di Salvatore Settis, Il fatto quotidiano, 25 agosto.
La divinità spietata che regge i destini d’Italia esige sacrifìci umani per destare le coscienze. Basteranno i 43 morti di Genova? Dolorosamente. temo di no. Da decenni disastri d’ogni sorta devastano quello che fu il Bel Paese, innescando una liturgia sempre uguale. La sequenza è: Soccorso (spesso eccellente); Compianto e Indignazione (sinceri); Denuncia del Colpevole (e qui cominciano i disaccordi); Promessa di Pronta Punizione; Accuse Reciproche (che confondono le acque); Buoni Propositi; e infine Oblio (fino al prossimo disastro). Con poche varianti, il rituale si ripete tal quale per i disastri naturali (frana di Giampilieri presso Messina 2009: 43 morti), gli incidenti ferroviari (Viareggio 2009: 32 morti), gli incidenti stradali (Avellino 2013: 40 morti). Via via che tali sciagure accadono, ne parliamo una alla volta, come se ciascuna fosse un evento isolato dovuto ai capricci di un fato crudele. E come mai, allora, dal 1966 al 2015 i soli eventi di dissesto hanno causato 1.947 morti, 2.534 feriti e 412.087 evacuati e senza tetto (dati CNR-IRPI)?
L’Italia è il paese più fragile d’Europa, con 620.808 aree franose che coprono il 7.9% del territorio nazionale (23.700 kmq). Il 16.6%del territorio (50.000 kmq) è a rischio idrogeologico (dati Ispra). Per non parlare del rischio sismico (44% del territorio). 550.000 edifici sono in aree a pericolosità molto elevata (tra essi, 38.000 beni culturali). Questo è il contesto in cui vanno letti altri fatti; le grandi opere talvolta (non sempre) inutili, l’enorme numero di edifici pubblici e privati in rovina, le opere pubbliche spesso lasciate a metà, come denuncia un bel libro recente (Incompiuto. La nascita di uno stile. Alterazioni Video / Fosbury Architecture). I ponti costruiti sopra le case, i viadotti che crollano, i guard-rail di carta, treni e binari con scarsa manutenzione sono aspetti di uno stesso problema di fondo. A fronte di questa tragedia nazionale, da decenni non si fa che tagliare gli investimenti, ridurre personale e manutenzione, chiudere gli occhi per non vedere. Manca perfino una carta geologica d’Italia, e usiamo ancora quella di Quintino Sella al 100.000 (1862), mentre la nuova carta al 50.000 è stata affossata dai nostri governi dopo aver coperto il 40% del territorio. Gli investimenti per la messa in sicurezza del territorio sono stati ridotti del 50%, e continua il dissennato consumo di suolo, che il rapporto Ispra dello sconto luglio valuta in 23.062 kmq a fine 2017 (il 7.75% del territorio, a fronte del 2.9%dellamedia europea). 15 ettari al giorno consumati nel 2017. “due mq. di suolo persi irrevocabilmente ogni secondo”. Eppure i disegni di legge per il contenimento del consumo di suolo (il migliore era firmato De Rosa e Zaccagnini del M5S) si sono trascinati per la scorsa legislatura senza esito.
Di fronte al martirio di Genova è giusto chiedersi di chi è la colpa. Ma gli accertamenti tecnici comportano tempi lunghissimi; e intanto c’è chi fa leva sull’accaduto per rilanciare non solo la Gronda (nulla assicura che avrebbe evitato il disastro), ma ogni possibile opera pubblica. Tav o altro, a prescindere. E la singoiar tenzone fra governo e concessionario assorbe tutta la nostra attenzione, con il corollario di un apparente rilancio fra Autostrade (che “offre” 500 milioni) e governo (che “pretende” 2 miliardi). Come se tutto il resto, in questo dissestato Paese, stesse andando a gonfie vele. Come se tutto si potesse risolvere riportando le autostrade in capo allo Stato (dicono alcuni), o lasciandole ai concessionari (dicono altri). Ma questo scontro frontale distrae da quello che è il cuore del problema. Certo, è inaccettabile che parti del contratto di concessione siano state secretate, né è chiaro perché mai tale accordo preveda che il concessionario, anche se messo alla porta per inadempienza, debba poi incassare indennizzi altissimi. E si finirà col sapere (forse) se il ponte Morandi andasse costruito proprio lì e proprio cosi; o dove ha mancato Autostrade nella prevenzione e nella manutenzione; o in che cosa ha mancato il Ministero, che non doveva certo aspettare il crollo per sorvegliare e punire.
Ma un attimo di riflessione gioverebbe a tutti. Il 9 marzo 2017 crollava un cavalcavia autostradale presso Ancona (due morti, due feriti), il 28 ottobre 2016 collassava un cavalcavia Anas presso Lecco (un morto, 4 feriti); e sarebbe facile elencare crolli di ponti (per non dir altro) in tratti stradali gestiti sia da enti pubblici che da concessionari privati. Tanto è vero che il Codacons ha appena stilato una lista di 300 ponti a rischio in tutta Italia. È vero, per tutti i servizi pubblici dobbiamo chiederci se e con quali regole vadano dati in concessione. Ma qui c’è un problema ancor più grande: i servizi pubblici in Italia, che siano in regime pubblico o privato, non vengono curati come e quanto si dovrebbe. Tagli lineari (cioè alla cieca) hanno diminuito oltre il tollerabile la manutenzione e le riparazioni necessarie; ma ci abbiamo fatto il callo. Tutto, dai binari del treno ai fondi stradali, dai tetti delle scuole alle attrezzature degli ospedali, sopravvive in una situazione sempre più precaria, anche per l’insufficiente turnover degli addetti. Sarebbe poi così strano se, di fronte a uno Stato così carente, lo fosse anche un concessionario? Viviamo, insomma, in una perenne anticamera del disastro. Quando vi siano responsabilità penali, le accerti pure la magistratura coi suoi tempi non certo brevi. Ma la responsabilità morale è di tutti: un Paese che non cura la propria fragilità è votato al suicidio.
Il cosiddetto “contratto di governo” non par la di rete stradale né di ferrovie. Ma promette “interventi diffusi in chiave preventiva di manutenzione ordinaria e straordinaria del suolo, anche come volano di spesa virtuosa e di creazione di lavoro” per “fermare il consumo di suolo, che va completamente eliminato”. Potrebbe essere un buon inizio, tanto più che secondo il rapporto Ance-Cresme di qualche anno fa la mancata manutenzione ci costa 3.5 miliardi di euro l’anno, mentre l’opera di prevenzione impegnerebbe 1.2 miliardi l’anno per vent’anni. Intende dunque il governo Conte rilanciare fa legge contro il consumo di suolo? In che forma? E quando sapremo qualcosa di concreto sul “piano Savona” di investimenti per mettere in sicurezza il territorio nazionale e sulla sua copertura finanziaria? Quale è l’ordine di priorità di tali provvedimenti rispetto alla conclamata riduzione delle tasse o all’ipotizzato reddito di cittadinanza?
Sequesto è davvero “governo del cambiamento”, lo mostri non concentrandosi solo nel braccio di ferro con Autostrade e Benetton, ma allargando lo sguardo ai problemi del Paese e agli investimenti necessari per mettere in sicurezza la vita dei cittadini e rilanciare l’economia. Imparando da Genova per salvare l’Italia.