Appello contro la nuova legge Lupi

cementificazioneLettera aperta al  ministro dei Trasporti e Infrastrutture Maurizio Lupi

Egregio Ministro,
riteniamo il disegno di legge da lei presentato in materia di governo del territorio complessivamente non condivisibile, non soltanto per le numerose norme in esso contenute che appaiono inadeguate, quando non potenzialmente rischiosissime per gli effetti rovinosi che potrebbero produrre sul territorio, ma soprattutto per la filosofia che pervade, con strenua e incalzante persistenza, ogni articolo del provvedimento.

La sua proposta, a nostro avviso, non è emendabile e quindi rinunciamo a proporre osservazioni ed emendamenti puntuali al testo predisposto dal gruppo di lavoro da lei incaricato.

Tuttavia, profittando dell’opportunità di poter interloquire con i suoi uffici, vogliamo cogliere l’occasione per esprimere un dissenso ragionato e motivato, poiché la nostra posizione non ha nulla di pregiudiziale, ma è il risultato di una valutazione non estemporanea che qui di seguito vogliamo sintetizzare.

L’innovazione più rilevante, che nel ddl emerge in tutta evidenza e in forma così pervasiva da precludere un possibile confronto di merito sui singoli aspetti, risiede nel fatto che viene riconosciuto ai proprietari delle aree il “diritto di iniziativa e di partecipazione” nei procedimenti di pianificazione; e, per non lasciare possibili dubbi, i soggetti istituzionali – Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni e Stato – sono sollecitati, nell’esercizio delle rispettive competenze, a estendere anche ai “privati che partecipano alla pianificazione” gli stessi principi che regolano i rapporti interistituzionali (leale collaborazione, sussidiarietà, trasparenza ed altri ancora).

Si tratta di un modello che delegittima in maniera clamorosa i principi e le modalità che stanno alla base del processo di pianificazione; un modello che dalla legge urbanistica del 1942 è pervenuto, con modifiche, aggiornamenti e con l’innesto delle leggi regionali, sino ai nostri giorni. Si tratta altresì di un modello del quale non si ravvisano elementi di affinità in nessun’altra legislazione urbanistica dei paesi avanzati europei.

Da sempre, infatti, è stato unanimemente riconosciuto che la pianificazione appartiene a pieno titolo alla sola sfera pubblica, costituendo una delle attività più qualificanti delle amministrazioni pubbliche, e in particolare dei Comuni. E se in altri campi ci si avvia a un ridimensionamento della presenza pubblica in funzione – vera o presunta – di una maggiore snellezza ed efficacia delle azioni e delle decisioni, in questo campo la delega non è da ritenere assolutamente ammissibile per il solo e semplice fatto che le decisioni riguardanti la qualità dell’assetto del territorio e le interazioni che in esso si stabiliscono appartengono all’intera comunità, poiché il territorio, nel moderno costituzionalismo, appartiene a titolo di sovranità al popolo; e, come recita la nostra Costituzione, il diritto alla proprietà privata è condizionato al perseguimento della “funzione sociale” della proprietà stessa .

Conseguentemente, la pianificazione non può che essere esercitata, con metodo trasparente e partecipato, da coloro che, a seguito di competizione elettorale, hanno ricevuto dai cittadini il compito di provvedervi.

Se, come si evidenzia nel testo della proposta di legge, si privilegia in maniera esclusiva una categoria di cittadini (i proprietari), conferendo loro addirittura il rango di soggetti istituzionali a pieno titolo coinvolti nel processo di pianificazione, si snatura l’essenza stessa della pianificazione la quale deve svolgere il precipuo compito di assicurare condizioni di maggiore benessere all’intera popolazione, residente – dai commercianti agli agricoltori, dagli studenti agli sfrattati e così via – contemperando le diverse aspettative che devono comunque risultare non in contrasto con le esigenze di tutela e salvaguardia dell’ambiente (il territorio è un bene irriproducibile) e con la conservazione del patrimonio storico.

Anche se è il più dirompente, quello appena descritto non è il solo aspetto inaccettabile di questa bozza di legge.

Nel ddl risulta soppresso il decreto ministeriale 1444 del 1968. In sostituzione degli standard vengono introdotte le dotazioni territoriali le cui definizioni sono attribuite allo Stato nei termini generali, e successivamente alle Regioni per la parte regolamentare. Abrogando il decreto che assicurava per “ogni abitante, insediato o da insediare”, una “dotazione minima, inderogabile,” di mq per servizi, verde e aree pubbliche si scardina uno dei pilastri dell’urbanistica riformista che ha garantito, in ogni comune di qualsiasi regione, una dotazione di spazi pubblici per tutti i residenti, senza differenziazione tra ambiti di maggior pregio e altri meno privilegiati.

Se poi la formulazione della norma riguardante le dotazioni territoriali si pone in relazione con quella, anch’essa contenuta nel ddl, che consente ai privati di presentare proposte per progetti di trasformazione urbanistica in sede di formazione del piano operativo e che attribuisce ai Comuni il mero compito di valutazione delle proposte private “verificandone la rispondenza alle esigenze di dotazioni territoriali già definite”, sorge il fondato dubbio che il compito del soggetto pubblico possa ridursi a localizzare le aree per i servizi, lasciando quindi ai privati la facoltà di proporre contenuti e modalità delle trasformazioni urbanistiche (l’esperienza del piano del Comune di Milano, basato tutto sulla contrattazione con i privati, diventerebbe quindi il modello di riferimento).

E ancora: il largo consenso registrato di recente sul contenimento del consumo di suolo, che ha portato alla presentazione di numerose proposte di legge – peraltro in una condizione di perdurante stagnazione che non lascia sperare tempi rapidi per la conclusione dell’iter legislativo – trova nel ddl un’espressione assai riduttiva e di basso profilo che, di fatto, non incide in alcun modo sull’obiettivo di ridurre l’aggressione alle aree agricole e di arginare i processi di impermeabilizzazione dei suoli. Nel testo  di legge non è contenuta nessuna prescrizione realmente fattiva ed efficace per ridurre da subito possibili nuovi incrementi del suolo urbanizzato, non vi è neppure la traccia di un percorso attraverso cui definire i limiti all’espansione, ma soltanto un retorico invito alle Regioni, chiamate a emanare proprie leggi in cui il contributo per gli oneri di urbanizzazione risulti crescente al diminuire della densità edilizia.

Sul rinnovo urbano, una locuzione davvero inquietante, il tentativo di rimuovere alcuni ostacoli che limitano la diffusione di questi interventi si traduce nel dare spazi di azione pressoché illimitati ai privati, e non solo come soggetti con cui il Comune attiva procedure negoziali (e sarebbe più che sufficiente). Si prevede infatti anche la possibilità, se privati e Comune si accordano, di avviare le operazioni di rinnovo urbano anche in assenza di pianificazione operativa o in difformità da questa. E non è tutto: se in un ambito oggetto di recupero si forma un consorzio tra proprietari tale da rappresentare la maggioranza del valore degli immobili, si prevede un meccanismo inammissibile e odioso. Il consorzio stesso potrà espropriare i proprietari non aderenti e nessuna forma di tutela è prevista a garanzia di questi ultimi che verrebbero così privati del proprio alloggio senza alcuna offerta in alternativa.

Ampio spazio trova nel ddl il tema dell’edilizia residenziale sociale e, rispetto agli aspetti già di recente trattati nel cosiddetto Piano Casa approvato nel mese di maggio, si entra maggiormente nel merito delle definizioni, delle modalità di realizzazione, dei soggetti chiamati a realizzarla, delle possibili forme di incentivazione. Ma, di nuovo, tutte le misure suggerite (trasferimento o cessione di diritti edificatori, premi volumetrici, riduzione del prelievo fiscale comunale, e così via) sono dedicate al ‘mercato’ più che a garantire il diritto alla casa sancito dalla Costituzione.

Tralasciamo altre considerazioni su aspetti più circoscritti, ma non per questo meno preoccupanti e criticabili, e concludiamo ribadendo che l’approvazione del testo presentato, o comunque di un testo ispirato alla stessa ideologia e agli stessi principi distruttivi, produrrebbe effetti nefasti sul territorio e sul patrimonio comune (che non appartengono solo agli abitanti e governanti attuali della penisola, ma all’intera umanità e, soprattutto, alle generazioni future), e screditerebbe chi avesse contribuito ad approvarla.

Attenzione:

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