«le battaglie si devono fare e si possono vincere»

Rocca di San Silvestro, 4 agosto: l’intervento di Settis


Più di 10 anni sono passati da quel 30 marzo 2007 in cui Riccardo Francovich è tragicamente scomparso. Celebrarlo qui alla Rocca di San Silvestro, che può esser considerato il culmine e il simbolo del suo apostolato per l’archeologia medievale in Italia, è stata una bellissima idea, e ringrazio Silvia Guideri che ha voluto che io ne fossi parte. Riccardo è stato per me e Michela amico fraterno, ma non vorrei qui parlare di sentimenti personali, gelosa memoria interiore; ma di lui come studioso e come protagonista di una battaglia, ancora da vincere, per la tutela dei siti archeologici e del paesaggio circostante.

Prima di lui, l’archeologia medievale aveva in Italia poca cittadinanza. Forse perché sopraffatti dal peso dell’antichità classica, sia l’accademia italiana che gli organismi della tutela hanno a lungo stentato ad associare le metodologie archeologiche alla conoscenza del Medio Evo. Intanto, in altri Paesi, l’archeologia medioevale conquistava terreno, e lentamente penetrava in Italia. D’importazione tedesca fu da noi la Bauforschung, quasi “archeologia in verticale” puntata sull’analisi delle modalità e delle fasi costruttive dell’elevato; d’importazione inglese (e in parte francese) l’archeologia medievale di scavo, in siti abbandonati o in ambito urbano.

E’ su questo fronte che Francovich s’impegnò intensamente, col rigore di chi vuol comprendere e la passione di chi vuol convincere. A partire dagli anni Sessanta del Novecento s’impiantavano grazie a Gian Piero Bognetti i cantieri di Castelseprio e quelli di Torcello, decollavano le ricerche di archeologia longobarda, cresceva la presenza medievale nelle indagini di archeologia urbana (per esempio a Brescia e a Verona). Nelle università, l’archeologia medievale comiciò a farsi strada nello stesso periodo, collegandosi all’inizio più ai dipartimenti di storia che a quelli di altre archeologie, e principiarono insegnamenti e cattedre (Francovich ne fu incaricato a Siena dal 1975, ordinario dal 1986); solo negli anni Ottanta ispettori medievisti si aggiunsero ai classicisti e ai preistorici nelle Soprintendenze. Nasceva intanto nel 1974 la rivista Archeologia medievale , fondata proprio da Francovich e luogo d’incontro di tutta la miglior ricerca italiana (per esempio, e sin dal primo volume, Tiziano Mannoni). Insomma, l’archeologia medievale si affermava e si radicava non solo come pratica, ma come disciplina.

Per quanto strano possa oggi apparire, l’archeologia medievale fu allora una disciplina di frontiera, che dovette combattere per farsi spazio non solo nelle università, ma nella tutela. In imprese di archeologia urbana come quelle nel centro di Firenze o di Roma, gli strati medievali continuarono ad apparire a molti come “secondari” rispetto a quelli di età classica, e perciò degni di minor tutela: mentre Francovich ne rivendicava il pari valore di testimonianza, le eguali necessità di conservazione.

E’ su questo terreno, letteralmente e metaforicamente “sul campo”, che Francovich elaborò la sua concezione della tutela dei siti archeologici come profondamente integrata a quella dei paesaggi circostanti, e comprese, lucidamente come pochi altri, che alle imprese di scavo doveva subito accompagnarsi un alto impegno nella comunicazione dei risultati non solo ai colleghi ma ai cittadini tutti, e una nuova strategia di gestione dei siti. L’archeologo che scava e poi abbandona il sito al proprio destino non entrava nell’orizzonte etico e politico di Francovich. Esempio massimo è la Rocca di San Silvestro: dopo aver riportato alla luce l’intero villaggio in oltre dieci anni di scavi esemplari, egli seppe tradurre le sue indagini in un parco archeologico, integrato a quelli della Val di Cornia.

Si congiungevano, in quell’impresa, tutte le anime di Francovich: quella dello studioso e dell’organizzatore di cultura, quella del cittadino che avverte il significato politico della tutela del paesaggio, quella del professionista che vuol promuovere la sperimentazione di nuove forme di gestione, come la Parchi Val di Cornia.

Ma Riccardo non amerebbe esser ricordato solo con affetto, solo con nostalgia, solo come un pioniere che vince le sue battaglie. Il rispetto che a lui dobbiamo impone di ricordarne anche le sconfitte, le preoccupazioni, il dolore che lo accompagnò negli ultimi anni. Ho ritrovato per questa occasione la corrispondenza che ho avuto con lui nel mese di febbraio 2007, fino a poche settimane dalla sua morte. Sono cinque lettere, tutte con allegati, di cui darò ora a Silvia Guideri il testo, perché venga conservato nel contesto di questo Parco di San Silvestro. Di queste lettere, quattro riguardano San Silvestro (il luogo dove siamo), una riguarda Fiesole (il luogo dove Riccardo sarebbe morto). Ne leggerò solo qualche passo:

4 febbraio 2007

mi faccio vivo per segnalarti una situazione particolarmente incresciosa che investe il parco di San Silvestro, che tu hai visitato ai suoi esordi e  hai rivisitato anche in questi ultimi mesi, e soprattutto perché sono sicuro che i problemi di conservazione del patrimonio ti fanno superare le possibili residue conseguenze del tuo “dolore” provocato dalla mia cocciutaggine [riferimento a nostra corrispondenza del 2005 a proposito di Italia SpA, anch’essa compresa nella cartella]. Un’occasione , per me triste, ma che colgo anche per risentirti e salutarti con affetto 

           tuo Riccardo   

P.S: nella foto San Silvestro sta fra la collina coperta di vegetazione imbiancata e la cava

 7 febbraio 2007

Ti invio altri documenti e la carta dei vincoli archeologici dell’area di San Silvestro (estratti dai vincoli on line della Regione Toscana), che non vengono rispettati, mentre mancano i confini dell’area protetta e il sic (sito di interesse botanico), collocato anche esso sulla vetta del Monte Calvi (quello della cava). Credo che si tratti di un caso che non ha confronti in tutta l’Europa.

ALLEGATI : articolo La Nazione 6.02.07, articolo Tirreno 6.2.07 (+ altro, su Rimigliano),  articolo Repubblica 6.2.07.

tutti per protestare contro il mancato ripristino ambientale nelle cave.

 15 febbraio 2007

Purtroppo credo che sarebbe stata sufficiente l’attenzione delle strutture di tutela per evitare i danni arrecati e quelli che si vanno a produrre nella Val di Cornia. Non vi è dubbio quindi che, se per realizzare imprese significative in scala territoriale, i governi locali sono determinanti, è altrettanto vero che per conservarli è assolutamente necessario disporre di strutture di controllo lontane dagli affari locali e capaci di un giudizio terzo e inappellabile (quello che io chiamo controllo forte dello Stato, che potrebbe essere esercitato da una Autorità indipendente). Oggi abbiamo comuni in fase di rapido “declino” progettuale e gestionale (anche in Toscana) e  strutture di tutela concentrate alla conduzione di tartufistiche ricerche e, invece,  disattente alla costruzione delle cartografie regionali e sub regionali e ai processi di trasformazione paesaggistici.  Per questo mi ritrovo fra l’altro a battagliare anche per Fiesole, dove il comune, con l’avvallo delle sovrintendenze, sta trasformando l’immenso deposito archeologico del centro interno alle mura in aree fabbricabili (era giunto fino a noi in condizioni discrete).

Scusa lo sfogo, ma come puoi immaginare sono un po’ teso, anche se sicuro che le battaglie si devono fare e si possono vincere,

tuo con affetto Riccardo  

Allegato : Appello Italia Nostra Nazionale per la Parchi Val di Cornia

23 febbraio 2007 

Ti invio un pezzo (di prossima pubblicazione sulla stampa locale) di Zucconi, Presidente della Val di Cornia Spa, che sta conducendo una dura battaglia per tentare di mantenere i governi locali dell’area su posizioni di impegno a difesa del patrimonio. Cosa che, come avrai letto dai miei documenti,  appare assolutamente difficile, ma indispensabile per garantire l’assetto di conservazione del “paesaggio” definito nella pianificazione territoriale degli anni 80-90. Come vedrai vi sono riferimenti anche al tuo ultimo intervento su Repubblica: penso che sarebbe davvero utile un incontro sull’argomento con lui e, se ti fa piacere, anche con me. Ma questo sarà facile nel senso che ti potremmo raggiungere o a Campiglia o a Pisa.

[CHIUNQUE può vedere che, in decenni di attività nelle cave di Campiglia non solo si stanno progressivamente distruggendo testimonianze minerarie di rara importanza archeologica, ma non vi è traccia significativa di ripristino ambientale. Se oggi si decantano i risultati dell’attività di cava le cose sono due: o i controlli per il rispetto dei piani di coltivazione non vengono fatti con la dovuta attenzione o quegli stessi piani sono gravemente carenti. Così come gravemente carenti sono i piani e gli strumenti amministrativi che consentono il permanere a Montorsi di una concessione mineraria sostanzialmente immotivata, di fatto funzionale alle attività di cava di Monte Valerio. L’insieme di questi episodi mette in tutta evidenza una palese contraddizione: lo stesso Comune che, con il sistema dei parchi, ha saputo concepire dal basso un importante progetto di tutela e valorizzazione del patrimonio archeominerario e naturalistico, oggi non sembra in condizione di porre argini all’aggressione speculativa delle cave che distruggono paesaggio e testimonianze storiche».]

 

E’ triste concludere ricordando che  quell’appuntamento con Riccardo lo avevamo poi preso, fra Piombino e Campiglia, fissandolo a pochi giorni dopo quel 30 marzo in cui Riccardo ci ha lasciato.

Che cosa direbbe Riccardo se tornasse oggi tra noi, qui a Rocca San Silvestro? Sarebbe contento di sapere che è in vista, su finanziamento della Regione Toscana, la “Via Etrusca” da Volterra a Piombino, un itinerario di mobilità lenta che rientra nel cosiddetto piano di “Eccellenza in Etruria”; ma non sarebbe contento di sapere che in questo percorso si apre a quel che pare un “buco”, e proprio a San Silvestro, perché in quest’area la viabilità è gravata dall’interferenza delle attività di estrazione e movimentazione delle Cave di Campiglia.

Riccardo sarebbe contento di vederci qui a parlare di lui; ma sarebbe altrettanto contento della persistenza della cava nell’area del parco? Che cosa direbbe degli esiti della “dura battaglia” di Massimo Zucconi di cui parlava nella sua ultima email? Che cosa farebbe e direbbe, se fosse oggi con noi?

Ebbene: per onorarlo davvero oggi, portiamo con noi non il solo ricordo, non un’astratta celebrazione, non l’elogio o il rimpianto : ma portiamo con noi queste domande, questi dubbi, questi punti su cui riflettere, e rispetto a cui agire. Perché (diciamolo con le sue parole) bisogna coltivare dentro di noi la sicurezza che «le battaglie si devono fare e si possono vincere».

One thought on “«le battaglie si devono fare e si possono vincere»

  1. Ricordo quel periodo…Francovich in questa Guerra ci è proprio morto. Raccogliere le armi e proseguirla oltre che un onore è un dovere. Difendere il Territorio da speculatori che adoperano ogni arma, dai roghi a (peggiore) quella ‘legale’ avallata da una politica scellerata e direzionata solo ad un immediato guadagno…
    Bisogna creare dei punti di dialogo e divulgazione. Bisogna fare qualcosa

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