Da Sbilanciamoci, 27 settembre 2018
Una grande conferenza, definita a dir poco «storica», il 18 e 19 settembre scorsi ha riunito a Bruxelles economisti, scienziati, attivisti e rappresentanti di cinque diversi gruppi politici del Parlamento europeo al capezzale di una economia europea che, per come viene vista e interpretata, non riesce né a riprendersi né a garantire benessere alle società. Con l’obiettivo di imparare a ripensarla come una «economia post crescita», che poi era anche il titolo dell’appuntamento seminariale 2018.
Lo scenario dunque non più propriamente quello della decrescita, più o meno felice, secondo le indicazioni pionieristiche di Pierre Latouche, che evidentemente non consentivano la necessaria chiarezza e condivisione e andavano aggiornate, ma quello di un superamento del paradigma prescrittivo della crescita ad ogni costo, del credo produttivista, dell’autocrazia del PIL.
Negli ultimi sette decenni – scrive il testo della lettera-appello che convocava la conferenza, dal titolo Europa, è il momento di porre fine alla dipendenza dalla crescita, che traduciamo di seguito – la crescita del PIL si è rivelata l’obiettivo economico primario delle nazioni europee. Ma, con la crescita delle nostre economie, è aumentato anche il nostro impatto negativo sull’ambiente. Ora stiamo superando lo spazio operativo sicuro per l’umanità su questo pianeta e non vi è alcun segnale che l’attività economica sia sufficientemente dissociata dal consumo delle risorse e dall’inquinamento, con conseguenze che si annunciano devastanti. Oggi risolvere problemi sociali all’interno delle nazioni europee non richiede più crescita. Richiede una più equa ripartizione del reddito e della ricchezza che già abbiamo.
La crescita sta diventando sempre più difficile da raggiungere a causa del calo degli incrementi di produttività, della saturazione del mercato e del degrado ecologico. Se le tendenze attuali continueranno, l’Europa smetterà di crescere entro un decennio. In questo momento la risposta è cercare di alimentare la crescita emettendo più debito, sminuzzando le normative ambientali, prolungando l’orario di lavoro e riducendo le protezioni sociali. Questa ricerca aggressiva della crescita a tutti i costi divide la società, crea instabilità economica e mina la democrazia.
Chi governa l’Europa non è stato disposto ad impegnarsi con questi problemi, almeno non fino ad ora. Il progetto Beyond GDP (Oltre il PIL) della Commissione europea è diventato GDP & Beyond (PIL ed Oltre).
Il mantra ufficiale rimane la crescita – declinata come “sostenibile”, “verde” o “inclusiva” – ma, prima di tutto, crescita. Persino i nuovi obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite includono la ricerca della crescita economica come obiettivo politico per tutti i Paesi, nonostante la contraddizione fondamentale tra crescita e sostenibilità.La buona notizia è che all’interno della società civile e del mondo accademico sia emerso un movimento post-crescita.
Assume nomi diversi in diversi luoghi: décroissance o degrowth, Postwachstum, economia dello stato stazionario o della ciambella, prosperità senza crescita, solo per citarne alcuni.
Dal 2008, periodiche conferenze sulla decrescita hanno riunito migliaia di partecipanti. Una nuova iniziativa globale, la Wellbeing Economies Alliance (WE-All) (Alleanza delle Economie del Benessere), sta costruendo collegamenti tra questi movimenti, mentre una rete di ricerca europea ha sviluppato nuovi “modelli macroeconomici ecologici “. Tale lavoro suggerisce che è possibile migliorare la qualità della vita, ripristinare il mondo vivente, ridurre le disuguaglianze e fornire posti di lavoro dignitosi – il tutto senza la necessità di crescita economica, a condizione che adottiamo politiche per superare la nostra attuale dipendenza dalla crescita.
Alcuni dei cambiamenti proposti includono limiti all’uso delle risorse, tassazione progressiva per arginare l’ondata di crescente disuguaglianza e una graduale riduzione dell’orario di lavoro. L’utilizzo delle risorse potrebbe essere frenato introducendo una carbon tax e le entrate potrebbero essere distribuite come dividendo per tutti o utilizzate per finanziare i programmi sociali. Introdurre un reddito sia minimo che massimo ridurrebbe ulteriormente la disuguaglianza, contribuendo nel contempo a ridistribuire il lavoro di cura e ridurre gli squilibri di potere che minano la democrazia. Le nuove tecnologie potrebbero essere utilizzate per ridurre il tempo di lavoro e migliorare la qualità della vita, invece di essere utilizzate per licenziare masse di lavoratori e aumentare i profitti dei pochi privilegiati.
Dati i rischi in gioco, sarebbe irresponsabile per i politici e i decisori non esplorare le possibilità di un futuro post-crescita. La conferenza che si sta svolgendo a Bruxelles è un inizio promettente, ma sono necessari impegni molto più forti.
Come gruppo di scienziati sociali e naturali interessati, che rappresentano tutte le 28 nazioni dell’UE, chiediamo all’Unione europea, alle sue istituzioni e agli Stati membri di:
1. Costituire una commissione speciale sui futuri post-crescita nel Parlamento dell’UE. Questa commissione dovrebbe discutere attivamente il futuro della crescita, ideare alternative politiche per i futuri successivi alla crescita e riconsiderare il perseguimento della crescita come obiettivo politico generale.
2. Incorporare indicatori alternativi nel quadro macroeconomico dell’UE e dei suoi Stati membri Le politiche economiche dovrebbero essere valutate in termini del loro impatto sul benessere umano, l’uso delle risorse, la disuguaglianza e la disponibilità di lavoro dignitoso. Questi indicatori dovrebbero avere una priorità più alta del PIL nel processo decisionale.
3. Trasformare il patto di stabilità e crescita (PSC) in un patto di stabilità e benessere. Il PSC è un insieme di regole volte a limitare i disavanzi pubblici e il debito pubblico. Dovrebbe essere rivisto per garantire che gli Stati membri soddisfino i bisogni fondamentali dei loro cittadini, riducendo al contempo l’uso delle risorse e le emissioni di rifiuti a un livello sostenibile.
4. Istituire un Ministero per la transizione economica in ogni stato membro. Una nuova economia che si concentri direttamente sul benessere umano ed ecologico potrebbe offrire un futuro molto migliore di quello che è strutturalmente dipendente dalla crescita economica.
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