di Alessia Manzi, il Manifesto, 11 gennaio 2018
Una signora scuote la testa: «Ricordate quando ci chiamavano utopisti? Dicevano che avevamo un’idea troppo ambiziosa», rammenta con un tono di voce fermo e rassicurante. «Ci negano un dialogo, impedendoci di esplorare alternative alla vendita», incalza qualcun altro. E aggiunge: «Non vi sosterrà nessuno, mormoravano. Eppure, eccoci qua!» A parlare sono i cittadini del comitato impegnato da anni a recuperare l’abbandonata tenuta medievale di Mondeggi, su cui oggi la città metropolitana di Firenze vorrebbe indire l’ennesima asta per sanare un bilancio pubblico in rosso. «Rendiamo questo posto di tutti e ci accusano di illegalità», borbotta una ragazza. Illegale: l’ente ritiene così l’esperienza di valorizzazione del bene comune spontaneamente portata avanti dal collettivo a cui negli ultimi mesi si sta tentando di fare terra bruciata in qualunque modo. Non a caso, la scorsa estate l’amministrazione ha vietato all’associazione Il Melograno di tenere i campi estivi presso lo spazio, e nega al chiosco dei Giardini della Resistenza di pubblicizzare gli eventi legati alla tenuta. «Ma noi non ci fermiamo», conclude un anziano.
COME SIAMO ARRIVATI FIN QUI? Negli anni ’60 la tenuta di Mondeggi è acquisita dalla Provincia di Firenze. Convertita nell’azienda agricola Mondeggi&Lappeggi srl, nel 2009 fallisce per aver contratto un debito pubblico pari a un milione e mezzo di euro. Nel 2011, il decreto Salva Italia del governo Monti, all’art. 66, segue la stessa logica: alienare il demanio agricolo destinando il ricavato alle casse dello Stato. Nel 2012, sulla scia della campagna Terra Bene Comune promossa da Genuino Clandestino – rete per la sovranità alimentare – allo scopo di rivendicare il libero accesso alla terra, il caso della fattoria è rispolverato da un gruppo di studenti e contadini fiorentini. Incontri, raccolte collettive e un tavolo nazionale sui beni comuni aggregano un numero sempre crescente di persone, strappando la fattoria all’incuria. La grande partecipazione degli abitanti del posto conduce alla stesura del progetto di riappropriazione della tenuta. Una Carta dei principi e degli intenti viene presentato a una città metropolitana indifferente sia all’operato del collettivo che alla mozione del Comune di Bagno a Ripoli, interessato a valutare altre ipotesi rispetto alla vendita della proprietà.
L’ULTIMO WEEK END DI GIUGNO DEL 2014 segna un punto di svolta. Tre giorni di festa e dibattito politico tracciano, per la fattoria, un sentiero lontano dalla compravendita. Ciò che fino a quel momento pareva solo un’utopia, prende finalmente forma. Da quel fine settimana nasce un presidio contadino che, insieme al costante coinvolgimento della popolazione locale, offre stabilità al percorso e si riconosce nella Comunità di Mondeggi. Un laboratorio di autogestione, mutualismo e democrazia diretta si sviluppa all’interno degli spazi riportati in vita, tra una periodica assemblea plenaria e le riunioni agricole. Tra queste c’è il Mo.Ta. (Mondeggi Terreni Autogestiti), un progetto avviato dal comitato fin dall’inizio dell’occupazione e a cui aderiscono 300 «custodi» delle particelle di oliveta e degli orti a loro affidate. Un’iniziativa rilevante per il recupero di 80 dei 180 ettari di terreno su cui si svolgono altri lavori agricoli, come la cura del vigneto da cui si ottiene vino e succo d’uva. In altri poderi della fattoria, la mietitura di antiche varietà di frumento restituisce orzo e grano impiegati nella produzione della birra e del pane a lievitazione naturale, mentre la ricca vegetazione della campagna toscana permette di allevare le api ligustiche, che rendono un miele di ottima qualità. Vicino alle abitazioni, invece, si trovano un frutteto da 400 alberi a varietà frutticole diverse, un orto sinergico e 500 mq dedicati allo zafferano di prima categoria. I terreni, dopo anni di agroindustria, sono adesso coltivati seguendo i canoni dell’agricoltura contadina. Questa tecnica, approfondita nel gratuito scambio delle conoscenze fra esperti e contadini che ogni anno si ritrovano a Mondeggi per la Scuola Contadina, si collega a un’altra disciplina: l’agro-ecologia. Nel rispetto della natura, un importante aspetto è assunto dalla biodiversità; accresciuta dallo scambio di semi presso la Casa delle Sementi e dalla manutenzione di due vivai. Con la lavorazione delle erbe spontanee raccolte nei prati attorno alla tenuta si realizzano saponi, cosmetici, tisane, e alle attività erboristiche si unisce lo studio di discipline distanti dagli interessi delle case farmaceutiche. La distribuzione diretta delle autoproduzioni e degli alimenti avviene in un circuito estraneo alle reti della Grande Distribuzione Organizzata: i mercati contadini di Genuino Clandestino e i gruppi di acquisto solidale, lo Spaccio Popolare Autogestito di Mondeggi e i punti Fuori Mercato. Inoltre, si tengono spesso eventi su temi di attualità, mentre la collaborazione con università italiane e straniere per tesi e dottorati, i laboratori educativi dedicati ai più piccoli, consentono alla masseria di coinvolgere nelle proprie attività anche il mondo dell’istruzione.
«MONDEGGI RAPPRESENTA un esperimento riuscito di gestione di un bene secondo logiche comunitarie, contro l’individualismo dilagante, solidali, contro l’onnivora competizione, autogestionarie» si legge nell’appello diffuso dal mondo accademico perché la città metropolitana non pubblichi il bando di vendita. «Con l’alienazione, all’esperienza migliorativa si sostituirebbe una società finanziaria che rafforzerebbe il fenomeno di gentrificatione e accentramento della proprietà fondiaria» continua ancora il comunicato, con il quale si chiede alle istituzioni di valutare la proposta contenuta nella Dichiarazione per uso civico redatta dalla comunità. La firma di un armistizio avvierebbe, come già accaduto in altre realtà (l’ex Asilo Filangieri a Napoli, il Complesso Montevergini a Palermo), un iter di riconoscimento che permetterebbe al cammino autogestito di poter serenamente proseguire. “Non chiediamo l’appoggio solo di chi condivide i nostri principi ma anche di coloro che credono nell’importanza di strade non omologate», dicono gli attivisti. E un’ultima richiesta va proprio alla collettività, affinché nel dibattito sui beni comuni, dove illegale è chi difende i bisogni dei cittadini e del territorio dalla speculazione, sappia bene da quale parte stare.