I nuovi custodi del paesaggio toscano

Per una migrazione solidale e integrata

Rete sociale fòrimercato, Firenze.

http://www.forimercato.it/, 28 febbraio.

Le ragioni e le motivazioni del progetto. Parlare del paesaggio toscano significa parlare del lavoro dell’uomo, essendo questo paesaggio il risultato di anni e di secoli di lavoro, di sofferenze e di tanta fatica di uomini e donne che hanno vissuto nella campagna e che per centinaia di anni hanno costruito e mantenuto questo patrimonio che oggi viene invidiato da tutto il mondo. Hanno costruito i muri a secco che ancora oggi dopo secoli resistono, modellato le colline con vigneti e uliveti, ripulito i fossi e fossetti e arginato le acque meteoriche.

 

 

Quegli uomini avevano un nome preciso, erano i Mezzadri, non padroni della terra ma neanche dipendenti, una figura particolare fra l’essere imprenditore di se stesso e rimanere alle dipendenze della fattoria da cui dipendeva direttamente.

Oggi non è possibile riproporre quella condizione, per tante motivazioni sociali e storiche, ma rimane la necessità di una nuova presenza umana sul territorio, condizione fondamentale se vogliamo continuare a godere non solo di questo paesaggio ma soprattutto dei benefici che il territorio agricolo ci fornisce dai suoi prodotti alla condizione ambientale.

Occorre capire e conoscere quell’intreccio che intercorre fra noi e il territorio, comprendere in profondità quella rete che corre fra il territorio inteso come patrimonio collettivo e la stessa produzione agricola e la conseguente modificazione produttiva.

Noi pensiamo che oggi vi sia un grave rischio di omologazione anche delle stesse produzioni agricole e dei loro prodotti, in una visione sempre più globalizzata e con una proiezione solo televisiva, annullando la storia, la fatica, il sacrificio di intere generazioni, per questo riteniamo che sia giunto il momento di una svolta, di un’azione che sia di una “ conservazione rivoluzionaria”  e di doversi interrogare su come mantenere questo equilibrio, ma allo stesso tempo di come riuscire a valorizzare e riportare il lavoro per il suo mantenimento.

In primo luogo è necessario un’azione di tipo socio- culturale riportando al centro della nostra azione il valore del lavoro, il lavoro quello vero, quello fatto di fatica quotidiana, di sudore, di servizio e di beneficio per tutti e impregnato di saggezza e sapienza.

Noi dobbiamo essere consapevoli che questa è una nostra profonda criticità, che porterà ad una abbandono non solo del territorio, ma anche alla dispersione di culture e sapienze antiche, questo è dovuto alla nostra bulimia di benessere effimero che ci porta ad abbandonare l’importanza del rapporto fra l’uomo e la natura.

Con questa riflessione che ci siamo rapportati quando abbiamo affrontato un’altra criticità del nostro tempo, quella dell’immigrazione, due criticità che possono creare una opportunità per i soggetti interessati: la vecchia comunità e la nuova comunità.

Vogliamo quindi affrontare le criticità non solamente utilizzando la cultura e la pratica della solidarietà, anche se questa è una componente fondamentale per avere un approccio sul tema dell’immigrazione, ma costruendo un progetto comune che non sia di tipo caritatevole ma impregnato di valori e diritti condivisi.

Siamo consapevoli che nessuno ha il diritto di distruggere i sogni di ragazzi e ragazze, siano essi italiani o africani, né di rompere le speranze di una madre o di un padre che cercano di offrire condizioni di vita migliori ai propri figli, ma il senso di umanità e di solidarietà non è sufficiente a costruire un segnale politico che sposti in avanti una cultura regressiva e foraggiata dalla paura dello straniero, crediamo quindi necessario partire dai bisogni comuni di noi indigeni di questa terra con una sorta di alleanza con i futuri indigeni lavorando per costruire un bisogno e un dovere comune che sia dell’intera collettività.

Da queste considerazioni siamo partiti per cercare le risposte e abbiamo iniziato a costruire un percorso comune con delle lezioni di conoscenza agraria, crediamo che si possa tirare fuori una sensibilità dei nostri agricoltori e dei ragazzi che per la loro provenienza possono essere immuni da quella cultura consumistica in cui siamo immersi.

Abbiamo attivato nel 2017 dei corsi di potatura degli olivi, tecnica fondamentale per il mantenimento della tipicità del nostro territorio agricolo.

Rivitalizzare le nostre campagne, per uscire dalla criticità dell’abbandono, significa in primo luogo ricominciare a coltivarle, a renderle produttive cercando di rendere questi giovani provenienti dal sud del mondo, non solo dei lavoratori ma dei protagonisti, saranno loro che dovranno assumere il testimone e continuare a rendere fruibile e vivibile il nostro patrimonio che diventa così anche il loro. Abbiamo più bisogno noi di loro che loro di noi.

Abbiamo iniziato dalla parte più significativa e simbolica, quella dell’olio e dell’olivo, quella più a rischio di abbandono, ma anche quella che può diventare il riscatto di un periodo storico come quello che stiamo vivendo, il riscatto dell’area del Mediterraneo.

Ricordiamo infatti che la produzione dell’olio d’oliva e la coltivazione dell’olivo è presente solo nel bacino del Mediterraneo, non vi sono altre parti del mondo in cui viene coltivato.

Le stesse tre religioni monoteiste considerano la pianta e il prodotto dell’olivo come sacro, e è da sempre simbolo di pace e di speranza.

Possiamo affermare quindi che i nostri potatori oltre ad essere dei lavoratori importanti per il nostro territorio, sono anche un esempio simbolico di convivenza e di pacificazione fra i popoli.

Il corso iniziato l’anno scorso ha formato 10 ragazzi che già da quest’anno hanno iniziato il lavoro in un oliveta di 700 olivi data in comodato alla Rete sociale Fòrimercato, in pochi mesi siamo riusciti a raggiungere questo importante traguardo, ma le possibilità aumentano giorno dopo giorno con richieste della nostra manodopera e nuove concessioni.

Come associazione non ci siamo limitati a formare dei produttori agricoli ma abbiamo formato anche dei trasformatori, vale a dire cuochi che cucinano toscano, recuperando antiche ricette tradizionali e antichi ingredienti.

Sottolineiamo e rivendichiamo che tutto questo è stato realizzato senza spese per lo Stato ma solo con la volontà dei nostri soci nella forma di volontariato puro e con iniziative di raccolta fondi.

Oggi i ragazzi stanno cercando di darsi una loro struttura cooperativa ma hanno bisogno di macchine agricole e strumenti adeguati per lavorare, hanno bisogno di sostenersi almeno fino a che i terreni non saranno davvero produttivi, per questo invitiamo tutte le persone interessate a sostenere socialmente ed economicamente questa iniziativa, partecipando al lavoro giornaliero di crescita di professionalità e di spirito di gruppo, mettendo le proprie idee, il proprio tempo ed immaginando forme di autofinanziamento dal basso.