agli abitanti di Firenze
di Ilaria Agostini, il manifesto, 14 aprile.
La fabbrica del turismo. Una città afflitta da sotto-occupazione e precariato estrae valore da un patrimonio culturale unico, ma è incapace di riprodurlo. Strade, ponti e musei cambiati in fondali per «eventi». Piazza del Duomo e piazza della Signoria trasformati in recinti per turisti.
«Ci hanno in odio», commenta un vecchio abitante alle prese con le difficoltà dell’abitare nella Firenze intramuros, dove decenni di vuoto pianificatorio e di politiche mercantilistiche hanno cambiato la natura antropologica della residenza.
Tra 2001 e 2011 i residenti entro le mura (38.703 nel 2011) sono aumentati dell’11%. Molti sono giovani e single (è mononucleare il 56,8% delle famiglie), risiedono in case piccole, il loro tasso di disoccupazione è del 6,5% (dati: Ancsa-Cresme). Il calo degli iscritti nelle liste elettorali sta però a dimostrare che, dagli anni ’90, i residenti di cittadinanza italiana sono stati progressivamente sostituiti da cittadini stranieri, non solo a basso reddito, che pur ci sono: nel 2017, gli stranieri costituiscono il 22,3% della popolazione del centro storico (Servizio Statistica del Comune). Residenti esteri e «fruitori» non sempre investono nell’abitare di lungo periodo in città: dotati di mezzi economici, essi determinano mutamenti nell’assetto urbano; tuttavia, privi del diritto di voto, hanno scarsa incidenza politica. La popolazione ideale per governare senza problemi.
A Firenze, città storicamente afflitta da sottoccupazione, la spinta economica proviene dalla «fabbrica del turismo», monocoltura che estrae profitto da un patrimonio culturale che non è in grado di riprodurre. E che anzi consuma: sono oltre 10 milioni le presenze turistiche in città nel 2017. Tali presenze hanno peso notevole nel mercato immobiliare. L’affitto turistico in civile abitazione è salito vertiginosamente: 1.800.000 le presenze in B&B nell’anno passato; dal 2000, si stima una crescita media annua dell’8,5% (Centro Studi Turistici).
Stefano Picascia (Ladest-Università di Siena) fornisce dati significativi: a febbraio 2016 gli «appartamenti interi» offerti su Airbnb raggiungono il 17,9% del totale delle unità immobiliari del centro città (4.192 su 23.434). Una percentuale molto – troppo – alta, che fa dubitare dell’effettiva residenzialità registrata dai dati censuari.
Il centro di Firenze è infatti, tra i capoluoghi italiani, quello con minor numero di case «vuote o abitate da non residenti»: il 7,5% del totale (Ancsa-Cresme), molte case in meno del 17,9 posto su Airbnb. Questa incongruenza non preoccupa il Comune che, a corto di liquidità, preferisce introdurre come misura antievasione una tassa di tre euro a notte sulla prenotazione: Airbnb accetta di gestire la riscossione delle imposte, e versarle ogni 15 del mese successivo. 6-7 milioni l’anno, un affare nell’affare.
A Firenze il 93,8% degli acquisti immobiliari entro le mura ha finalità di investimento (Tecnocasa, 2018). Il mercato si orienta sulle «case vacanza» che sottraggono alloggi agli abitanti. Molto più sicuro infatti, rispetto ai contratti quadriennali esposti al rischio di morosità, l’affitto a breve termine. Persino gli studenti – tradizionale cespite della rendita cittadina – hanno difficoltà a trovar casa in centro. Sopravvivono nella città storica residuali rioni in cui ancora trovano alloggio le classi a basso reddito, il bracciantato del turismo: il sovraffollamento di via Palazzuolo o via Panicale – marginalizzate e in preda all’incuria – è sicuro prodromo alla nuova riqualificazione speculativa. La depressione che precede l’onda.
La città intramuros cambia velocemente volto. Se le classi subalterne sono espulse dai quartieri centrali, è l’intera cittadinanza ad essere spossessata dei luoghi rappresentativi. In tempi di austerità, la pratica mercatoria sullo spazio pubblico è il mezzo per appianare i bilanci: piazze, ponti e musei sono ridotti a fondali per eventi pseudo-culturali, o commerciali tout court. Piazza del Duomo e della Signoria sono, oggi, recinti per turisti.
Inoltre, annose politiche di decentramento hanno dislocato funzioni vitali, al di fuori di un progetto organico. I «contenitori storici dismessi» sono passati direttamente nei Piani delle Alienazioni: prelibati bocconi per investitori che trasformano caserme in hotel di lusso o il Teatro Comunale in appartamenti «stile Fifth Avenue».
In nome della «rigenerazione», infine, i piani urbanistici hanno reso buon servigio all’incalzante mutazione. A marzo, la Giunta Nardella ha approvato una scellerata Variante urbanistica che, abolendo l’obbligatorietà del restauro sugli edifici storici e legittimando speculazioni bloccate dal sistema giudiziario, rappresenta l’estrema torsione amministrativa. Un regalo ai parassiti della rendita, e, insieme, un atto di selezione sociale.