La Orte-Mestre e il paesaggio che scompare

no-autostrada-orte-mestre“Chi semina asfalto, raccoglie traffico”. È un’attacco all’articolo 9 della Costituzione il via libera all’autostrada di 396 chilometri tra Lazio e Veneto. Costerà quasi 10 miliardi di euro.

L’itinerario tra Orte e Mestre è un viaggio lungo l’articolo 9 della Costituzione perché attraversa aree straordinarie del punto di vista paesaggistico. Si risale il Tevere fino alle sorgenti, attraversando Umbria e Toscana, poi il Parco nazionale del Casentino, e si scende verso la Romagna. Da lì, si arriva a Venezia attraversando le valli di Comacchio e del Mezzano e infine il Parco del Delta del Po e la bellissima Riviera del Brenta.

È un viaggio unico se si sceglie di compierlo a “passo lento”, ma potrebbe diventare l’ennesimo paesaggio che scompare veloce lungo un’autostrada: a novembre 2013 il Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe) ha dato il via libera al progetto preliminare della Orte-Mestre. Lunga 396 chilometri, “l’Autostrada del Sole del ventunesimo secolo”.

L’opera costerà almeno 9,844 miliardi di euro e dovrebbe essere realizzata in regime di concessione di costruzione e gestione, cioè in project financing: a pagare, cioè, dovrebbe essere il “privato”
“legge Obiettivo”, tra le opere strategiche – ha scelto di sostenere indirettamente parte dei costi, visto che nei primi 15 anni di gestione il come riassumono gli attivisti che in Veneto sono impegnati per contrastare l’opera, sono “gli interessi di pochi sulla pelle di molti”, come si legge su uno striscione, appeso lungo il Naviglio del Brenta.

Dietro lo striscione ci sono campi coltivati. Terreni agricoli che non sono attraenti per “chi semina asfalto”, e “raccoglie traffico”, come spiega il sito della Rete nazionale Stop OR_ME, che da Terni a Mira raccoglie associazioni ambientaliste e comitati di base contrari all’opera. Potete seguirli su www.stoporme.org

Luca Martinelli (Altreconomia)

Il video di Altreconomia

La novità di Renzi: le mani sulla città.

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Repubblica, con buona pace dell’art. 9 della costituzione, lo sostiene, di TOMASO MONTANARI, Il Fatto Quotidiano, 13 marzo 2014.

Non c’è davvero nulla di nuovo in Matteo Renzi, a parte la grinta: c’è solo un intenso bricolage che ritaglia da destra, e incolla malamente a sinistra, spezzoni di pensiero, parole d’ordine, slogan. Uno dei più impresentabili che Renzi ha preso di peso dal repertorio populista e selvaggiamente liberista di Silvio Berlusconi è il “padroni in casa propria”. Un’idea texana della convivenza civile che significa che ciascuno deve essere libero di cementificare, sfigurare, distruggere pezzi di ambiente, di paesaggio, di patrimonio storico artistico.

Fin da quando era sindaco, Renzi ha polemizzato aspramente contro quelle che chiama “le catene” imposte dalle soprintendenze, istituzioni “ottocentesche” che impedirebbero la “modernizzazione del Paese”. “Sovrintendente – ha scritto nel suo tragicomico libro Stil novo – è una delle parole più brutte di tutto il vocabolario della burocrazia. È una di quelle parole che suonano grigie. Stritola entusiasmo e fantasia fin dalla terza sillaba. Sovrintendente de che?”. Renzi sembra non accorgersi di vivere in un paese massacrato da uno “sviluppo” pensato solo in termini di cementificazione: un paese compromesso non dai troppi no, ma semmai dai troppi sì, delle soprintendenze. E non sono solo le opinioni di Renzi, a preoccupare: è il suo governo di Firenze a far capire come la pensi in fatto di cemento. Vezio De Lucia ha notato come nel piano strutturale del 2010 “le previsioni relative alla proprietà Fondiaria (un milione e 200 mila metri cubi) sono riportate come fossero già attuate: per non smentire la propaganda del sindaco Renzi a favore del piano a sviluppo zero”. Sapendo che il cemento non è telegenico, Renzi cerca di non parlarne troppo. Tanto più stupisce che sia un giornale come Repubblica – subito improbabilmente seguito da Italia Oggi – ad abbracciare, in scala uno a uno, un simile programma. Archiviato il pensiero di Antonio Cederna, sconfessato quello di Salvatore Settis, ora è Giovanni Valentini a scrivere sul giornale di De Benedetti che “troppo spesso le soprintendenze diventano fattori di conservazione e di protezionismo in senso stretto, cioè di freno e ostacolo allo sviluppo, alla crescita del turismo, e dell’economia”.

L’articolo, in prima pagina domenica scorsa, ha lasciato basiti migliaia di lettori che vedevano da sempre in Repubblica un presidio sicuro per la difesa dell’articolo 9 della Costituzione: e da allora si susseguono sul web risposte incredule e indignate di associazioni, funzionari di soprintendenza, singoli cittadini.

È in questa prospettiva che Renzi diventa il campione delle “mani libere” contro le soprintendenze, che l’avrebbero ostacolato nell’allestimento della cena della Ferrari su Ponte Vecchio e fermato nei “sondaggi tecnici” sulla Battaglia di Anghiari di Leonardo in Palazzo Vecchio. Peccato sia tutto falso: sull’osceno noleggio del ponte l’asservita soprintendenza fiorentina non ha aperto bocca, ed è stata una partita tutta giocata dal Comune, con tanto di permesso ufficiale concesso il giorno dopo la manifestazione, e con un incasso pari alla metà di quello sbandierato da Renzi. Quanto a Palazzo Vecchio, giova ricordare che la Battaglia di Anghiari semplicemente non esiste, e che Renzi è stato fermato non dalla soprintendenza (anche in quel caso succube), ma dalla comunità scientifica internazionale, compattamente insorta contro una farsa pseudoscientifica che fa ancora ridere i direttori dei più grandi musei del mondo. Ma i banali dati di fatto non devono oscurare la retorica del Presidente del Fare che spezza trionfalmente i lacci e i lacciuoli frapposti da questa oscura genìa di burocrati. A quando un suo ritratto a torso nudo, mentre aziona una betoniera calpestando l’articolo 9?

L’altra faccia di questa usurata medaglia è l’incondizionato inno ai salvifici privati. Chiedendo la fiducia al Senato, l’unica cosa che Renzi ha saputo dire sulla cultura è che “se è vero che con la cultura si mangia, allora bisogna fare entrare i privati nel patrimonio culturale”. Peccato che i privati ci siano da vent’anni, nel patrimonio, e che a mangiarci da allora non sia lo Stato, ma solo un oligopolio di concessionari fortemente connessi con la politica. E la ricetta è tanto originale che il punto 41 di Impegno Italia (il documento cui ha inutilmente provato ad aggrapparsi Enrico Letta) prevedeva un’unica ideona: “Incentivare lo sviluppo dei servizi aggiuntivi da dare in concessione ai privati”.

Di fronte ai crolli di Pompei, Renzi ha gridato: “L’Italia è il paese della cultura, e allora sfido gli imprenditori: che state aspettando?”. Quando era sindaco di Firenze, Renzi sfidava sistematicamente lo Stato a fare il proprio dovere in fatto di tutela del patrimonio. Ora che lo Stato è lui, sfida gli imprenditori. Fosse il presidente di Confindustria, ce l’avrebbe con gli enti locali. Non c’è davvero nulla di nuovo, se non che il repertorio da palazzinaro anni Sessanta è passato tale e quale dal fondatore di Forza Italia al segretario del Partito democratico. È il manifesto di una nuova stagione di Mani sulla città, un ritorno alla bandiera inverosimile del “più cemento = più turismo”. E siamo solo all’inizio.

NB: Per leggere tutti gli interventi a proposito dell’articolo di Giovanni Valentini si rimanda al sito Carte in regola

 

 

Mondeggi la fattoria senza padroni.

Mondeggi

Da proprietà pubblica a bene comune.

di DANIELA POLI, da Eddyburg, 8 marzo 2014.

Vedi su questo sito il post del 3 dicembre 2013 e quello del 13 gennaio 2014.

(…) Da qualche mese una variegata rete di soggetti (agricoltori, artisti, produttori biologici e biodinamici, cittadini dei GAS, studenti, tecnici, professionisti, giovani laureati)e associazioni si è federata a Firenze nel movimento Terra Bene Comune, con lo scopo didifendere il diritto all’accesso alla terra e di contrastare la vendita dei beni demaniali proponendo in alternativa l’affidamento in comodato di aziende agricole e terreni pubblici a giovani e soggetti della nuova “agricoltura contadina”. La Fattoria di Mondeggi è diventata ben presto il simbolo di questa lotta con il costituirsi in forma assembleare del cComitato verso Mondeggi Bene comune Comune molto radicato anche nel territorio locale.

L’Azienda agricola di Mondeggi-Lappeggi, situata nei rilievi collinari a sud est di Firenze nel comune di Bagno a Ripoli, è un bene di proprietà della provincia di Firenze dall’inizio degli anni 60 del secolo scorso. La tenuta, appartenuta a nobili fiorentini come i Bardi, i Portinai, i Della Gerardesca è stata per un breve periodo anche di proprietà di un ente collettivo come lo Spedale di Santa Maria Nuova. L’azienda è complessivamente di circa 200 ettari ed è composta approssimativamente da 12.000 olivi, da 22 ettari di vigne in parte da reimpiantare, da 60 ettari fra seminativi e pascoli, da 6 case coloniche e da una villa-fattoria con annesso parco storico di impianto ottocentesco.

Dopo l’acquisto da parte della Provincia è stato smantellato l’antico assetto poderale che vedeva nella villa-fattoria il centro aziendale con funzione di coordinamento dei poderi. La riorganizzazione generale è stata fatta secondo i dettami dell’allora fiorente agroindustria con la realizzazione di grandi superfici continue gestite da operai agricoli, la realizzazione di un “centro aziendale” con capannone ove portare le funzioni agricole un tempo svolte dalla villa, la distruzione dei poderi intesi come autonome unità produttive policolturali, la specializzazione delle colture finalizzata a una forte meccanizzazione. Seguendo la procedura dell’aziendalizzazione, la Provincia ha affidato integralmente la tenuta agricola alla società Mondeggi-Lappeggi srl mantenendo il controllo diretto sulla villa-fattoria e sul parco – luogo di svolgimento di molte feste pubbliche e di iniziative associative. La srl Mondeggi-Lappeggi non ha mai definito un progetto organico e strategico di lungo respiro in grado di coinvolgere attori sociali e costruire un riferimento per la popolazione locale, rompendo la lunga tradizione di “vendita diretta in fattoria”. La retorica del “polo di eccellenza” totalmente estraneo al territorio ha portato alla definizione di sperimentazioni molto specialistiche talvolta in concorso con soggetti privati (frantoio di qualità, combustore per biomasse da colture oleaginose, fertilizzanti fogliari di sintesi della multinazionale YARA, ecc.) mentre le colture arboree venivano semiabbandonate e concesse in affitto con contratti annuali di coltivazione.La conduzioneha finito per produrre un indebitamento imponente (il comitato parla di circa un milione di euro) e il degrado progressivo di un patrimonio paesaggistico di enorme valore, che da sempre ha rappresentato un ancoraggio identitario per gli abitanti del territorio. Con la messa in liquidazione della Società si è aperta una fase di ricerca di possibili interessati all’affitto o all’acquisto della tenuta agricola, in toto o frazionata in più parti, fino ad arrivare anche all’inserimento della villa e del suo parco tra i beni alienabili dell’ente Provincia. Il tutto con l’opposizione dell’amministrazione locale che non accetta di vedere svenduta una proprietà pubblica di tale entità. All’incapacità nella gestione di un bene pubblico si aggiunge quindi la miopia politica che non coglie la domanda sociale emergente dai bisogni della popolazione locale e non è in grado di rilanciare con un progetto di alto valore culturale, così come accade in molte realtà nazionali e internazionali: il parco-campagna nella provincia di Bologna o il parco-sud di Milano, per citare solo i più noti in Italia, producono innovazione proprio a partire dalle messa in valore di aziende agricole pubbliche.

Il comitato per Mondeggi Bene Comune ha iniziato un’interlocuzione con la provincia nell’intento di ottenere l’affidamento dell’intera azienda in base alla Carta degli Intenti e dei Principi (cfr. allegato) redatta nel gennaio di quest’anno. Le azioni del comitato hanno cercato da subito di dialogare e di coinvolgere la popolazione locale nelle attività proposte. Le stesse modalità di costruzione partecipata della decisione sono strutturate in forme inclusive che coinvolgono tanto i futuri abitanti di Mondeggi, un gruppo di quasi 40 persone che intendono vivere e a lavorare nei poderi traendone il proprio sostentamento, quanto gli attivisti che partecipano al progetto e la comunità locale – organizzati nell’assemblea territoriale.

Le assemblee del comitato si susseguono a ritmo incalzante e hanno creato in poco tempo una comunità inclusiva, in grado di intercettare il sentire degli abitati e di produrre progetto locale che, in virtù delle competenze collettive che raggruppa, produce documenti e progetti tecnici di trasformazione come supporto alla richiesta di affidamento del bene. Il progetto è articolato, ma si fonda sull’idea che la reintroduzione dell’agricoltura contadina sia un vantaggio per tutta la società grazie ai servizi ecosistemici che produce, alla salvaguardia dell’ambiente e del paesaggio insiti nelle forme della suo farsi, alla capacità di creare ricchezza localizzata con un mercati locali che ruotano attorno alla filiera corta e alla vendita diretta. L’agricoltura contadina è naturalmente multifunzionale con possibilità di sviluppare attività didattiche, sportive, turistiche, ricettive, artigianali e ludiche.

Una delle primissime azioni dimostrative fatte dal comitato è stata la “festa per la raccolta delle olive di Mondeggi”. A Firenze la raccolta delle olive e i festeggiamenti dopo la frangitura con pranzi e cene a base d’olio nuovo sono da sempre un momento di gioia iscritto nel patrimonio genetico locale. Una giornata in cui una folla di variegata umanità (quasi 150 tra studenti universitari, anziani del territorio, bambini coi loro genitori, stranieri, professionisti) ha lavorato dalla mattina presto fino al pomeriggio tardo trovando il tempo anche per seguire lezioni di potatura. Il 50% dell’olio prodotto, come da consuetudine, è andato a chi ha fatto la raccolta e il restante è stato redistribuito alla popolazione di Bagno a Ripoli in occasione di mercati ed eventi pubblici con il logo “olio di Mondeggi” e la spiegazione sugli intenti del movimento di salvare un bene della comunità. La raccolta popolare si è inserita nel contesto della due giorni nazionale per i Beni Comuni, 16 e 17 novembre, lanciata da Genuino Clandestino  come esempio di uso dei beni comuni per la produzione di lavoro utile e di ricchezza diffusa.

Nella tenuta si sono svolte affollate passeggiate progettanti, sempre aperte a tutta la popolazione, in cui i partecipanti, in base alle loro competenze, hanno espresso desideri e condiviso informazioni storiche, tecniche e agronomiche. Un’altra iniziativa è stata quella del riconoscimento e della raccolta delle erbe spontanee nelle terre di Mondeggi che ha visto la partecipazione di più di cento persone provenienti da ogni luogo e non solo dal comune di Bagno a Ripoli. La presentazione del progetto viene fatta in molti e affollati luoghi d’incontro sul territorio, in cene e assemblee nei circoli ricreativi che hanno tutte un riscontro di consenso e di seguito inimmaginabile. E’ stato presentato alla Provincia, nelle more della liquidazione della società Mondeggi-Lappeggi srl (che non consente oggi alla Provincia di poter disporre degli immobili) una richiesta di breve periodo per l’affidamento al comitato delle terre incolte e di alcune strutture che potrebbero sin da subito consentire di svolgere alcune attività agricole produttive pur senza abitare nei luoghi – con la disponibilità del comitato a formalizzare una qualche forma associativa che consenta l’affidamento istituzionale del bene. È di questi giorni un affollatissimo consiglio comunale in cui tutte le forze politiche all’unanimità hanno votato una mozione nella quale si chiede alla provincia di non proseguire con la vendita e di trovare le forme per affidare la fattoria ai soggetti che,intervenuti al consiglio stesso,hanno proposto progetti con la richiesta di affidamento parziale del bene. E’ stata istituita a tal fine una commissione mista composta da rappresentati delle istituzioni (tecnici e amministratori di Provincia e Comune) e da rappresentanti del comitato. Si è aperta una fase delicata che vede tutto un paese coinvolto sulle sorti della fattoria.

E’ auspicabile che anche nelle amministrazioni locali fiorentine sia possibile trovare le modalità per trasformare azioni e intenti nella definizione concreta di quelle terza forma di bene, né pubblico né privato, che molti comuni italiani stanno cercando di mettere a punto da Bologna a Roma da Milano a Napoli. Questi primi primo segnali di dialogo lasciano bene sperare sul fatto che proprio dal paesaggio fiorentino, luogo di sperimentazione in tempi storici, possa nascere un’opportunità in grado di dare corpo a quel senso del paesaggio democratico, quotidiano e inclusivo che la Convenzione Europea del paesaggio, firmata proprio in una fattoria medicea, propugna.

Una giornata di mobilitazione nazionale

larderelloCONTRO LA GEOTERMIA ELETTRICA

COMUNICATO STAMPA DELLA RETE NAZIONALE NO GEOTERMIA ELETTRICA.

Roma, Camera dei Deputati, mercoledì 5 Marzo 2014.

Si è tenuta a Roma il 5 Marzo la giornata di mobilitazione indetta dalle Rete Nazionale contro la Geotermia Elettrica Speculativa ed Inquinante, con un convegno, una manifestazione di fronte al Parlamento ed una conferenza stampa presso la Camera dei Deputati.

Scopo della giornata era quello di aprire un dialogo con il governo su tema della geotermia. In quanto il modo di procedere delle iniziative governative in questo settore presenta delle obiettive criticità che stanno creando forti critiche, disagio e risentimento nelle popolazioni interessate. Ed un rinnovato interesse critico da parte del mondo scientifico.

Il convegno, presso la Camera dei Deputati, ha visto la partecipazione di un folto pubblico, tra cui esponenti dei comitati laziali, umbri, toscani e sardi. Parlamentari, sindaci, amministratori, esperti, esponenti dei Ministeri e degli enti interessati, rappresentanti dei media.

Dalle numerose relazioni presentate al convegno da parlamentari, amministratori, comitati ed illustri esponenti del mondo scientifico, sono emersi alcuni punti importanti e precise richieste al Governo.

Il piano governativo di espansione e sviluppo della geotermia, varato nel 2010 dal governo Berlusconi, presenta una serie di problematiche gravi che non sono state sufficientemente considerate dalle istituzioni governative. Ma che nel contempo, visto il moltiplicarsi di richieste di nuovi impianti e di permessi di ricerca, stanno suscitando serissime preoccupazioni nelle popolazioni e da parte di qualificati ambienti scientifici.

Il principale problema da affrontare è quello dell’esistenza di un dogma culturale, dovuto a scarsa conoscenza del problema sia nell’opinione pubblica che negli ambienti della pubblica amministrazione: il Dogma della Infallibilità della Geotermia. Secondo il quale la geotermia è sempre di per sé Pulita, Rinnovabile, Sostenibile.

Un dogma alimentato dal circuito degli imprenditori geotermici attratti dagli enormi incentivi statali, e fideisticamente accettato da molti ambienti governativi senza discussioni o veri approfondimenti.

La realtà della ricerca scientifica mondiale e delle esperienze sul campo mostra invece con tutta evidenza che questo dogma è inaccettabile, e che non può guidare l’azione del Governo, in quanto la geotermia non è affatto sempre pulita, rinnovabile e sostenibile. Ma lo è solo a determinate condizioni, che dipendono dalla tecnologia impiegata e dalle specificità del territorio nel quale la si vuole usare. Ogni caso va esaminato a parte, con appropriata attenzione e grandissime cautele.

Alcune vecchie tecnologie, come quella FLASH, ad alta entalpia, con emissioni a cielo aperto, usata sul Monte Amiata, ha dato abbondanti prove di essere del tutto nefasta per i cittadini di quelle zone e per l’ambiente. Inducendo sensibili aumenti nei livelli di malattia e di mortalità, e trasformando un paradiso naturale in un incubo con livelli di inquinamento pari ai peggiori d’Italia.

Mentre le nuove tecnologie a ciclo chiuso, binarie a media entalpia, pur evitando l’emissione di veleni nell’aria, presentano numerose criticità:

• bassissimo rendimento, a fronte di enomri incentivi governativi,

• presentano seri rischi nelle zone ad alta sismicità,

• possono creare fenomeni di subsidenza,

• mettono a rischio i bacini idropotabili,

• presentano forti impatti sul territorio, sulle economie locali, sul paesaggio di zone di pregio e spesso a vocazione turistica e agricola

• impiegano pochissimo personale, ed in determinate zone la loro presenza mette a rischio attività produttive locali che impiegano molti più addetti.

Studi scientifici importanti cominciano ad evidenziare questi problemi, dei quali occorre tenere conto. Anche perché le popolazioni locali sono sempre più informate di queste criticità. E sempre più preoccupate.

La valutazione di questa serie di problemi non può essere lasciata ai centri di ricerca ed ai tecnici che lavorano per le società che fanno impianti geotermici. Troppo forti sono le attese e gli appetiti generati da incentivi governativi altissimi.

Occorre che lo Stato riprenda in modo sostanziale e non solo formalistico la propria funzione di salvaguardia di tutti gli interessi in gioco, primo fra i quali quello delle popolazioni coinvolte.

Non si può portare avanti un piano di espansione della geotermia che appare procedere in modo frettoloso, improvvisato e per giunta a dispetto delle popolazioni locali. Dove la geotermia è praticabile e sostenibile, occorre fornire ai cittadini proposte valide, mostrare con sincerità ed onestà i problemi e convincerle dei vantaggi di queste tecnologie. Per averne il consenso. Non ci si può basare solo sul consenso di strutture politiche spesso troppo sensibili al lavoro lobbistico delle imprese.

Molte le pressioni per procedere di corsa con questo piano, ma è di tutta evidenza che non c’è alcuna fretta, per i seguenti motivi:

• il Paese ha già ampiamente raggiunto gli obiettivi previsti di produzione di energie rinnovabili;

• le capacità di produzione elettrica italiane sono elevatissime, con grandi impianti costretti a rimanere spenti per mancanza di domanda;

• gli impianti FLASH con emissioni in aria ogni giorno avvelenano l’ambiente e i cittadini, mentre quelli proposti a ciclo binario presentano criticità pesanti ed hanno rendimenti bassi, a fronte di elevatissimi incentivi pagati in bolletta dai cittadini e dalle imprese.

Questi incentivi e questa fretta appaiono nella situazione attuale del tutto inappropriati e forzosi. A meno che la fretta e gli incentivi non servano esclusivamente a favorire circuiti industriali dotati di forti connessioni politiche, come dimostrano i continui e pesanti interventi di modifica legislativa favorevoli agli imprenditori geotermici. Interventi spesso in palese contrasto con i regolamenti parlamentari, con la Costituzione e con le normative europee.

Questo noi cittadini e le istituzioni del nostro Paese non lo possono accettare.

Per tutti questi motivi dal convegno e dalla giornata di mobilitazione emerge una richiesta al governo:

una Moratoria con sospensione del Piano Geotermico e dei relativi incentivi che consenta di:

• ripensare l’economicità del piano di sviluppo geotermico;

• valutare in modo più approfondito e sistematico le criticità e gli impatti delle varie tecnologie; ed adeguare la normativa in modo conseguente;

• mappare il territorio nazionale decidendo le zone di esclusione, dove gli impianti geotermici presentano rischi eccessivi o comunque si presentano come fortemente impattanti e non sostenibili.

La richiesta viene rivolta ad un Governo che ha tutto l’interesse ad evitare spese inutili, affrettate, dannose e che pesano direttamente sui bilanci di cittadini e imprese già duramente provati dalla crisi.

RETE NAZIONALE NO GEOTERMIA ELETTRICA

 

 

 

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