Di Giorgio Meletti, Il fatto quotidiano, 1 aprile 2018
La strettoia politica è drammatica. Per la prima volta dal 1948 è possibile un radicale cambio di governo. Andiamo sul concreto con un esempio: chi sarà il ministro delle Infrastrutture? Un Attila, come direbbero degli ambientalisti? Un “No a tutto”, come temono quelli “del fare”? O una via di mezzo che come lo metti sta, tipo l’uscente Graziano Deirio? Tutte e tre le ipotesi sono compatibili con qualsiasi soluzione politica. Prendiamo la più gettonata, Di Maio-Salvini. I due si accorderanno su un No-Tav come piace al M5S? O su un Sì-Tav caro alla Lega e ai suoi alleati berlusconiani? Diranno che non è questione di nomi m di programmi, poi sotto ghirlande di belle parole e ossimori arditi passerà un ministro con capo di gabinetto, segreteria tecnica e batteria di direttori generali e provveditori regionali. Mille singole decisioni sfuggiranno ai radar politici o saranno oggetto di scambio. Per esempio Delrio ha predicato e mai fatto l’analisi costi-benefici sulle nuove opere. Tutti, sia chi auspica sia chi teme, aspettano di vedere se il ministero delle Infrastrutture verrà aperto come una scatoletta di tonno. Gli interessi veri – abbandonato Renzi al solipsismo del #senzadime – aprono canali diplomatici con i barbari per piazzare, se non proprio un Flick a Palazzo Chigi, almeno qualche “affidabile” nei ministeri chiave.
Nell’attesa, piccolo pro-memoria per i Richelieu delle trattative. Nel 2013 la Procura di Firenze ha arrestato la dalemiana Maria Rita Lorenzetti (presidente della Italferr-Fs, ex parlamentare ed ex governatore dell’Umbria) nell’inchiesta sul tunnel Alta velocità sotto Firenze. Da cinque anni i cantieri sono fermi e aspettiamo di sapere se si tratti di un’opera utile e a costo ragionevole o di un sistema per derubare i contribuenti. La politica tace. Attende le sentenze. Il 16 marzo 2015 ancora Firenze, sullo slancio, arresta due perni del sistema dei lavori pubblici, il profeta del project financing Ercole Incalza e il suo amico direttore dei lavori (di mille cantieri) Stefano Perotti. Seguono le dimissioni del ministro Maurizio Lupi (per il Rolex al figlio) e l’inutile avvento di Deirio. Lupi è stato rieletto e potrebbe essere spinto dal centrodestra a un glorioso ritorno a Porta Pia. Perotti era direttore dei lavori anche del Terzo Valico, ferrovia tra Genova e Tortona, 6,2 miliardi per poco più di 50 chilometri, il primo atto del governo Monti (quello dell’austerità…). Nel 2016 è stato arrestato Giandomenico Monorchio (figlio dell’ex ragioniere generale dello Stato), che aveva preso il posto di Perotti al Terzo Valico. Preso con lui Michele Longo della Salini Impregilo, presidente del Cociv (consorzio costruttore del Terzo Valico), un vero regista delle grandi opere. Il capo Pietro Salini l’ha cacciato dichiarandosi parte lesa, però è stato indagato anche lui, insieme a Giuseppe Lunardi, figlio dell’ex ministro delle Infrastrutture che consegnò il potere a Incalza, inventore della “criminogena” (cit. Cantone) Legge Obiettivo. Il 13 marzo scorso, per una autostrada in Sicilia, è stato arrestato Duccio Astaldi, presidente della Condotte, secondo socio del Cociv dopo Salini Impregilo.
Ancora non c’è alcuna sentenza e vale la presunzione d’innocenza (per Incalza c’è già il proscioglimento). Ma un problema c’è: le inchieste fotografano una nuova Tangentopoli, più sofisticata e organizzata di quella di 25 anni fa con le buste di soldi ai politici, che coinvolge tutto il sistema. Per questo Di Maio e Salvini, a margine delle chiacchiere sui programmi, devono accordarsi su chi va a Porta Pia. Se invece pensano che le inchieste di Firenze, Genova, Roma e Messina nascano dall’abuso di sostanze psicotrope nelle Procure, allora scelgano bene il nuovo ministro della Giustizia.