Se un investimento serve a poco, cioè se ha più costi che benefici, il suo principale impatto è l’occupazione che crea (tutti gli investimenti pubblici, quale più quale meno, creano occupazione). E gli occupati così creati stanno meglio, spendono soldi, e per questa via fanno anche crescere l’economia. Ma questo è identico a distribuire direttamente soldi per scopi sociali (per gli economisti: è come il celebre “far scavar buche e riempirle” di John Maynard Keynes).
Quindi, in prima ipotesi, bisogna puntare su investimenti con benefici molto maggiori dei costi. Un esempio concreto: quando il presidente Usa Barack Obama ha dovuto decidere come tirar fuori gli Stati Uniti dalla crisi del 2008, molti gli suggerirono un programma di linee ferroviarie di alta velocità, come esisteva in Europa. Lui guardò i conti e disse: “Le analisi costi-benefici non sono buone…”. Fece invece un grande programma di manutenzioni delle infrastrutture esistenti, e la strategia ebbe un grande successo.
Ma purtroppo superare l’analisi costi-benefici è un criterio necessario ma non sufficiente perché un progetto serva alla crescita di un paese. Infatti per crescere il Paese deve produrre di più e meglio, cioè deve creare più prodotti e servizi che si possono comprare e vendere. Il Pil (Prodotto interno lordo) ne è il misuratore, ed è un suo noto difetto limitarsi a questi aspetti del benessere di un Paese. Ma finora non se ne è trovato un altro migliore da sostituire questo (ci aveva provato la Francia, ma poi dei risultati non se ne è fatto nulla, a causa dei troppi elementi arbitrari che conteneva).
L’analisi costi-benefici considera tra i benefici molte cose che non hanno a che vedere con la crescita della produzione di beni e servizi: misura per esempio i benefici ambientali, i risparmi di tempo nei viaggi delle persone, la sicurezza stradale, e altre variabili di questo tipo. Alcune hanno degli impatti diretti sulla produzione. Si pensi per esempio che viaggi meno stancanti per lavoratori e dirigenti ne aumenta la produttività, ma in modo molto indiretto e difficile da misurare. Lo stesso vale per alcuni benefici ambientali, ma certamente non per gli effetti sul riscaldamento globale.
Che fare allora? Una prima cosa utile sarebbe privilegiare, tra gli investimenti che hanno un impatto certo e favorevole sulla crescita del Pil, quelli che creano, per ogni euro pubblico speso, maggiore occupazione (ci sono apposite tecniche per farlo, si chiamano “analisi di valore aggiunto”).
Certo, molti tipi di benefici sociali sarebbero trascurati, ma non quello forse più importante, la creazione di lavoro. Per tornare a esempi pratici, la logica delle Grandi Opere ne riceverebbe anche per questa via un colpo fatale: per euro speso, infatti, queste creano molto meno lavoro, diretto e indotto, che interventi di manutenzione, soprattutto nell’edilizia, che è notoriamente un settore ad alta intensità di lavoro.
Ma attenzione: poichè tutti gli investimenti pubblici creano lavoro, spesso queste valutazioni vengono usate per legittimare opere singole di scarsa utilità, con somma felicità dei gruppi di interesse che le promuovono (di nuovo, si vedano molte Grandi Opere). Quindi queste valutazioni possono essere fatte solo in modo comparativo, non in isolamento. Bisognerebbe addirittura iniziare da un confronto tra diversi settori produttivi, per incominciare a selezionare quelli che presentano maggiore impatto potenziale sia sulla crescita che sull’occupazione, sempre a parità di spesa.
E il settore dei trasporti, di cui chi scrive si occupa, non sembra godere di una posizione privilegiata: i costi diretti di trasporto per le imprese tendono a diminuire (è diverso portare carbone, grano, legname, dove i costi di trasporto incidono moltissimo, da capi di abbigliamento, macchine utensili sofisticate, computer). Anche la popolazione tende a diminuire, soprattutto nel Mezzogiorno, mentre molte infrastrutture di trasporto sono già oggi sottoutilizzate, se non quelle intorno ai grandi centri metropolitani. E, come abbiamo già visto, le nuove eventuali infrastrutture di trasporto generano poca occupazione.
Subito dopo l’occupazione, bisognerebbe guardare all’innovazione tecnologica e all’ambiente, e, di nuovo, non sembra certo il cemento la risposta per far crescere il Paese.