alessandro Puccinelli “Una visione etica sul più grande disastro ambientale d’Europa”

Domenica 9 febbraio ore 9,30

  • Apertura Sessione “Progetti in corso”
  • Relazioni introduttive (Giorgio Pizziolo, Eros Tetti)
  • Illustrazione Progetto FAI “Il Pizzo d’Uccello e il Solco di Equi”
  • Progetto “Lo sviluppo turistico integrato delle Apuane. Un caso”
  • Progetti in corso per una valle.
  • Dibattito

Ore 12,00 (a seguire nel pomeriggio)

  • Apertura Sessione “Azioni per salvare le Apuane”
  • Relazione introduttiva Giulio Milani Ferma la distruzione morale degli apuani. Risorse a convegno
  • Introduzione al lavoro dell’associazione Aeliante e programmi d’azione (Luciano Di Gino)
  • Intervento di Angelo Vignolo Quando il marmo di Carrara non diventa opera d’arte
  • Resoconto della Campagna Endecocide (Isabella Bertucci)
  • Comunicazioni sulle prossime campagne di iniziativa
  • Dibattito
  • Al termine. Approvazione Documento di intenti 2014-2015 e apertura tavoli di lavoro tematici.

Qui si mangia.

farinetti-renzi-291655I casi di Bologna e di Siena,

da Eddyburg 3 febbraio 2014.

Bologna regala a Farinetti una Disneyland in campagna, di Carlo Tecce

La chiamano esperienza sensoriale. Non materiale. E sarà un olezzo di vacche, un profumo di mandarini, un impasto di pizza. E la mungitura farà il latte e il latte sarà mozzarella e la mozzarella sarà capricciosa e la capricciosa sarà fatturato. Un monumento a Eataly, in mezzo a svincoli e viadotti, a una radura larga e lunga 72 ettari, due volte il Vaticano. E il Colosseo sarà invidioso, Venezia e Firenze creperanno. E otto o nove, chissà dieci milioni di italiani e stranieri verranno qui. Dove la pianura bolognese s’ingrossa per i capannoni e le vetrate; la campagna sventrata ansima per il cemento, il legname, i pannelli fotovoltaici e d’acciaio. Ma Natale detto Oscar Farinetti, imprenditore con la passione per Renzi e il biologico di lusso, ha giurato: sarà la Disneyland per il cibo tricolore, datemi 100 milioni di euro, un treno veloce e vi porto 10 milioni di donne, bambini e uomini. E Bologna, la signora rossa sbiadita, s’è consegnata, disarmata, forse disperata.

La sigla Caab suona anonima. La politica l’ha creata vent’anni fa. E ci ha speso oltre 100 miliardi di lire. Caab è un mercato di proprietà pubblica, primo azionista il Comune (80%), che vive di notte e dorme di giorno, che distribuisce frutta e verdura, che incassa centinaia di milioni di euro, che fa lavorare 2000 persone, che sta a Bologna eppure non vicino a Bologna. La stazione centrale è lontana dieci chilometri e un binario morente è ficcato in qualche anfratto. Bob Dylan ha cantato qui per Giovanni Paolo II, era il ’97.

Anno 2012. I limoni e la bietola sono affari precari. E così Andrea Segré, presidente di Caab, ambizioso e renziano, fustigatore di sprechi alimentari (teorizza e pratica il consumo di yogurt scaduti), s’è inventato un acronimo più affascinante, doppio senso, doppio scopo: Fico, fabbrica italiana contadina, dove vendere e mostrare i prodotti. E Farinetti non c’era. Il sindaco Virgilio Merola, candidato da Pier Luigi Bersani e presto convertito a Matteo Renzi, osserva con l’entusiasmo di un vigile che incanala il traffico. E Farinetti non c’era. Il professor Segré, che insegna Agraria e frequenta la Leopolda di Renzi e che gestisce con profitto il Caab, fa un giretto che a Bologna è convenzionale: cooperative, fondazioni, mecenati, cattolici, agnostici. Ci vogliono dei milioni, non pochi, non troppi. Un mese di attesa, un anno e giorni, un anno e mezzo.

E appare Natale detto Oscar Farinetti. Ovazione bolognese. Il padrone di Eataly fa un paio di visite e spiega come va il mondo: va verso Eataly. Distribuisce consigli non richiesti, calcola il flusso economico e occupazionale, invoca il piano di trasporto pubblico, pretende un convoglio per il Caab, promette, ringrazia e arrivederci. E il progetto di Fico diventa Eataly World: il Consiglio di amministrazione approva, il Comune di Merola ratifica. E quei giretti bolognesi, cooperative, fondazioni e l’ex massone Fabio Alberto Roversi Monaco, vanno in estasi. Plasmano una società e sganciano 45 milioni di euro. E annunciano contributi asiatici: Giappone, Azerbaigian, Cina. Il Comune, pronto, regala 55 milioni di patrimonio immobiliare. Ecco i 100 milioni che voleva Farinetti. Il vecchio mercato verrà dimezzato, stalle e serre saranno le trincee di protezione e il marchio di Eataly World avrà uno spazio equivalente a 50 campi da calcio, sarà maestoso e luminoso al centro di un parco agroalimentare da 80.000 metri quadri. Farinetti ha già previsto 30 ristoranti, 40 laboratori e 50 punti vendita. E ha garantito al notaio che ha officiato al concepimento di Fico che, non tardi, verserà la quota nominale di un milione di euro . Ma quel che incasserà Eataly World, fra tagliate di manzo e olive impanate, va a Eataly. Farinetti ha fretta. Vuole inaugurare il 1 novembre 2015, appena finisce l’Expo di Milano. Perché il modello contrattuale che verrà sperimentato per i sei mesi milanesi – fra tempi determinati, stagisti e volontari – sarebbe perfetto per il Fico, ovvero Eataly World.

Natale detto Oscar non è più ospite di Bologna: il capoluogo emiliano è ospite di Farinetti. Ha convocato una conferenza stampa a Milano, l’11 di febbraio, e gli intrusi saranno Segré e forse Merola. Le ruspe stanno per cominciare a smontare il Caab e i milioni pubblici e privati costruiranno Eataly World. Se va male, Farinetti se ne torna a Firenze. Se va bene, ci guadagna un sacco di denaro. Per pareggiare il bilancio ci vorranno almeno 5,5 milioni di visitatori, che comprano, che mangiano, che vanno e vengono in automobile.

Il padre nobile di Bologna, Romano Prodi, ha posto una semplice domanda: “E con i trasporti come farete, voi dispersi in campagna?”. Il dubbio di Prodi non ha contagiato il sindaco Merola, né la Confindustria locale, né Provincia né Regione. Peggio. È vietato criticare Farinetti e Eataly World. Soltanto Alberto Ronchi, assessore alla Cultura, s’è permesso di suggerire un po’ di riflessione. Per Farinetti è l’investimento perfetto: rischio d’impresa zero contro un sostegno pubblico che vale 55 milioni e una superficie da base aerospaziale. E mentre un dirigente ti indica dove fiorirà la zucca e dove toseranno le pecore, proprio lì, fra le prossime piante di peperoncino e di finocchio, scoloriscono una ventina di Filobus Civis. Dovevano salvare i pendolari bolognesi, non dovevano inquinare e neanche fare rumore. Straordinari. Poi un giorno Bologna s’è accorta che questi Filobus non potevano circolare. E li hanno buttati qui. Prima di un monumento a Eataly World, c’è un monumento alla memoria. Ma non è Fico.

E Siena vuol dare a Eataly Santa Maria della Scala
di Tomaso Montanari

E ora tocca a Siena. Dopo aver accompagnato Oscar Farinetti in giro per la città, il sindaco di Siena Bruno Valentini (Pd, di osservanza renziana) ha detto che il complesso monumentale del Santa Maria della Scala potrebbe diventare un mega-supermercato di Eataly. E ora si aspetta che il sindaco risponda a una interrogazione, dei consiglieri comunali Andrea Corsi e Massimo Bianchini, che lo invita a render pubblico il progetto e ad aprire “una discussione sulla politica culturale del Comune di Siena con particolare riferimento al ruolo da assegnare all’antico Spedale senese”.

Dare un senso ai duecentomila metri cubi dell’ospizio che nel Medioevo accoglieva i pellegrini che percorrevano la Francigena, e che oggi occupa l’ “acropoli” senese è una delle sfide del governo di una Siena orfana del Monte dei Paschi. Il progetto più sensato sarebbe trasformare la Scala nel Museo di Siena per eccellenza, portandoci la Pinacoteca Nazionale e altri musei, il dipartimento di storia dell’arte dell’Università insieme a varie biblioteche, da unire a quella di uno dei più importanti storici dell’arte italiani, Giuliano Briganti. Un progetto che non esclude certo spazi espositivi, caffè e altri luoghi pubblici. Un progetto capace di trasmettere un’idea forte di cittadinanza basata sulla cultura.

Ma fin dagli scorsi mesi ha preso quota un’alternativa commerciale. Molti segnali lasciavano pensare che anche la Scala sarebbe finita in mano a Civita, la più grande concessionaria nazionale di patrimonio culturale, presieduta da Gianni Letta. Attraverso una sua controllata, Civita gestisce già il Duomo e la Torre del Mangia, e mira a conquistare i musei delle contrade e l’assai discutibile Museo del Palio da costruire nell’ambito della candidatura di Siena a capitale europea della cultura 2019. Ma ora le cose sembrano cambiare: un po’ perché la Procura di Siena ha aperto un’inchiesta sulla gestione del Duomo, un po’ perché il vento renziano fa volare la soluzione Farinetti.

Se davvero Eataly riuscisse ad aprire dentro uno dei più importanti spazi storici italiani, si tratterebbe di una importate svolta simbolica nel processo di mercificazione di quello che la Costituzione chiama “il patrimonio storico e artistico della nazione”. Il nuovo negozio fiorentino di Eataly viene reclamizzato sui giornali locali con intere pagine come questa: “Eataly Firenze merita una visita anche solo per gustare … il Rinascimento. Antonio Scurati, celebre scrittore e professore universitario, ha curato in esclusiva per Eataly un percorso museale che racconta i luoghi, i valori e le figure storiche che hanno contribuito al periodo artistico e culturale più fulgido di sempre. Chiedi l’audioguida al box informazioni”. Ma se il progetto del sindaco di Siena andasse in porto, Eataly non avrebbe più bisogno di mascherare un supermercato dietro un museo inesistente: sarebbe il museo a trasformarsi in supermercato. E possiamo solo immaginare cosa ne verrebbe fuori: una specie di Mall del Gotico, una Gardaland di Duccio, una Las Vegas di Simone Martini.

Ora Siena è a un bivio, deve decidersi: i suoi straordinari beni comuni monumentali possono ancora servire a formare cittadini, o devono trasformarsi in una fabbrica di clienti? Il Santa Maria della Scala sarà una ‘piazza’ della cultura o sarà un supermercato?

Se Eataly aprirà un negozio a Siena, i senesi avranno un altro posto in cui poter andare a mangiare. Ma se a Farinetti verrà consegnato il Santa Maria della Scala, allora sarà Eataly a essersi mangiato Siena, e i senesi.

Toscana. Quanto vale il paesaggio.

Pozzolatico, Toscana: luna all'alba d'estate.

Un piano della Giunta per difendere il territorio da lottizzazioni e cemento. La Toscana blinda il suo paesaggio.

Di Vittorio Emiliani, L’Unità, 29 gennaio 2014.

I paesaggi toscani, amati in tutto il mondo, così diversi dall’Appennino al Tirreno, paesaggi come fatti a mano dall’uomo nei secoli, terrazzamento dopo terrazzamento, filare dopo filare, seminati di borghi e di città turrite e murate hanno, dopo due anni di studi e di confronti fra Regione e Ministero, un nuovo piano generale con un apparato imponente di elaborati (ben 25 dvd). L’ha approvato la Giunta presieduta da Enrico Rossi (Pd) che lo definisce “un piano ciclopico per un territorio tutelato al 60 per cento”. Ma che, purtroppo, nei decenni precedenti ha subito aggressioni pesanti. A colpi di lottizzazioni. Al punto che fu salutata come una svolta la dichiarazione di esordio, oltre tre anni or sono, dello stesso presidente Rossi: “Non credo che il futuro della Toscana siano le villette a schiera.”

Quelle villette a schiera sotto accusa un po’ dovunque ad opera di comitati di base attivissimi, partiti dalla denuncia della mediocre lottizzazione di Monticchiello in Comune, nientemeno, di Pienza la città ideale di Pio II, e del convegno che ne seguì nel 2006. Nel 2004 erano stati rilasciati in Toscana permessi per quasi 5 milioni di metri cubi di sole residenze. Una colata. Dopo le elezioni regionali del 2010, venne chiamata a reggere lo strategico assessorato all’Urbanistica un’ottima docente della materia a Venezia, Anna Marson, con casa in Toscana, la quale si è gettata con passione e competenza nell’opera di revisione di una politica che rischiava di intaccare un patrimonio comune inarrivabile dalla Maremma alla Versilia, dal Senese all’Aretino, al Cortonese. “Il paesaggio in Toscana conta”, osserva l’assessore Marson, che ha dovuto e dovrà parare, come il presidente Rossi, non pochi attacchi. “E’ un bene comune di tutti i suoi abitanti che incorpora la memoria del lavoro di generazioni passate e costituisce un patrimonio per le generazioni a venire”. Esso richiede “non solo tutela, ma anche cura e manutenzione continua, rappresenta un valore aggiunto straordinario in termini di riconoscibilità, ma di attrattività anche economica del territorio”. So per certo che a chi esporta negli Stati Uniti vini toscani di qualità i compratori americani chiedono anzitutto delle buone immagini che consentano di capire in quali paesaggi sono collocate quelle vigne doc: più essi sono belli e più quei vini valgono. La bellezza come valore economico oltre che sociale.

Non è stato un cammino facile questo del Piano elaborato col Ministero dei Beni culturali come prevede il Codice per il Paesaggio, e lo sarà ancora meno in Consiglio regionale. Come quello della parallela legge urbanistica regionale, di cui parleremo in altra occasione. Ma dobbiamo augurarci che, grazie anche all’apparato di studi e di approfondimenti dal quale nascono le nuove regole paesaggistiche, esso possa vincere resistenze e opposizioni, divenendo un esempio per le altre Regioni, per lo Stato stesso, per il Parlamento che da troppo tempo assiste inerte alla cementificazione diffusa, ad un consumo di suolo forsennato. Di suolo e di paesaggio.

Il piano definisce in modo puntuale il territorio urbanizzato differenziando le procedure per intervenire in esso da quelle per la trasformazione in aree esterne sia per salvaguardare i territori rurali, sia per promuovere riuso e riqualificazione delle aree degradate o dismesse. Esso non consente nuove edificazioni residenziali o le sottopone al parere obbligatorio della conferenza di copianificazione. Ci sarà un maggior accesso dei cittadini agli atti urbanistici e il monitoraggio costante della situazione territoriale. In modo di fornire alla Regione e alla conferenza paritetica fra le istituzioni materiali e pareri tecnici elaborati. Nel paesaggio come “bene comune costitutivo dell’identità collettiva toscana” – fa notare l’assessore Marson – si compie lo stesso percorso realizzato negli anni ’50 e ’60 dal vincolo su singoli edifici alla tutela di interi centri storici. Con un recupero concettuale e politico importante: i piani urbanistici intercomunali. All’agricoltura va evitato il più possibile lo spezzettamento dovuto a interventi non agricoli: essa, se rispettosa dell’ambiente, può risultare fondamentale “per lo sviluppo sostenibile e durevole, garantendo la qualità alimentare e ambientale, la riproduzione del paesaggio, l’equilibrio idrogeologico, il benessere anche economico della regione”. Funzioni molteplici, tutte essenziali, che l’abbandono delle terre alte e un’agricoltura “industriale” non rispettosa dell’ambiente (spianato a colpi di ruspe) hanno depotenziato o cancellato, provocando, incrementando frane, smottamenti, alluvioni. Guasti di cui l’uomo è responsabile e che bisogna sanare, prevenire.

Il piano paesaggistico è organizzato su di un livello regionale e su venti ambiti, dalla Lunigiana alla bassa Maremma, dal Casentino alla Val d’Orcia. Esso “è un piano sovraordinato cui sono tenuti a conformarsi gli altri piani e programmi di livello regionale e locale”. Gerarchia fondamentale. Con una certezza delle regole tale da ridurre al minimo la discrezionalità relativa ai procedimenti e alle stesse valutazioni di merito, ai tempi della pianificazione (da accorciare dai 6 anni attuali a 2 al massimo).

Quanti in Italia credono ancora, nonostante le mille cocenti delusioni, al presente e al futuro della pianificazione, alla tutela attiva del paesaggio e dell’ambiente di un Belpaese amato più all’estero ormai che in Italia, si schierino a favore di questa copianificazione esemplare fra Ministero e Regione Toscana e della parallela legge urbanistica regionale. Questo è vero, orgoglioso regionalismo. Questo che afferma un codice di regole condivise “per il buongoverno”. Come non ricordare, a questo punto, gli affreschi di Ambrogio Lorenzetti nel Palazzo pubblico di Siena sul Buongoverno in città e in campagna? Come non ricordare le lontane parole di Emilio Sereni, storico del paesaggio agrario, “il gusto del contadino per “il bel paesaggio” agrario nato di un sol getto con quello di un Benozzo Gozzoli per il “bel paesaggio” pittorico, e con quello del Boccaccio per il “bel paesaggio” poetico del Ninfale fiesolano”? Notazione ripresa nel ‘77 da Renato Zangheri anche se le campagne sembravano davvero divenute marginali. Oggi sappiamo che, per tanti versi, non è più così. La collina italiana si è in parte ripopolata e la montagna ha quanto meno arrestato la fuga biblica durata oltre mezzo secolo. Ma per tornare a sperare dobbiamo pianificare.

Spuntano come funghi, nel bosco…

DSC_0261Magari fossero funghi, invece sono piloni di cemento che l’ENEL sta posando nel bosco senza chiedere l’autorizzazione a nessuno: tantomeno agli interessati, ossia la comunità “nascere liberi” che ha ottenuto la gestione dei terreni della valle di Campanara (comune di Palazzuolo sul Senio) in attuazione della delibera n. 67 del 23/6/2004 del Consiglio Regionale toscano. Si tratta di un progetto innovativo, che ha come obiettivo il ripopolamento della montagna come condizione indispensabile per la difesa del territorio. Proprio in virtù di questo progetto è stata impedita la vendita di questi terreni demaniali da parte della Regione: e ora gli stessi terreni sono deturpati da una fungaia di piloni, il cui impatto negativo le foto non rendono a sufficienza, per scopi che non sono affatto chiari, e che non riguardano di certo la domanda locale di energia, che la comunità di Campanara intende affrontare con criteri di autosufficienza.

Si veda il sito dove è documentato il progetto.

Così ci scrivono:

Le comunità che si prendono a cuore il territorio sono comunità che hanno deciso di compiere un salto di qualità culturale: superata l’esclusiva preoccupazione della sopravvivenza, aspirano ad assumere un ruolo attivo per il miglioramento della qualità della vita. Per costruire un futuro migliore del presente, a partire dalla cura dell’ambiente. Più incisiva sarà l’azione se riuscirà a coinvolgere e organizzare forze e risorse della comunità civile. 

Noi attuali abitanti dell’antico insediamento rurale di Campanara, posto sui pianori terrazzati in alta valle del Senio sotto il passo della Sambuca, insieme a quelli e quelle che qui vengono spesso e collaborano, senza abitarci stabilmente:  Riteniamo INCOMPATIBILI con l’identità del Luogo la posa e la messa in funzione di Piloni per l’elettricità alti oltre 7m, di metallo e di cemento di oltre 50cm di diametro.

Per questo chiediamo

IL BLOCCO DEI LAVORI E IL RIPRISTINO DEI LUOGHI.

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PER LA SOLUZIONE DEL PROBLEMA

La Delibera n.120-8feb2010 parla di Valorizzazione,invece l’installazione dei Piloni nel cuore dell’area di Campanara porta una SVALORIZZAZIONE.

Vogliamo innanzitutto ricordare che l’art.9 della Costituzione pone sullo stesso piano il Paesaggio con un bene artistico e storico e si deve sottolineare che,secondo la nostra Costituzione,che ha dato vita allo Stato Sociale di Diritto,l’interesse pubblico prevale comunque sull’interesse privato.

Si deve parlare  di un bene artistico e storico,posto sullo stesso piano del Paesaggio dall’art.9 della Co

stituzione,proprietà collettiva delle Popolazioni di contadini di montagna che vivevano su tutto l’Appennino dove ne avevano organizzato i territori,poi del Popolo di san Michele da cui la chiesa di san Michele a Campanara,poi dei proprietari terrieri,per lo più valligiani,dove vi avevano fatto costruire parte degli edifici ora rimasti,fino all’Esodo dei contadini dagli anni ’50 in poi, con la vendita allo Stato.

Così che da allora, ricordiamo che si tratta di un “patrimonio non disponibile”sottoposto alla disciplina dei ”beni demaniali”,dunque “inalienabile,inusucapibile e inespropriabile.”

Ma, da allora questo patrimonio è RIMASTO CONGELATO

Si tratta ora di SCONGELARE AD UN USO SOCIALE QUESTO PATRIMONIO E QUESTO PROGETTO organizzando ALTERNATIVE ALLA CRISI E  BASI DEL CONTROESODO.

Per questo i paletti messi dalla Comunità Montana,la negazione di molte delle terre e del legnatico

per il progetto impediscono l’uso sociale di questo Patrimonio e di questo Progetto,la crescita delle pratiche comunitarie di Autodeterminazione e l’Autorecupero Sociale di villaggi e terre abbandonate.

-VALORIZZAZIONE SOCIALE O SVALORIZZAZIONE

-RINNOVAMENTO DELL’INTERESSE PUBBLICO SULLE MONTAGNE

-CONSERVAZIONE,GESTIONE E USO CIVICO E SOCIALE DI QUESTI

PATRIMONI O GESTIONE CLIENTELARE

-AUTORECUPERO SOCIALE O RISTRUTTURAZIONI E DEMOLIZIONI

Questo è il passaggio in cui siamo in mezzo. Questa è la partita

Prima della Delibera si poneva “semplicemente” un problema di conservazione e gestione di questo bene:funzioni che spettano sia alle Istituzioni che ai cittadini “singoli o associati”,si trattava di un interesse alla conservazione e gestione che doveva prevalere su tutti gli altri interessi.

Si deve sottolineare che su questo bene,oltre il  profilo dell’appartenenza al Popolo Sovrano,rileva anche il profilo dell’ ”uso pubblico” del bene stesso da parte della popolazione. Su questo bene,dunque,

gravano,nello stesso tempo,un “diritto sostanziale di proprietà”del Popolo italiano, e un “diritto di uso pubblico” della popolazione mugellana. Cosa che si è verificata poco.

D’altro canto,come poco sopra si accennava,il “diritto-dovere” alla conservazione e gestione di questo bene non appartiene esclusivamente alle pubbliche Istituzioni,poichè la “funzione amministrativa”a differenza delle funzioni legislativa e giurisdizionale non costituisce un “Monopolio” della Pubblica Amministrazione,ma è assegnata anche ai singoli cittadini. Infatti,molto chiaramente,l’art.118,ultimo comma,della Costituzione,dichiara che “Stato,Regioni,città metropolitane,Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini,singoli o associati,per lo svolgimento di attività di interesse generale,sulla base del principio di sussidarietà”.

Ci siamomessi in movimento proprio in base al principio di “sussidarietà”, giovani e meno giovani,agendo non in “rappresentanza” ma con spirito comunitario,come “comproprietari” per salvare dalla distruzione e socializzare questi patrimoni,senza scopo di lucro, ma nell’interesse esclusivo di tutte e tutti  per costruire una alternativa alla società liquida e alla disgregazione. Questo ha smosso soggettività e competenze,anche all’interno delle istituzioni, ora però è fondamentale uscire dalla liquidità e concretizzare Tavolo e Osservatorio.

In conclusione,può dirsi che ora la parola passa alle Istituzioni,le quali devono operare per la conserva

zione di questo bene culturale di altissimo valore storico e sociale e devono condividere la loro attività di conservazione e gestione del bene con coloro che hanno cominciato a impedire la perdita di questo patrimonio e che venisse meno la “funzione sociale”e fosse violato il prevalente interesse pubblico alla conservazione e al godimento di questi antichi luoghi di cultura.

ASS. NASCERE LIBERI con il contributo di Paolo Maddalena

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