Mancata pianificazione e deregulation volute dal Comune, con molta improvvisazione
L’articolo 13, rinominato in città “per la degenerazione urbana”, abolendo l’obbligatorietà del restauro, consentiva l’applicazione della “ristrutturazione edilizia” (pur con limitazioni) sul patrimonio edilizio storico e introduceva la possibilità di operare secondo la medesima categoria di intervento – stavolta senza limitazioni – sugli edifici notificati come monumenti. In altre parole, si tratta di un inedito allargamento delle maglie costruito ad arte per agevolare le operazioni speculative concentrate sull’edificato storico, sia in città che sui colli fiorentini.
Una “maionese impazzita”: così è stata definita la situazione durante l’incontro di martedì 9 luglio presso l’Ordine degli Architetti di Firenze incentrato sulla grave incertezza, lamentata dai professionisti dell’edilizia, che caratterizza l’attività di gestione e controllo delle trasformazioni edilizie. Tra operatori e proprietari, il malcontento è forte.
È il fallimento di anni di politiche elusive nella gestione delle trasformazioni urbane. Piani strutturali privi di indicazioni strategiche ma ricchi di slogan cui sono seguiti Regolamenti Urbanistici tanto voluminosi quanto vuoti di efficacia. “Piani” che, da una parte, agivano con spirito vessatorio nei confronti della gestione ordinaria delle trasformazioni, mentre dall’altra favorivano i nuovi padroni della città: imprese immobiliari d’assalto, corporation, fondi immobiliari stranieri.
Le ultime amministrazioni comunali si sono distinte per il disimpegno nella definizione di un’idea complessiva di città e del ruolo qualificante che il Centro Storico vi avrebbe potuto svolgere. Ad una visione sistemica sono stati preferiti interventi puntuali, caso per caso, edificio per edificio, favorendo la frammentazione della città e il mancato controllo delle ricadute complessive sul sistema urbano. Ciò ha consegnato agli abitanti una città invivibile, inquinata, mercificata.
L’amministrazione comunale si deve invece porre nella condizione di gestire le trasformazioni del patrimonio edilizio storico secondo una visione complessiva, producendo un piano particolareggiato per il centro storico, i centri storici minori e le emergenze architettoniche puntuali fondato sulcensimento dell’edificato storico (redatto, ancorché in maniera criticabile, nell’ultimo Piano Regolatore, 1993, ma sostituito da un generico vincolo sui tessuti edilizi).
Gli esempi esistono: il Piano per il Centro Storico di Pistoia (Cervellati, Maffei Cardellini) e il Piano di Napoli (Vezio De Lucia) che, fondato sulla conoscenza capillare del patrimonio edificato storico, ne gestisce le trasformazioni su base tipologica.
L’attività professionale è da anni nel caos a causa dell’eccessiva indeterminatezza delle regole e delle categorie d’intervento. Ne sono state moltiplicate le sigle – DIA, superDIA, SCIA, CILA –in assenza di un quadro certo di riferimento, mai definito. La verifica della correttezza degli interventi è stata affidata alla consulenza di tecnici di quartiere spesso in difficoltà nell’interpretazione delle non cristalline norme, tra loro contrastanti. Negli anni, a Firenze, l’applicazione è stata fin troppo permissiva, cui si è aggiunta la carenza dei controlli dovuta, anche, al sottodimensionamento degli uffici tecnici. Il caso della Lottizzazione di Palazzo Tornabuoni, all’origine della tempesta di questi giorni, è esemplare.
Per anni è stata attuata un’applicazione estensiva della categoria del Restauro. Si è rinunciato a uno strumento prezioso quanto necessario: la puntuale conoscenza del patrimonio edilizio storico e la redazione di schede normative per singolo edificio, o complesso, con indicazioni sulle trasformazioni ammissibili e gli usi compatibili: evidentemente troppo vincolante, meglio avere le mani più libere per rispondere meglio alle aspettative del ricco mercato che ha sempre visto nel centro storico fiorentino una ghiotta occasione di estrazione di valore. In pratica il contrario della pianificazione, che parte dalle caratteristiche della città e dai bisogni degli abitanti, e non da quelli degli operatori più o meno speculativi.
Così, nel corso di questi anni, la città è stata data in pasto alla speculazione immobiliare e turistica. Turismo globale e terziario non residenziale hanno occupato – indisturbati – lo spazio fisico di Firenze. Interi settori urbani – isolati, complessi storici – sono stati consegnati alla speculazione sulla base di artatamente inefficaci “Schede Norma” che individuano i singoli interventi di trasformazione del patrimonio storico, ne stabiliscono destinazioni d’uso e superfici di progetto sulla base della appetibilità dell’immobile, tutto al di fuori di una pianificazione complessiva. È infatti il privato ad attivare la trasformazione presentando il piano urbanistico dell’area che il più delle volte non è assoggettato a VAS e viene fatto proprio dall’amministrazione che lo inserisce a variante del proprio Regolamento Urbanistico comunale.
Il Piano generale assume l’aspetto grottesco di un mosaico di piani di “recupero” voluti e redatti dai privati, rispondenti ai propri interessi economici e alla redditività dell’investimento speculativo.
Questo è il desolante quadro in cui si cala la Variante all’art. 13, che dal 2018 introduce la Ristrutturazione edilizia ed esautora il Restauro degli edifici storici e dei tessuti storicizzati.
In città abbiamo assistito ad una sollevazione da parte sia di alcuni esponenti del mondo accademico che dell’opposizione in consiglio, sia dei comitati che delle associazioni, dell’antagonismo e dell’attivismo. Tra di essi, Italia Nostra e il Laboratorio politico perUnaltracittà, le cui circostanziate osservazioni alla Variante sono state respinte da una sprezzante amministrazione comunale.
Bene ha fatto Italia Nostra a presentare il ricorso al TAR, interpretando un sentimento comune a quella parte di città che ritiene di dover costituire un elemento di resistenza alla distruzione turistico-speculativa del centro di Firenze. Siamo riconoscenti all’Associazione per aver formalizzato la questione dinanzi al TAR regionale.
L’amministrazione comunale, in evidente difficoltà, stretta tra il fronte di professionisti, operatori e committenti e quello meno aggressivo ma tenace dell’attivismo critico, tenta l’impossibile. Davanti alla “maionese impazzita”, di cui è unica responsabile, contratta il ritiro del ricorso da parte dell’associazione ambientalista la quale, ci auguriamo, saprà resistere. Nessuna contrattazione è ammissibile, poiché le scelte urbanistiche non si improvvisano in una trattativa tra il Comune e un’associazione, ma sono frutto di un progetto complessivo, derivato da studi capillari, sulla base della esemplare tradizione della pianificazione della città storica per la quale il nostro paese è stato faro a livello internazionale. Su questo dovrebbe cominciare a impegnarsi l’amministrazione già a partire dall’imminente rinnovo del Regolamento Urbanistico-Piano Operativo.
Gruppo Urbanistica perUnaltracittà