di Rossano Pazzagli, su La città invisibile, 29 ottobre.
In Toscana i Comuni sono stati a lungo la base di una tradizione di buongoverno. Da Ambrogio Lorenzetti a oggi essi hanno rappresentato il livello primario della democrazia, del senso civico e della partecipazione. Da qui l’organizzazione comunale del territorio si è diffusa nel corso dei secoli in Italia e in Europa. La proposta del PD di ridurne drasticamente il numero tramite processi di fusione è antistorica e antidemocratica.
E collocherebbe la nostra regione in una posizione di retroguardia anche rispetto all’art. 5 della Costituzione che tutela e promuove le autonomie locali. Dietro la chimera del risparmio (ma l’esperienza dimostra che i comuni più grandi sono più costosi dei piccoli) sembra nascondersi in realtà una preoccupazione tutta politica di chi si è accorto che il PD sta perdendo diversi Comuni, quindi cerca di ridurne il numero per controllarli meglio.
Un’operazione di partito e di potere, che dimentica l’interesse dei cittadini e dei territori, come già aveva sottolineato la Società dei Territorialisti con un appello firmato da numerosi intellettuali italiani.
Questa sortita del PD è anche un modo per nascondere che i problemi veri della politica italiana stanno soprattutto al centro dello Stato e delle Regioni, non nei territori e nei comuni più piccoli.
I comuni più piccoli sono in difficoltà? Ebbene, aiutiamoli a vivere, non a morire. Non possono essere le Regioni o lo Stato ad incentivare la loro cancellazione: quei soldi risolverebbero forse qualche problema subito, ma farebbero danno per sempre.
In una fase storica come quella attuale, caratterizzata dall’allontanamento delle scelte dai luoghi di vita e dalla prevalenza dei poteri economico-finanziari sulle modalità democratiche di governance, i Comuni devono essere considerati ancor più come la struttura di base dello Stato, l’ossatura viva della democrazia.
La strategia della fusione si addice ancora meno alla Toscana, che tra le grandi regioni italiane è quella con il minor numero di comuni (280 contro i 1500 della Lombardia, 1200 del Piemonte, 581 del Veneto) e quella nella quale la popolazione media per municipio è tra le più alte d’Italia: 13.200 abitanti per comune, il doppio della Lombardia, il triplo dell’Abruzzo o della Calabria.
Smantellare i Comuni e privare le realtà locali delle istituzioni di maggiore prossimità agli abitanti sarebbe una grave ferita per la democrazia e contrasterebbe con la necessità di rilancio economico e sociale del territorio e delle aree interne. Le convenzioni, le unioni intercomunali, i consorzi, sono tutti strumenti previsti dalla normativa per adottare forme di sovracomunalità.
Invece di pensare alle costose fusioni, che alimenterebbero le forme più deteriori di campanilismo, si punti a politiche di sostegno ai territori, ai servizi e alle funzioni associati, alla pianificazione intercomunale, secondo una logica che coniughi autonomia e cooperazione, evitando la cancellazione dei capoluoghi comunali e salvaguardando il patrimonio di cultura, di valori economici, di bellezza e di democrazia contenuto nei loro territori.
*Rossano Pazzagli, docente di Storia moderna, fa parte della Società dei Territorialisti