di Paolo Baldeschi, su Eddyburg, 26 gennaio.
La nomina da parte di Luigi Di Maio di Lino Banfi (si pronuncia benfi) come membro della Commissione italiana dell’Unesco ha sollevato qualche perplessità o, addirittura, contrarietà dai soliti intellettuali rosiconi della (ex) sinistra, che magari avrebbero voluto qualcuno competente in materia: che ne so, un Salvatore Settis o un Tomaso Montanari; o uno dei tanti laureati in materie come architettura, archeologia, storia dell’arte. Qualcuno potrebbe dubitare che lo spessore culturale dei film interpretati dall’attore, come “l’allenatore nel pallone 1 e 2”, “al bar dello sport”, “la dottoressa ci sta col colonnello”, sia un viatico sufficiente per un incarico così delicato.
Ritengo, invece che Banfi sia l’uomo giusto al posto giusto, fondamentalmente per due motivi.
Il primo è che sta dilagando la moda di candidare e consacrare come patrimonio intangibile dell’umanità, piatti o addirittura vere e proprie cucine, ad esempio, quella francese e messicana. Tra i piatti, oltre il Keskek turco, il Kimchi della Corea del Sud e la Birra belga, anche la Pizza. Già ci immaginiamo i severi commissari dell’Unesco in giro per le pizzerie di tutto il mondo a controllare che la mozzarella sia di bufala, l’impasto ben lievitato, il forno a legna debitamente riscaldato; un lavoro di titanica capillarità che ci eviterà di mangiare (anche in Italia), pizze con formaggio truciolato e base precotta, per non parlare degli altri paesi… una bella soddisfazione. Inoltre quale migliore testimonial di Banfi per la candidatura delle orecchiette con cima di rape, importante passo per il riscatto del Sud dal secolare abbandono.
Il secondo motivo è che Banfi non può fare di peggio di quanto hanno fatto finora i commissari – italiani e non – che frequentano le commissioni Unesco e che, talvolta, scendono in piacevoli missioni per controllare lo stato dei beni tutelati. La costiera amalfitana, che dopo la consacrazione Unesco ha visto un vero e proprio boom di abusi edilizi. L’area archeologica di Agrigento dove le costruzioni illecite che circondano i templi sono in gran parte in attesa di demolizione (nonostante che l’amministrazione abbia stanziato nel 2017 ben 30.000 euro a tale scopo). Venezia e la laguna assediate dalle grandi navi da crociera e violentate dal Mose. Firenze, minacciata dal sottoattraversamento Tav e da un aeroporto incastrato tra autostrada e Università, prossimo alle ville medicee, anch’esse patrimonio dell’umanità. E Roma, caput mundi, dove Mac Donald si è insediato nei luoghi più centrali e simbolici, Roma assediata dal traffico e dalla spazzatura, stravolta da un turismo mordi e fuggi. E chiudiamo qui per carità di patria l’elenco dei disastri italiani, che al più hanno meritato una benevola tiratina di orecchi da parte dei commissari dell’Unesco.
Ciò che gli esperti dell’Unesco sembrano non capire è che i centri storici non sono avulsi dal loro contesto degradato e che la loro salvaguardia deve necessariamente partire da una riqualificazione delle periferie; che le città non sono fatte soltanto di edifici, di strade e di piazze, ma anche e soprattutto di un tessuto sociale che i provvedimenti di tutela non prendono in alcuna considerazione. Fuggiti i cittadini, fagocitate le abitazioni dagli affitti turistici e dai B&B, i centri antichi sono ridotti a scheletri mercificati, privi di vita propria: Esemplare di questa politica, il Sindaco Dario Nardella, che, da vero piazzista, offre nelle fiere immobiliari il patrimonio edilizio fiorentino più pregiato – palazzi e i complessi storici – a prezzi scontati e con varianti à la carte incorporate.
Ritornando a Lino Banfi, siamo sicuri che quando terrà i suoi discorsi, magari in inglese, a difesa dell’eredità mondiale del nostro paese, avrà un buon successo di pubblico e terrà in alto il nome dell’Italia; farà ridere con la sua comicità, volgare sì, ma in fin dei conti bonaria. Non come quella tragica e feroce dei nostri governanti.