di Paolo Baldeschi, su Eddyburg, 20 aprile 2017.
Il decreto legislativo 401, in corso di esame presso la 13ª Commissione “Territorio, ambiente e beni ambientali”, è non solo un colpo micidiale a territorio, ambiente, beni ambientali (e paesaggio), ma una prova generale dell’Italia che potrebbe venire dopo le elezioni politiche. Neanche Berlusconi aveva mai osato tanto, dal momento che limitava la procedura speciale della Valutazione di impatto ambientale alle sole opere dichiarate di interesse nazionale. Ora il Pd, asse portante del partito delle grandi opere, vuole estendere la procedura speciale di Via, quella della legge Obiettivo – condotta non sul progetto definitivo ma su quello preliminare (qui chiamato “progetto di fattibilità” con riferimento al Decreto legislativo 50/2016) – a tutti i progetti che “possono avere impatti ambientali negativi”, cioè a tutte le opere soggette a Via: la specialità diventa normalità. E se non bastasse, se anche il progetto di fattibilità si mostrasse troppo oneroso, il decreto offre la possibilità a proponenti e autorità competente di mettersi d’accordo sul grado di dettaglio da osservare nel progetto.
L’audizione informale della 13ª Commissione ai rappresentanti di Confindustria, dell’Ispra e dell’Ordine degli ingegneri, che può essere ascoltata al link del Senato, elimina ogni dubbio in proposito. Gli ingegneri si congratulano per lo schema di decreto e si limitano a difendere gli interessi professionali degli iscritti all’albo, questi come i soli titolati a entrare negli organi tecnici della Via. I rappresentanti dell’Ispra assumono una posizione più sfumata e trapela nel loro parere la considerazione che le procedure di Via degli ultimi venti anni, approvate mediamente con 40-50 prescrizioni, forse rivelano delle carenze nei progetti; ma comunque si dichiarano (contraddittoriamente) favorevoli al decreto. Le posizioni più rivelatrici sono, tuttavia, quelle dei rappresentanti di Confindustria.
Rivendicato il merito di avere contribuito alla stesura del decreto, gli industriali si lamentano di alcuni difetti inesistenti in una precedente stesura (la loro?). Una prima considerazione è che la procedura Via ha un carattere esclusivamente tecnico-scientifico e quindi dovrebbe essere approvata in sede tecnica e non politica. Vale a dire che non sono necessarie, perché improprie, le eventuali modifiche e le firme dei Ministri dell’Ambiente e dei Beni e delle Attività culturali. Un’osservazione cui, in un’altra Italia e in un altro contesto politico e morale, si potrebbe essere d’accordo, ma che qui appare quasi risibile dal momento che nel decreto i tecnici della Via non sono scelti con un concorso o con una qualsiasi procedura di selezione, ma sono tutti di nomina ministeriale, cioè politica.
La proposta più forte ed eversiva dei confindustriali è, tuttavia, un’altra. Consiste nell’abolizione per decreto del Codice del paesaggio e della pianificazione territoriale. Deve valere, secondo Confindustria il silenzio assenso a proposito delle autorizzazioni riguardanti i beni paesaggistici e la Via non deve essere obbligata, nelle sue conclusioni autorizzative, a ottemperare a eventuali Piani paesaggistici (finora in Italia solo due e mezzo, ma in regioni chiave come la Toscana, la Puglia, la Sardegna). In sintesi, ripetendo le parole del rappresentante confindustriale, la Via deve essere sottratta alla “pianificazione amministrativa”; concetto non del tutto chiaro da un punto di vista giuridico, ma molto chiaro da un punto di vista politico: le procedure Via sono materie di cui solo governo e imprese proponenti sono titolate a occuparsi e che Regioni, Comuni non se ne impiccino; abolita qualsiasi dialettica istituzionale. Quanto ai cittadini, già il decreto nella forma attuale è sufficiente a espropriarli di ogni forma di partecipazione. Si aggiunga la richiesta di un ulteriore contingentamento dei tempi che devono essere osservati dalle amministrazioni interessate a esprimere pareri, salvo, in direzione, opposta, di un maggiore lasso di tempo per permettere alle imprese proponenti di presentare, qualora richieste, eventuali integrazioni.
Il provvedimento non solo è devastante per la tutela di ambiente e paesaggio, ma è l’anteprima di un possibile alleanza Pd-Forza Italia, giustificata dal disastrato bilancio statale e dalle richieste dell’Europa. Dopo le elezioni, cosa si potrebbe mettere sul piatto degli investimenti, non avendo risorse a disposizione? L’opportunità più facile è di appropriarsi di un patrimonio comune che non appartiene allo Stato, né tanto meno al governo, ma alla collettività: territorio, ambiente e paesaggio, appunto, da svendere al cartello delle imprese costruttrici e delle banche. Ma per dare il via alla riffa delle grandi opere (inutili, dannose e costose), occorre fin da ora eliminare le procedure di valutazione esistenti, troppo aperte, quando siano presentati progetti preliminari spacciati per definitivi, a opposizioni amministrative e legali – vedi ad esempio quelle di Comuni e comitati nei confronti del progetto del nuovo aeroporto di Firenze. Si sa bene che gran parte dei progetti presentati a Via è vulnerabile perché scientemente lacunosa e che sono proprio le lacune, quando approvate, a giustificare in corso d’opera la moltiplicazione dei costi, indispensabile alimento della corruzione e della politica. Vi è una discrasia drammatica tra il mondo politico, anche quello di sinistra o che si dichiara tale, e i cittadini a proposito del valore di ambiente e paesaggio – le migliaia di comitati e associazioni a difesa di territori e monumenti lo stanno a dimostrare. In attesa, non passiva, di un soggetto politico, esistente o nuovo, o per lo meno di politici che sanino questa discrasia