nel paese delle «cento città»
di Alberto Ziparo, il manifesto, 16 febbraio 2017
Le città italiane oggi mostrano chiari i lasciti delle incerte e contraddittorie politiche economiche ed urbanistiche del recente passato: dai tentativi di sviluppo metropolitano alla finanziarizzazione dei valori urbani. Nell’ambito di dinamiche comuni che vanno delle lacerazioni di tessuti urbani e sociali alla problematica scelta di estetiche architettoniche, al degrado ambientale dovuto al consumo del suolo e a operazioni «anomale», ricadute locali di interessi globalizzati. È quanto Ilaria Agostini e Piero Bevilacqua ci raccontano nel volume Viaggio in Italia. Le città nel trentennio neo-liberista, manifestolibri, pp.160; con il contributo di molti altri studiosi (da Alberto Magnaghi a Paolo Berdini, da Franco Arminio a Tonino Perna e molti altri). Si ripercorrono le forme odierne delle «cento città» italiane, osservandole pure «secondo competenze disciplinari e prospettive diverse».
IL TESTO RICHIAMA complessivamente le ultime fasi di quello che già negli anni trenta Walter Benjamin prefigurava esiti del «capitalismo estetico»; certo in versione italiana, con il progressivo snaturamento dei centri storici, il declino della città industriale e l’avvento delle opzioni sempre più legate al terziario commerciale e turistico; fino all’odierno shift dall’economia alla finanza e al «post-metropolitano» emergere vasti brani di junkspace, esito urbanistico dell’ incrocio tra rendita finanziaria e immobiliare.
«A partire dalla metà degli anni Ottanta le città italiane subiscono profonde trasformazioni, fisiche, sociali e politiche – si legge in presentazione – La deindustrializzazione, la privatizzazione dei servizi, la mercificazione dei centri storici preda del turismo globale, sono alcune delle forme con cui il capitalismo contemporaneo aggredisce il tessuto urbano e mette in crisi le relazioni della convivenza civile». A questo tentano di contrapporsi miriadi di comitati, associazioni e gruppi di abitanti che agiscono per impedire che le trasformazioni urbanistiche, proposte spesso in nome di malintese esigenze di chissà quali sviluppi, cancellano i valori verticali radicati nei diversi contesti. Supportati raramente dai sindaci, cui pure la riforma aveva attribuito maggiori poteri e possibilità di agire svincolandosi dalle istanze decisionali allargate.
LE RICADUTE LOCALI di interessi speculativi globali» godono di spazi sempre più ampi, anche per la progressiva restrizione di welfare e spesa pubblica. «La combinazione tra l’urbanistica contrattata, il dilagante ricorso alla deroga, i tagli dei trasferimenti statali alle casse comunali e, a partire dal 2001, il travaso degli oneri di edificazioni nelle opere ordinarie dei comuni, ha notevolmente aggravato la situazione. Pressoché tutte e in diversa misura, le città italiane sono state oggetto di uno smisurato processo di edificazione, di occupazione e cementificazione dei suoli, che ha spesso reso informe la precedente imago urbis, la vecchia fisionomia storica, quando non l’ha letteralmente sfigurata».
Così sotto la pressione di traffico e penetrazione crescente di turismo e commercio e quindi di «trasformazioni urbane altamente redditizie» per i proponenti (a scapito delle comunità locali) la città ha perso funzioni essenziali: spazi pubblici e collettivi, beni comuni, verde, qualità ecologica e paesaggistica. Ovvero secondo Piero Bevilacqua ciò che la rendeva «ecosistema urbano».
La rassegna di casi presentati è ampia; come prestigiosi sono gli studiosi, urbanisti, sociologi, geografi, storici e economisti urbani, che hanno lavorato al rapporto.
NEI SINGOLI CASI studiati emergono tuttavia tipologie comuni alle differenti interventi urbanistici. Per esempio, l’inserimento di grandi grattacieli, icone del nuovo e pervasivo potere finanziario, nelle città ad armatura metropolitana (Milano, Torino). Che richiamano però labigness delle ville dei capomafia delle città del sud. C’è poi la pressione turistica e commerciale nelle città d’arte. Soprattutto a Firenze, dove le amministrazioni renziane hanno anticipato la svendita di importanti strutture urbane alla grande finanza, proposta oggi a livello nazionale.
Significativa è l’analisi sulla «progressiva cessione» di Roma a speculatori e palazzinari fino a Mafia Capitale. Al sud, infine, prevalgono i sensi dell’abbandono, anche di politiche virtuose per le città; e nonostante patti e accordi.