di TOMASO MONTANARI, 3 dicembre 2015, La Repubblica, blog “Articolo 9”, 3 dicembre 2015.
«Agnosco stylum Romanae Curiae» («riconosco lo stile della Curia Romana») mormorò Paolo Sarpi quando sentì lo stiletto, cioè il pugnale, del sicario del papa entrargli nella carne viva.
Anche lo stile del Governo Renzi è ormai inconfondibile: è quello degli ottanta euro, dei cinquecento posti al Mibact, dei bonus da cinquecento euro per i diciottenni. Il bancomat al posto di un progetto, lo stimolo elettrico all’esistente invece di un qualunque tentativo di cambiarlo, di evolvere, di costruire il futuro.
I cinquecento tecnici che (dal primo gennaio 2017) saranno assunti al Mibact sono in sé un’ottima notizia. Una delle poche cose buone ottenute dal ministro Dario Franceschini: che ieri – per non dire che l’ultima – ha pensato bene di fare una pubblica genuflessione al Ponte sullo Stretto voluto dal Capo. La politica al tempo della società di corte.
Ma quei benedetti cinquecento posti sono come un’aspirina data a un moribondo: sono meno della metà di quelli che saranno lasciati scoperti per pensionamenti solo da ora al 2017. E dentro al Mibact non c’è più nessuno, da anni.
In più, essendo appunto un’una tantum, su questo bando si stanno addensando desideri, aspettative, demagogie di ogni tipo. L’episodio più clamoroso è stato il voto parlamentare che ha abbassato i requisiti di accesso fino al livello della laurea triennale: un grave errore. Ma è chiaro che finché si va avanti con misure da ultima spiaggia, non potrà che finire così. L’alternativa è far funzionare la normalità, riavviare il turn over, riallinearci a ciò che succede negli altri paesi europei.
Gli altri cinquecento (questa volta sono gli euro per i diciottenni: la cabala renziana conosce solo cifre tonde) non sono solo ingiusti (perché senza alcuna relazione col reddito di chi li riceverà), sono anche sbagliati. Perché è sacrosanto dire che il terrore si batte con la cultura, ma il punto è capire cos’è la cultura. Lo ha detto benissimo papa Francesco, in Africa: ci vogliono lavoro ed educazione. Ecco il punto: l’educazione. Che letteralmente vuol dire tirare fuori ciò che è dentro di noi: la nostra umanità, innanzitutto.
La nostra spesa per l’istruzione è poco superiore alla metà della media Ocse. Le nostre scuole e le nostre università sono alla fame. Se il governo vuol davvero coltivare la nostra civiltà, vuol farci rimanere umani, la via maestra è finanziare la scuola e la ricerca. Poi finanziare la produzione (e non il consumo) culturale.
Rimettere in piedi davvero il bilancio del patrimonio culturale, dimezzato nel 2008. E poi aprire a tutti quel patrimonio: con i soldi necessari a finanziare i bonus per i diciottenni si aprono gratis, a tutti, i musei statali italiani per tre anni e mezzo.
Non abbiamo bisogno dell’intrattenimento di Stato, non abbiamo bisogno di diventare ancor più consumatori, clienti, spettatori: abbiamo invece un disperato bisogno di diventare cittadini, di avere strumenti per esercitare il senso critico.
Abbiamo bisogno di conoscenza, di storia, di lucidità: perché è cultura quella che «permette di distinguere tra bene e male, di giudicare chi ci governa. La cultura salva» (Claudio Abbado).