di Tomaso Montanari, Il fatto quotidiano, 19 novembre.
Una sfida a Camera e Senato. Alla maggioranza “del cambiamento”, e alla minoranza “della responsabilità”. Una sfida costruttiva: capace di riporta-re nelle aule parlamentari lo sguardo lungimirante e la lingua chiara e profonda della Costituzione. E questa la portata di un breve testo, appena più lungo di questo articolo, capace di cambiare il destino delle nostre città: la “Proposta di legge in materia di tutela dei centri storici, dei nuclei e dei complessi edilizi storici” avanzata dall’Associazione Bianchi Bandinelli. A stenderla è stato un gruppo di urbanisti, giuristi, esperti di patrimonio culturale che annovera le migliori intelligenze italiane guidate da Vezio De Lucia, e in cui spicca il contributo di Pierluigi Cervellati.
La proposta di legge afferma una verità fondamentale, indicando i centri storici come i veri capolavori della civiltà italiana, e li identifica in modo univoco (superando una babele di norme di ogni grado) con gli insediamenti urbani riportati nel catasto del 1939. Dopo aver detto cosa sono, la legge aprirebbe finalmente un insuperabile scudo di protezione: “Sono sottoposti a disciplina conservativa del patrimonio edilizio pubblico e privato, con divieto di demolizione e ricostruzione e di trasformazione dei caratteri tipologici e morfologici degli organismi edilizi e dei luoghi aperti, di modificazione della trama viaria storica e dei relativi elementi costitutivi, con divieto altresì di nuova edificazione anche degli spazi rimasti liberi; sono esclusi usi non compatibili”.
Se questa semplice norma fosse stata in vigore negli anni ’50 e ’60 non sarebbe stato possibile il Sacco di Palermo di Vito Ciancimino e soci, che distrusse gran parte della meravigliosa architettura liberty della città. Se fosse stata in vigore l’anno scorso, si sarebbe fermata l’oscena demolizione dei villini storici di Roma: quei villini sono una mirabile testimonianza del governo del Blocco Popolare di sinistra e del suo piano regolatore (1909), e la loro distruzione in corso è il frutto della decadenza del Lazio governato dalle leggi urbanistiche di Polverini e Zingaretti. Se questa legge entrasse in vigore oggi, potrebbe bloccare l’incredibile variante urbanistica approvata a Firenze dalla giunta Nardella, che dà mano libera alla speculazione permettendo di demolire, ristrutturare e costruire ex novo nei vuoti storici anche all’ombra della Cupola del Brunelleschi.
Ma, qualcuno dirà, non sarà “ambientalismo da salotto” (per usare le parole demenziali di un esponente di spicco del partito del cemento, Matteo Salvini)? Davvero, in un’Italia socialmente a pezzi, la priorità possono essere le pietre antiche dei nostri centri storici? La risposta è contenuta nell’articolo 5 della proposta di legge, un articolo che non si esagera a definire rivoluzionario, perché obbliga lo Stato a lanciare un Programma straordinario per il ripristino della residenza negli insediamenti storici. E la prima norma contro la gentrificazione, cioè contro la trasformazione della città storica in una città di ricchi, in un luna park di lusso e poi in un gigantesco mangificio-airbnb.
Il piano decennale previsto dalla legge prevede “l’utilizzo a favore dell’edilizia residenziale pubblica del patrimonio immobiliare pubblico dismesso (statale, comunale e regionale); l’obbligo di mantenere le destinazioni residenziali con la sospensione dei cambi d’uso verso destinazioni diverse eventualmente previste, fatte salve le attrezzature pubbliche e quelle strettamente connesse e compatibili con la residenza; l’erogazione di contributi a favore di Comuni caratterizzati da elevata riduzione della popolazione residente, per l’acquisto di alloggi da cedere in locazione a canone agevolato”.
Se questa norma fosse stata in vigore negli ultimi trent’anni, Venezia sarebbe ancora una città. E i comuni italiani – da Venezia giù giù fino all’ultimo paese delle aree interne spopolate della Calabria, passando per Firenze, Napoli e Bergamo – potrebbero finalmente avere le armi per impedire la turisticizzazione selvaggia del tessuto storico, e per mantenere, o riportare in centro, le classi subalterne oggi condannate alle periferie e private della memoria e della storia. Un ultimo comma dell’articolo 5 prevede che gli speculatori che chiedono i titoli abitativi per più di quattro appartamenti alla volta (dopo frazionamenti e sfratti, per esempio) siano accontentati solo se accettano di affittarne almeno il 25%, a canone concordato col Comune e assicurando la priorità ai precedenti occupanti. Una legge esemplare. Perché semplificherebbe davvero, e de-burocratizzerebbe, ma non per svellere e annichilire la tutela (come invece finora in tutte le leggi di semplificazione, fino all’apoteosi cementizia dello Sblocca Italia renziano), ma anzi per tutelare meglio e di più. E per tutelare non solo le pietre, ma anche il popolo: e anzi il nesso pietre-popolo, che è l’anima stessa delle nostre città storiche.
È sempre più evidente che la decomposizione della democrazia italiana parte dalla decomposizione delle città, e in esse delle città storiche: il dominio del mercato sullo spazio pubblico, la svolta securitaria in nome del decoro e la sovrapposizione di pulizia sociale e polizia repressiva sono fenomeni urbani che hanno condotto alla sparizione dello spazio politico e alla svolta a destra del Paese. Questa legge tutela la democrazia, attraverso la tutela delle città: ci sarà qualche senatore o deputato disposto a raccogliere la sfida, e a incardinare questo testo provvidenziale nei lavori parlamentari?