Aeroporto Firenze: City-airport o Airport-city?

edc8688213Documento dell’Unione Sindacale di Base, Firenze, sabato 7 giugno 2014.

Dietro questo gioco di parole si nasconde la volontà da parte della politica fiorentina di avallare in toto le richieste di Aeroporto di Firenze s.p.a circa lo sviluppo dello scalo di Peretola che vorrebbe trasformarlo in scalo internazionale da 4,5 mln di passeggeri, ben altro rispetto al city-airport previsto dal Pit. Secondo la nostra organizzazione sindacale si apre adesso una partita delicata per la città; il gruppo argentino di Corporacion America ha acquisito in sostanza la maggioranza assoluta di Adf, crede nello sviluppo dello scalo e vuole investire seriamente per riqualificarlo. Fin qui tutto bene per chi fa sindacato e lotta quotidianamente per difendere i livelli occupazionali e contro l’attuale inefficienza dello scalo fiorentino. Però ci chiediamo anche quanto uno sviluppo incontrollato del nostro aeroporto sia opportuno in termini di sostenibilità economica e ambientale. Condividiamo infatti i dubbi e le resistenze dei colleghi pisani sull’integrazione, fusione o holding, che dir si voglia, tra le due società che hanno una compagine societaria molto diversa, la Sat ancora in mano pubblica e Adf, come abbiamo detto, saldamente nelle mani dei privati. L’intesa tra i due aeroporti si sta arenando proprio a causa dello “strappo” di Adf sui 400 mt di pista in più rispetto al Pit, che modificano sostanzialmente il rilancio dello scalo fiorentino non più come city-airport ma come potenziale catalizzatore di traffico per tutta la Toscana mettendolo in concorrenza con Pisa. Vogliamo ricordare, a questo proposito, che la stessa cosa è successa negli scali lombardi di Malpensa e Linate e le ripercussioni di queste scelte che non sono state ben governate dalla politica, hanno avuto fra i primi effetti proprio l’apertura di una grave crisi occupazionale a Malpensa e, dall’altra parte, la saturazione dell’aeroporto cittadino di Linate. Ben venga quindi l’integrazione fra Firenze e Pisa, ma c’è un altro aspetto per noi fondamentale e riguarda il tipo di sviluppo che si vuol dare allo scalo fiorentino essendo così inurbato e inserito nell’ultimo spazio verde rimasto nella Piana di Sesto. Conoscendo gli “appetiti” del mercato che una città universalmente nota come Firenze richiama, dovremmo a nostro avviso mettere dei vincoli all’attività aeroportuale, come avviene ad esempio in un city-airport come London City, in termini di orario di apertura e chiusura, ma quale garanzia avremo in questo senso se queste decisioni vengono demandate ad un soggetto privato? La risposta è scontata; le s.p.a fanno gli interessi degli azionisti, non delle comunità che intorno agli aeroporti ci vivono. Questa funzione dovrebbe spettare agli enti pubblici ma, almeno nel caso di Firenze, non hanno più quote di rilevanza, per cui, ci dispiace, non ce la sentiamo di avallare progetti costosi ed eco-insostenibili anche se hanno un nome accattivante e simpatico come airport-city.

“Don’t cry for me, Cafaggiòlo”.

CASTELLO-DI-CAFAGGIOLO-PValorizzazione estilo pampero per la villa medicea,

di Ilaria Agostini, 29 maggio 2014.

Non c’è pace in Mugello. Autostrada del sole, autodromo, invaso di Bilancino, villaggio Outlet, alta velocità, raddoppio dell’A1: opere che insistono su pochi chilometri quadrati in un’area interna, non ricca ma già bella, che da decenni ha ceduto al ricatto occupazionale. Per un lavoro fugace, non sicuro, dai connotati schiavistici come denuncia Simona Baldanzi dai cantieri TAV. Ora però l’attacco al territorio cambia di segno e si chiama “valorizzazione”. La villa di Cafaggiòlo, da poco iscritta nel patrimonio Unesco, e l’intera fattoria medicea, sono al centro di una storia annosa che riparte nel 2011, quando Regione Toscana, Provincia di Firenze, comuni di Barberino di Mugello e San Piero a Sieve, Autorità di Bacino dell’Arno, MIBAC-Direzione generale per i beni culturali e paesaggistici della Toscana, siglano un protocollo d’intesa con la proprietaria Società Cafaggiolo srl rappresentata dall’argentino Alfredo Lowenstein. Un «modello di collaborazione istituzionale» che nei giorni a ridosso delle elezioni ha raggiunto un’ulteriore tappa: il protocollo è approvato, con un atto di indirizzo, da entrambi i comuni mugellani, di cui uno – San Piero – in mano al commissario prefettizio. Il protocollo, «ispirato a principi di tutela, sviluppo e valorizzazione della villa e della tenuta», sostiene un progetto della Cafaggiolo srl medesima, che interessa circa 370 ettari ripartiti tra i comuni di Barberino e San Piero, inclusi nella zona di rispetto Unesco (buffer zone). Il “Progetto Cafaggiolo” prevede il riuso del patrimonio edilizio esistente per finalità ricettive turistico-alberghiere di gran lusso, nonché «la creazione di un polo museale con attività culturali e la realizzazione di uno spazio per lo sport ed il tempo libero, attraverso interventi di recupero e riqualificazione dell’esistente e, in parte, interventi di nuova edificazione, nonché interventi per la riqualificazione paesaggistica dell’area». Ad insaporire la pietanza, l’industriale argentino promette a Rossi un investimento di 170 milioni di euro che darebbe vita a 700 (sì, proprio 700!) posti di lavoro diretto e indiretto, e 120 per la realizzazione. Vediamo cosa prevede la “valorizzazione”: col parere favorevole della sovrintendenza, la villa – malgrado il vincolo ex lege 1939 – sarà squartata in 36 eleganti suites dotate di ogni comodità postmedicea; negli annessi (manica lunga, falegnameria, ma anche conigliera e lavatoio) troveranno posto 59 lussuose camere; l’insieme delle case coloniche, ragguardevole per consistenza, sarà trasformato in 82 suites, per un totale di 164 posti letto. Medesima sorte per fienili e mulini, e per la canonica di Campiano. Un nuovo resort in località Santini sarà composto da 24 nuovi appartamenti costruiti ex novo mettendo a frutto le volumetrie dei demolendi silos; e poi piscine, biopiscine, saune, campi da polo, spazi espositivi. Per l’argentino sussiste tuttavia un unico, insopportabile, neo: la strada statale della Futa che attraversa l’insediamento monumentale. La Regione si dimostra comprensiva e con solerzia prevede lo spostamento della viabilità in tre possibili varianti, a spese del contribuente (che non vedrà più la villa attraversando il Mugello) e, naturalmente, dell’ambiente rurale. A parte il comitato giallo “Cafaggiolo deve risplendere” che spinge per la realizzazione del resort, la cittadinanza (e la lista “LiberaMente a sinistra” ora in consiglio comunale a San Piero-Scarperia) si oppone a questa valorizzazione sui generis contravvenente all’art. 6 del Codice dei beni culturali, che con il termine “valorizzazione” intenderebbe la messa in valore sociale, la garanzia della fruizione collettiva del bene, e non l’esclusiva messa in valore economico con sottrazione alla vista del bene, come nel caso in esame. Il nuovo piano paesaggistico regionale, ora in discussione presso le commissioni regionali, rafforza le aspirazioni della cittadinanza mugellana prevedendo la salvaguardia dell’assetto insediativo di lunga durata, ivi compreso, da un lato il reticolo stradale storico, dall’altro l’assetto generale della fattoria che verrebbe stravolto dalla trasformazione estilo pampero. Di concerto, la riscrittura della legge urbanistica, in via di approvazione, impedirà ogni nuova ulteriore edificazione residenziale (e ricettiva) sui terreni agricoli, e comunque renderà oggetto di copianificazione di area vasta gli interventi di modifica a fini non residenziali in aree non urbanizzate. La schizofrenia messa in scena nelle stanze della Regione Toscana offre dunque uno spettacolo sconfortante. E, dando respiro (per un pugno di posti di lavoro) al Progetto Cafaggiolo, rende impossibile perfino immaginare un progetto di conversione ecologicamente e antropologicamente sostenibile, sperimentabile sull’area. Speriamo che l’esempio mugellano non intacchi le sorti di un’altra fattoria storica, oggetto di interessanti tentativi partecipati dal basso: la fattoria di Mondeggi, proprietà della Provincia di Firenze, oggi in vendita per pochi spiccioli, questa volta schiettamente nel segno della politica renziana.

Si allega anche una lettera a La Repubblica del 30 maggio scorso.

Aeroporto di Firenze: in volo verso il G8

imagesdi Ilaria Agostini, 29 maggio 2014. Tra Pisa e Firenze si sta mettendo in pratica la cancellazione della sovranità pubblica sulla pianificazione del trasporto aereo toscano che verrebbe consegnato a una gestione puramente affaristico-mercantile. Proviamo a delineare il quadro. Nel 2013 la Regione Toscana adotta la variante al Piano di Indirizzo Territoriale (PIT) per un ancora indefinito progetto di “qualificazione aeroportuale” che dovrà attenersi a due prescrizioni: 2000 metri come lunghezza massima della pista; costi per l’ampliamento a totale carico del proponente. Nell’aprile 2014, la Corporacìón America dell’argentino Eurnekian – che già da qualche mese possiede il 33,4% delle azioni dell’Aeroporto di Firenze (AdF) e il 27,3% dell’aeroporto di Pisa (SAT) – propone l’acquisto delle quote regionali di entrambi gli scali (tecnicamente: lancia due Opa, una obbligatoria su Adf, e una volontaria su SAT). Ad oggi, la Regione Toscana detiene poco più del 5% delle azioni di AdF (presieduta dal sodale di Renzi, Marco Carrai) e controlla il 54,5% delle quote pisane, dove detiene circa il 16,8% delle azioni e ne manterrebbe il 5% dopo la vendita, scardinando in tal modo il patto di sindacato tra enti pubblici che perdono così il controllo della gestione. Per infedeltà al patto, che era stato firmato il 23 luglio 2013, il Comune di Pisa ha presentato ricorso contro Rossi. La fusione in unica società dei due scali sarebbe da lunga data la soluzione generalmente auspicata, quando fosse orientata a rafforzare Pisa per alleggerire a city airport l’aerostazione fiorentina a ridosso della città. Nei piani dell’argentino, invece, la prospettiva è ribaltata: Firenze assumerebbe un ruolo internazionale a discapito del traffico pisano. Per garantire il successo dell’investimento fiorentino, la corporation argentina pretende 2400 metri di pista (accessibile così ad aerei più potenti e capaci) che, con le aree di comporto ad inizio e fine pista, verrebbe ad allungarsi per più di 3000 metri. Tutto ciò è incompatibile con il previsto parco agricolo della Piana, e con la prescrizione dei 2000 metri di lunghezza massima prevista dalla variante al PIT (ma si sa, le varianti variano in fase di approvazione). Gli argentini garantiscono inoltre di avere già un progetto esecutivo: evenienza che farebbe saltare il dibattito pubblico, annunciato dal garante alla partecipazione. L’aeroimprenditore si limiterà a finanziare solo per metà i lavori di “qualificazione” dell’aeroporto, indicati dal masterplan AdF intorno ai 240 milioni di euro. Sottostimati, peraltro, se si considera anche il solo riassetto del complesso sistema idraulico della piana stravolto dalla posizione della nuova pista che taglia la direzione di drenaggio delle acque: spostamento del Fosso Reale, riorganizzazione degli allacci coi fossi secondari, risistemazione delle casse di espansione, rinaturalizzazione delle aree umide etc. Resta ora da capire dove verranno recuperati i rimanenti 120 milioni a sostegno dell’impresa privata, se si aggiunge comunque che la Commissione europea impedisce l’accesso al finanziamento statale (che passa attraverso i fondi europei) per il potenziamento degli aeroporti “in competizione”, ovvero di quegli aeroporti situati in un raggio inferiore ai cento chilometri da altri scali, quale Firenze rispetto a Pisa e Bologna. In questo quadro risulta risolutiva la proposta renziana di un G8 (nel 2017?) a Firenze, con i conseguenti fondi straordinari. Un regalo per Carrai ed Eurnekian. E un ulteriore tassello della malapianificazione della piana fiorentina.

Per saperne di più (o anche per seguire i disinvolti giri di valzer dei nostri amministratori) basta scorrere l’elenco cronologico dei titoli degli articoli sul tema degli aeroporti di Pisa e Firenze registrati fra il 2010 e oggi nella nostra rassegna stampa, raccolti nel DOSSIER AEROPORTI.

 

Casetta libera” per tutti: Renzi peggio di Silvio

case_mobili_su_camion2di TOMASO MONTANARI, Il Fatto Quotidiano, 20 Maggio 2014.

La riforma della P.A. annunciata dal premier Matteo Renzi e dalla ministra Marianna Madia prevede di superare i “blocchi” dei pareri paesistici e delle Soprintendenze (“dobbiamo ridurre i casi in cui il parere serve”, ha detto Renzi). La filosofia sottostante è quella espressa da Giovanni Valentini su Repubblica: le soprintendenze “troppo spesso” sarebbero “di freno e ostacolo allo sviluppo”. Galoppando su questa linea, che si potrebbe chiamare delle mani (libere) sul territorio, alcuni senatori del Partito Democratico hanno usato la legge di conversione del cosiddetto Decreto Casa (sarà approvata definitivamente oggi, dopo che ieri la Camera ha detto sì alla questione di fiducia del governo) per imbucare un articolo che allarga la possibilità – già concessa dal lettiano decreto del Fare – di installare ovunque “case mobili” senza chiedere alcun permesso di costruire.

Così le piazzole per tende dei campeggi di tutta Italia potrebbero trasformarsi per incanto in altrettante schiere di casette e bungalow: e, chissà, un domani potrebbero mettere radici e trasformarsi in vere case di vero cemento. Molte recenti sentenze dei Tar, del Consiglio di Stato e della Cassazione hanno invece ribadito che se questi insediamenti sono permanenti (per esempio attraverso l’allaccio alle reti idriche, energetiche e fognarie ), essi incidono sul territorio e dunque devono passare attraverso tutti i vagli di legge. Al contrario, l’emendamento del Pd permette di fare esattamente quel che sognano Renzi e Madia, e cioè aggirare piani regolatori, piani paesaggistici e vincoli e costruire ovunque: perfino nei parchi nazionali o in aree archeologiche. Un parere dell’Ufficio legislativo del Mibac ha cercato di circoscrivere le nefaste conseguenze di questo punto del decreto del Fare, chiarendo che le autorizzazioni paesaggistiche non possono essere omesse: ma si tratta pur sempre solo di un parere, e questa nuova riscrittura della legge rischia di aprire un grosso varco. Un varco alla costruzione di strutture ufficialmente mobili, è vero: ma la storia italiana insegna che non c’è niente di più stabile dell’effimero. E le nostre pinete e le nostre coste non hanno certo bisogno di un’ondata di urbanizzazione selvaggia.

Il simpatico grimaldello distruggi-paesaggio, introdotto in Senato, da oggi sarà legge grazie alla scelta del governo di includerlo nel pacchetto sottoposto a duplice voto di fiducia, che rende nere tutte le vacche nella notte della democrazia. I promotori sono stati quattro senatori pd: Stefano Collina, primo firmatario, eletto in Emilia Romagna, Mario Morgoni, eletto nelle Marche, Andrea Marcucci e Manuela Granaiola, entrambi eletti in Toscana ed entrambi firmatari nel novembre scorso di un emendamento che aveva l’obiettivo di vendere ai proprietari degli stabilimenti balneari le spiagge demaniali che hanno in concessione per “contribuire al risanamento dei conti pubblici”. Un provvedimento che hanno poi dovuto ritirare, sommersi dall’onda di sdegno suscitata da un’idea di svendita dei beni comuni tanto intimamente berlusconiana.

È da notare che Marcucci (già Pli, già Lista Dini, già Margherita, ora renziano di ferro) è stato sottosegretario ai Beni culturali (e dunque anche al paesaggio) ed è ora nientemeno che presidente della commissione Cultura del Senato. Difficile liquidare questa uscita come l’iniziativa estemporanea del primo che passa: è invece un segno del fatto che la “Svolta buona” di Renzi rischia di avere un inconfondibile color cemento. E c’è da chiedersi se non sia proprio a causa di questo orientamento “maniliberista” del senatore Marcucci se la commissione del ministero per i Beni culturali (presieduta da Salvatore Settis, che certo ha un altro orientamento) che dovrebbe revisionare il Codice dei Beni culturali e del paesaggio non sia ancora riuscita, dopo nove mesi dalla nomina, ad avere la delega dal Parlamento.

Il caso è stato sollevato pubblicamente dal consigliere nazionale di Italia Nostra Emanuele Montini, e inutilmente nelle ultime ore il blog Carteinregola (che riunisce centotrenta associazioni e comitati romani) ha scritto ad ogni deputato “sperando che qualche politico di buon senso, come è già successo per la privatizzazione delle spiagge,faccia sentire la voce dei cittadini più forte di quella delle lobbies”.

Antonio Cederna non si stancava di ripetere che bisogna stare attenti “perché sennò ci strappano il territorio da sotto i piedi, perché l’Italia è il Paese più provvisorio che ci sia”. È ancora così. Il Paese è terribilmente provvisorio, ma le case provvisorie di cui Marcucci & c. vorrebbero coprirlo rischiano, invece, di essere eterne.

Per gli sviluppi si veda anche http://carteinregola.wordpress.com/