di Maria Pia Guermandi, su Eddyburg, 30 maggio.
Dilagante e per lo più scomposta è stata l’attenzione mediatica riservata, in questi ultimi giorni, alle sentenze con le quali il TAR ha stroncato il fiore all’occhiello della cosiddetta riforma Franceschini, la creazione dei 20+10 supermusei autonomi. Quella riforma si era concentrata, appunto, sui così detti “attrattori turistici”, ovvero sia musei e monumenti ad alta redditività, con provvedimenti di cui ora sta emergendo l’opacità e l’illegittimità amministrativa, oltre che l’approssimazione culturale.Obliterato nelle iniziative del responsabile politico del Mibact, il paesaggio è invece oggetto di attenzione privilegiato di alcuni degli ultimi provvedimenti che si iscrivono nel sempreverde ambito della “semplificazione” amministrativa accoppiato, ora, al nuovo passepartout del “ce lo chiede l’Europa”. Si tratta di decreti e disegni di legge tali, nei loro effetti convergenti, da rappresentare un pericolo gravissimo per la tutela paesaggistica dell’intero territorio nazionale.
Il 26 maggio eddyburg ha pubblicato l’appello contro il ddl Falanga (ALA di Verdini) che costituisce, con il pretestuoso obiettivo della regolamentazione delle demolizioni di immobili abusivi, una sorta di condono edilizio mascherato e, per di più, dilatato sine die, essendo privo di limiti temporali.
Il ddl è costruito in modo da costituire non solo un impedimento de facto alle demolizioni, ma da diventare addirittura un incentivo a nuove costruzioni abusive, reintroducendo una distinzione fra abusivismo di necessità e abusivismo di speculazione che riporta le lancette della storia indietro di almeno mezzo secolo.
Ma la continuità con la politica del ventennio berlusconiano dei due condoni edilizi va ben oltre.
Il recente decreto legislativo (401) di modifica della Valutazione di Impatto Ambientale, ora in fase di approvazione definitiva da parte del Consiglio dei Ministri, rappresenta un tentativo di compressione radicale di questo importantissimo sistema di verifica. Con la nuova VIA, non solo le Grandi Opere, ma ogni genere di infrastruttura godrà così di una sorta di percorso protetto, in quanto alla commissione di valutazione sarà sottoposto non più il progetto definitivo, ma solo quello preventivo, in moltissimi casi profondamente diverso dal precedente. Una cambiale in bianco che, anche in questo caso, ci riporta alle berlusconiane leggi Obiettivo (2001), annullando gli effetti del nuovo Codice degli Appalti che di quelle leggi voleva essere il superamento.
Circa un anno fa stesso destino era toccato alle Soprintendenze, i cui poteri di autorizzazione paesaggistica sono stati profondamente modificati – al ribasso – nei tempi e nelle modalità, dapprima con lo SbloccaItalia e poi soprattutto attraverso la nuova disciplina delle conferenze di servizio sancita dalla legge Madia.
Nel frattempo la Camera sta discutendo la pessima riforma della legge quadro 394/91, quella sui Parchi. Il ddl Caleo rappresenta, nell’attuale versione, lo stravolgimento della filosofia di conservazione delle aree protette, quella che aveva aperto – fra gli anni ‘80 e ‘90 del secolo scorso – una stagione di indubitabili progressi nella difesa dei beni naturali.
E infine, il 6 aprile scorso è entrato in vigore – tramite decreto (DPR 31/2017) – il nuovo regolamento che riduce ulteriormente l’ambito di applicazione dell’autorizzazione paesaggistica per gli interventi di “lieve entità” (fra i quali parcheggi, dehors, aperture di finestre, verande, impianti di microeolico e pannelli solari, e via elencando per oltre 70 tipi di intervento). Anche in questo caso, ci troviamo di fronte alla perfetta continuità con i governi Berlusconi che, non appena emanato il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, nella versione del 2008, anziché incentivare la copianificazione paesaggistica ivi prescritta a Mibact e Regioni sulle aree tutelate, cominciarono ad eroderne l’impianto soprattutto attraverso le limitazioni alla autorizzazione paesaggistica.
Anche da questo sommario elenco risulta evidente come esista una ratio comune che ispira i provvedimenti nel loro insieme: lo smantellamento progressivo del sistema di controlli e monitoraggi sul territorio, ad ogni livello. Processo che implica, inevitabilmente, un ribaltamento delle garanzie costituzionali: come noto, Corte Costituzionale e Consiglio di Stato hanno ribadito in innumerevoli sentenze come la tutela del paesaggio sia un interesse sovraordinato ad ogni altro, e addirittura “incompatibile con ogni forma di attenuazione determinata dal bilanciamento o dalla comparazione con altri interessi, ancorché pubblici” (CdS, sentenza n. 3652/15, con riferimenti a giurisprudenza precedente).
In questa vicenda, chiara è la responsabilità del Mibact che, oltre a concentrare le risorse solo sui grandi attrattori turistici, ha sistematicamente mancato, rispetto ai provvedimenti sopra richiamati, di esercitare il benché minimo controllo e difesa delle prerogative ministeriali, di fatto concedendo un via libera incondizionato anche a rivolgimenti istituzionali sostanziali, come l’incardinamento delle Soprintendenze coordinate, ai sensi della Madia, dai prefetti.
Vi è però un aspetto che, nell’attuale fase ministeriale, lega fra di loro valorizzazione e tutela, ed è l’invadenza della politica a scapito della competenza tecnica: come nella scelta dei direttori dei Musei o dei Parchi nazionali, così per quanto riguarda le decisioni ultime delle conferenze dei servizi, quest’ultima stagione politica proclama a piena voce una volontà di affermazione autoreferenziale che si dimostra insofferente di ogni limite e contrappeso.
Il rischio non è più solo sul piano della tutela del patrimonio e del paesaggio, ma su quello delle regole democratiche.