di Paolo Baldeschi, www.La città invisibile, 21 marzo.
Intervento al convegno “Città pubblica vs città oligarchica”, organizzato dalla Rete e da numerosi comitati fiorentini. Cfr Budini Gattai, Agostini, Cardosi.
La riflessione che segue tenta di dare delle prime risposte, certamente molto perfettibili, a tre domande fondamentali:quali sono le caratteristiche quantitative e qualitative del turismo a Firenze, chi ne trae i benefici e chi ne paga i costi, tenendo conto che l’impatto del turismo sulla vita dei cittadini varia in ragione dell’età e del luogo di residenza; quali sono alcuni caratteri peculiari della popolazione residente e come sono distribuiti nelle varie parte delle città; infine; quali politiche potrebbero o dovrebbero essere attuate per migliorare la qualità dei vita dei fiorentini (e anche dei turisti-ospiti).
Turismo
Quanti sono i turisti che vengono a Firenze?
Nel 2015 sono stati registrate ufficialmente oltre 9.200.000 presenze, con quasi 7 milioni di stranieri, mediamente di oltre 25.000 unità giornaliere. La spesa annuale delle sole presenze registrate è superiore a 1 miliardo e 200 milioni [1] ed è interessante chiedersi dove va a finire questo fiume di denaro, quante tasse siano pagate e quanto torni alla città, di fronte ai costi diretti dei servizi forniti ai turisti e a quelli indiretti legati all’uso della città.
Tuttavia questi dati sottostimano l’impatto turistico, perché non sono conteggiate né le presenze in nero degli affittacamere che lavorano con Airbnb o Homelidays, né il turismo “mordi e fuggi” che arriva a Firenze con i pullman. Inoltre, la distribuzione delle presenze turistiche varia stagionalmente e in certi periodi può superare le 50.000 unità, una popolazione dello stesso ordine di grandezza dei residenti nel Quartiere 1 (67.000 abitanti), ma concentrata sul quadrilatero centrale, quello che va da Piazza del Duomo ai Lungarni e da via Verdi a via Tornabuoni, con un’appendice Oltrarno. Le conseguenze sono note.
La prima è una progressiva desertificazione delle attività al servizio dei residenti, i negozi della “quotidianità”, sostituiti da negozi di lusso e comunque rivolti alla domanda turistica nell’area più centrale e una proliferazione pervasiva della somministrazione di cibo e bevande con l’occupazione dello spazio pubblico da parte dei dehors e la conseguente movida nelle aree circostanti: secondo stime di Confcommercio, negli ultimi 25 anni hanno chiuso oltre 30 mila attività legate alle tradizioni [2].
La seconda è una torsione del mercato immobiliare a favore degli affitti brevi a visitatori stranieri; ne segue che, come a Venezia, una parte consistente del patrimonio immobiliare è destinata a una domanda “ricca” cui non possono competere né i fiorentini, né altri tipi di utenti più deboli, come gli studenti universitari che costituiscono una popolazione considerevolmente numerosa e sicuramente una linfa vitale per la città: sono circa 50.000, di cui il 30% fuori sede (15.000).
In sintesi, tutto il mercato immobiliare, sotto la spinta dell’amministrazione fiorentina, si sta orientando verso il lusso e i clienti ricchi, mentre ci si dimentica del disagio abitativo che interessa gli strati più deboli della popolazione, né viene messa in cantiere alcune azione concreta per colmare il gap tra richiesta ed offerta di edilizia sociale; quest’ultima relegata come contentino per rendere accettabili presso l’opinione pubblica le operazioni speculative.
I cittadini di Firenze
Il turismo affidato solo al mercato è certamente una causa del deterioramento della vivibilità della città, sia da un punto di vista strutturale, per le distorsioni nel mercato immobiliare, degli affitti e dell’offerta commerciale, sia dal punto di vista della quotidianità, per l’occupazione e l’uso dello spazio pubblico.
Ma chi sono i fiorentini, accettando in prima approssimazione di identificarli con i residenti a Firenze? E quali sono i punti di maggiore attrito con i flussi turistici che ormai raddoppiano la popolazione nell’area centrale? Infine, quali sono le politiche per migliorare la qualità di vita dei fiorentini, ora paradossalmente sempre più estranei alla loro città?
La prima considerazione è che le politiche urbane non agiscono indifferentemente sulle varie fasce di età (oltreché reddituali, ma non abbiamo dati a questo proposito). Ciò che può essere gradito ai giovani (la movida, ad esempio) può essere estremamente fastidioso per gli anziani; la domanda di mobilità e l’uso dei mezzi di trasporto possono essere altrettanto diversificati tra ragazzi, giovani, classi centrali e classi anziane.
L’età è quindi un fattore fondamentale per l’orientamento e il gradimento delle politiche urbane. Come è distribuita da questo punto di vista la popolazione fiorentina?
I dati aggiornati al 2016 ci mostrano una popolazione fiorentina molto più anziana (65 anni e oltre) della media nazionale (il 26% contro il 21% della popolazione italiana), con un indice di vecchiaia pari a 213 punti contro una media nazionale di 161 punti. Significa che per ogni fiorentino nell’età da 0 a 14 anni vi è un numero più che doppio di ultra sessantaquattrenni. Da notare che la distribuzione della popolazione per fasce di età non è omogenea per quartiere: gli indici di vecchiaia variano da quartiere a quartiere con un massimo nei Quartieri 2 (Campo di Marte) e 3 (Gavinana-Galluzzo), per scendere leggermente nel Quartiere 4 (Isolotto Legnaia) un po’ più marcatamente nel Quartiere 5 (Statuto -Novoli), mentre la popolazione è decisamente più giovane nel Quartiere 1 (centro storico) e ha perciò anche un indice di dipendenza molto più basso (circa il 50%, mentre negli altri quartieri si attesta tra il 61% e il 68%)
Questo dato è interessante e dipende dal fatto che la classe degli ultra sessantaquattrenni nel centro storico è meno numerosa rispetto al resto della città, in particolare i quartieri 2 e 3, ciò che non può che essere dovuto a un deflusso della popolazione più vecchia e più debole a favore dell’affitto agli stranieri o dei cambi di destinazione. Analogo è l’andamento dell’indice di dipendenza strutturale. Sulla composizione demografica sicuramente hanno avuto un peso i movimenti migratori, soprattutto provenienti dall’estero.
Firenze, negli ultimi 14 anni ha contato 223.586 immigrati contro 156.692 emigrati, con una componente straniera di oltre 63.000 unità e un numero complessivo di residenti a Firenze nati all’estero pari a 67.115 unità. In sintesi il 18% della popolazione residente a Firenze è nata all’estero e si concentra soprattutto nel centro storico, dove è un quinto della popolazione residente (nel Quartiere 1). Riassumendo: la popolazione residente a Firenze è molto più anziana rispetto alla media nazionale e non è distribuita in modo omogeneo nei diversi quartieri. Il centro storico ha subito un processo di ringiovanimento per effetto dell’immigrazione dall’estero e dell’allontanamento o la non sostituzione della popolazione anziana. Un sesto della popolazione fiorentina è costituita da immigrati dall’estero, con una distribuzione non uniforme per quartiere.
La città attuale
Le politiche del Comune di Firenze nell’ultimo decennio, non hanno tenuto in alcun modo, né della struttura demografica (quindi anche sociale) della popolazione residente, né dei problemi di vivibilità che la pressione turistica creava sulla città. Non solo il turismo viene gestito dal mercato, ma l’amministrazione fiorentina ha seguito e incoraggiato il mercato in una tendenza evolutiva sempre più a favore della domanda ricca, conseguenza a sua volta di una distribuzione della ricchezza sempre più ineguale a livello mondiale.
Questo è avvenuto fondamentalmente in tre direzioni. La prima è stata quella di accentuare il ruolo di “salotto buono” del centro di Firenze, con la destinazione di risorse e con la pedonalizzazione dell’area più interna; pedonalizzazione [3] che (in assenza di una politica decente dei trasporti) ha spostato il traffico sulla cintura immediatamente circostante e in qualche strada “disgraziata”. Inoltre in alcune aree limitrofe si sono spostate attività lecite, ma fastidiose o illecite o “border line” come il gioco d’azzardo. Un esempio emblematico è la situazione di via del Palazzuolo descritta in modo molto puntuale ed efficace in uno scritto di Marta Baiardi che andrebbe riletto con attenzione: «Spaccio, risse, violenza, ludopatia, illegalità diffusa sono esperienza quotidiana di chi qui vive e lavora, con un restringimento di spazi di vivibilità per tutti e un abbassamento della qualità della vita inquietante».
La seconda direzione è quella della vendita effettuata o promossa dal Comune di immobili pubblici dismessi con Variante incorporata verso la destinazione di alberghi o residenze di lusso e in subordine, di attività commerciali sempre di lusso: un centro di Firenze tutto destinato al mercato più ricco. Vale a dire che via via che edifici e complessi pubblici vengono dismessi – si pensi al tribunale di Firenze, alla scuola militare di Costa San Giorgio, alla Manifattura Tabacchi, alle Murate, alle Poste centrali di Michelucci, al Panificio militare, ma vi sono decine di esempi – le nuove destinazioni sono scelte esclusivamente sulla base dei desiderata dell’eventuale compratore, cioè delle preferenze del mercato.
La terza direzione è complementare alla precedente e consiste un sostanziale abbandono delle periferie (che fine ha fatto il progetto concorso per 10 nuove piazze di Firenze e successivamente gli ulteriori concorsi, ad es. piazza dell’Isolotto?). Meno traffico in centro, più traffico nelle periferie, martoriate anche dalle linee della tramvia veloce progettate come binari e non come occasioni di riqualificazione dello spazio pubblico. Inoltre, la tramvia consente a una quota di pendolari di rinunciare all’uso dell’automobile (il 25% a seguito dell’entrata in esercizio della linea1, con una media giornaliera tra i 30.000 e i 40.000 passeggeri), ma non risponde alla domanda di spostamenti interni che ha bisogno di mezzi più distribuiti, più capillari e più flessibili.
Le vicende di Villa Fabbricotti potrebbero (lotteremo perché ciò non avvenga) essere esemplari di una politica che considera complessivamente la città come merce da vendere al migliore acquirente. Villa Fabbricotti, di proprietà della Regione e con destinazione a uso pubblico, è stata recentemente messa in vendita. L’iter è il solito: vendita alla Cassa Depositi e Prestiti e da questa a qualche investitore privato con Variante “a la carte” del Comune di Firenze. L’ipotesi non tanto peregrina è che il complesso sia trasformato in albergo o residenze di lusso e il parco venga privatizzato. Attualmente il parco ha un altissimo valore d’uso, perché utilizzato da centinaia di cittadini (e dai loro cani). Il cambio di destinazione farebbe crollare il valore d’uso – da molti a pochi utenti – mentre aumenterebbe in modo simmetricamente opposto il valore di scambio: quella che viene chiamata “valorizzazione” non è altro che la trasformazione del valore d’uso in valore di scambio, con qualche spicciolo di compensazione.
Questo è comunque l’iter seguito finora e che l’amministrazione di propone di proseguire. La radice è di natura politica e prima ancora culturale, di chi non vede altra via di sviluppo se non quello immobiliare e infrastrutturale, nell’offerta di contenitori vuoti che non possono che essere riempiti dal mercato, vale a dire da investitori con orizzonti temporali e “opzionali” assai limitati, perché il circuito investimento-profitto deve essere più breve possibile. Perciò la risposta di un’opposizione che voglia diventare governo non può che essere prima di tutto culturale e politica. Questo convegno e un primo passo in questa direzione.
La città desiderata
Una città amica di anziani, donne e bambini
Una pianificazione urbanistica attenta ai mutamenti sociali e demografici dovrebbe tenere conto di tutto ciò, sia nelle scelte infrastrutturali, sia nelle politiche della casa e dei servizi, sia nell’organizzazione dello spazio pubblico (v. punto seguente).
Un primo fattore di cui tenere conto è che invecchiando sempre meno si usa l’automobile individuale, a maggior ragione nel congestionato traffico della città, sempre si più amano gli spostamenti a piedi o in bicicletta (otre che con un efficiente trasporto pubblico). Il modello urbanistico fatto di grandi attrattori decentrati, in primis i centri commerciali raggiungibili solo con mezzi di trasporto privati e, in generale, un sistema di spostamenti da casa basati sull’automobile, non solo consolida le fonti di inquinamento, ma è obsoleto perché basato sulla struttura demografica tipica degli anni ’60, fatta di famiglia giovani con figli numerosi, mentre nel 2016 a Firenze la famiglia media è costituita da due persone.
A distanza di 50 anni, l’idea di crivellare la città con parcheggi sotterranei, oltre a quanto si è accennato in precedenza, si rivela una scelta non a favore degli abitanti ma degli interessi immobiliari – salvo casi particolari – e rende permanente il traffico attorno alle aree pedonalizzate. Significa fin da ora rinunciare a una prospettiva, non certo immediata ma possibile, di una città sempre più libera dalle automobili e dal traffico.
Un secondo ordine di considerazioni riguarda la popolazione più giovane. Fino a dieci anni fa vi era in alcune città italiane (non a Firenze) una certa attenzione alle problematiche della “città dei bambini” e in alcuni casi le buone intenzioni sono state tradotte in esperienze concrete. Non deve stupire che una città amichevole e fruibile dai bambini sia anche particolarmente adatta per le persone anziane (spesso le due figure si accompagnano, quando i genitori sono al lavoro). Le implicazioni sociali e urbanistiche sono da una parte un’estesa pedonalizzazione che renda sicuro e piacevole camminare in città, dall’altra una localizzazione di servizi e di attività commerciali che sia ben distribuita e che non implichi la necessità di spostamenti in macchine per gli acquisti o le prestazioni di servizio di tutti i giorni: il contrario della tendenziale (e in molte aree già attuata) desertificazione delle attività a supporto dell’abitare a favore di quelle rivolte al turismo.
E poiché sono spesso le donne che reggono sulle spalle l’assistenza agli anziani e la cura dei bambini, una città amichevole per entrambi è amichevole anche verso le donne, ne rende meno stressante la vita e forse, costituisce un incentivo alla natalità più che operazioni pubblicitarie o mance una tantum. Centrale, in questo recupero della città in favore dei bisogni e della qualità della vitta dei cittadini e il ruolo dello spazio pubblico sia da un punto di vista quantitativo che – soprattutto – qualitativo.
Una città che recupera ed estende lo spazio pubblico
Lo spazio pubblico di Firenze è il risultato di una grande costruzione collettiva durata vari secoli e arricchita dalle generazioni che via via hanno abitato la città. Lo spazio pubblico costituisce la “struttura” della città che ne tiene insieme le varie parti, non solo collegandole funzionalmente, ma integrandole e arricchendole di edifici collettivi e monumenti. Caratteristiche precipue dello spazio pubblico, così come si è venuto configurando storicamente, sono la sua multifunzionalità (essendo contemporaneamente spazio economico, commerciale, religioso, politico), la sua “continuità”, rendendo permeabile e percorribile l’intera città, la sua gerarchizzazione, essendo le emergenze collegate e orientate verso il centro in modo da essere fruibili da tutti i cittadini: qualità tutte negate dalle trasformazioni degli ultimi decenni e neanche prese in considerazioni dalle politiche urbanistiche più recenti che, invece, favoriscono consapevolmente la privatizzazione dello spazio collettivo.
Una politica di ricupero e valorizzazione dello spazio pubblico esistente e di costruzione dello spazio pubblico dove questo manca come nelle recenti periferie, implica una riduzione del traffico automobilistico e una conseguente pedonalizzazione della città, soprattutto nelle zone dove piazze e strade sono diventate parcheggi di superficie. Significa, in modo complementare, valorizzare gli spazi aperti residui nel tessuto urbano, anche quelli interni agli isolati (di cui l’amministrazione Domenici ha promosso colpevolmente la saturazione) recuperandoli all’uso pubblico, preferibilmente come giardini o spazi naturali. L’obiettivo finale è una città “permeabile”, dotata di uno spazio pubblico continuo, fatto non solo di piazze, parchi e giardini, ma anche di spazi minori, più intimamente legati al quartiere in cui sono collocati, fruibile a piedi o in bicicletta per mezzo di una rete di percorsi protetti e dove possibile, indipendenti da quelli destinati al traffico motorizzato. La costruzione delle linee della tramvia veloce era un’ottima occasione per integrarne la progettazione con quella dello spazio circostante, promuovendo, come è accaduto in Francia in analoghe circostanze, un’ampia ristrutturazione della città dove questa è particolarmente carente di spazi di socializzazione.
Un’occasione non solo persa, ma neanche presa in considerazione dall’amministrazione fiorentina, dove tutto viene progettato e gestito in modo settoriale e scoordinato. Una politica di (ri)costruzione dello spazio pubblico implica un’estesa e effettiva partecipazione di cittadini alle scelte urbanistiche a monte e una progettazione condivisa e contestuale delle infrastrutture di supporto. La partecipazione promossa dall’amministrazione fiorentina è stata finora solo la ricerca di consenso su opere già decise o un inutile esercizio perché le proposte dei cittadini e associazioni non sono state prese in considerazione, né hanno lasciato traccia nelle successive politiche. Inutili concorsi hanno solo rappresentato uno spreco di risorse (come quello per la creazione di una serie di piazze periferiche, mai realizzate, sotto l’ironica etichetta di “progettare insieme”).
Un’idea di città e il ruolo di Firenze. Il Sindaco La Pira pensava a un ruolo di Firenze come ambasciatrice della pace nel mondo. A prescindere dai contenuti utopici della proposta, La Pira aveva compreso che la fama di Firenze, il suo prestigio artistico e culturale, offrivano alla città la chance di ritagliarsi un ruolo di livello internazionale e che la sua attrattività poteva essere una carta da giocare per obiettivi più “alti” dello sfruttamento banale del turismo. Nel periodo che ha separato gli anni ’60 dai nostri giorni, una proposta innovativa e intelligente sul ruolo di Firenze è venuta negli anni ’80, durante l’amministrazione Bogianckino, da Giacomo Becattini, economista di grande caratura, che ha sostenuto, in varie occasioni e con ampie argomentazioni, la grande opportunità della città di diventare un laboratorio culturale di livello mondiale.
Da una parte, si proponeva di mettere in rete e potenziare le numerose istituzioni culturali, pubbliche e private, operanti a Firenze, come dipartimenti universitari italiani e stranieri, musei, centri di ricerca, opifici, biblioteche, gallerie, per creare un sistema collaborativo e aperto (si noti che senza internet, all’epoca l’impresa era molto più ardua di quanto possa essere adesso).
Dall’altra si trattava di riconvertire, almeno parzialmente il turismo di massa, che doveva essere gestito e rieducato, in un turismo “stanziale” di studio e di ricerca, cui avrebbero potuto contribuire anche imprese multinazionali in cerca di sedi fiorentine gradite ai loro quadri tecnici e dirigenziali. Patrimonio culturale, qualità della vita urbana, bellezza delle architetture e del paesaggio, potevano costituire la base sinergica e “strutturale” su cui progettare un nuovo e importante ruolo culturale e scientifico di Firenze.
Questa proposta, accolta inizialmente con favore, ma solo a parole, dalle forze politiche, è stata completamente dimenticata; di più: nessuna proposta alternativa, nessun disegno di pari livello è stata fatta negli ultimi trenta anni e l’argomento è stato abbandonato. Ne sono prova le ultime campagne elettorali, dove gli obiettivi proposti ai cittadini sono la realizzazione di infrastrutture come uniche produttrici di reddito e di occupazione e come se non esistessero altre chances e altre opportunità. Di nuovo gli strumenti, in questo caso le grandi opere, sono proposte quali finalità ultime, indipendentemente dal fatto che siano utili o meno. Nessun disegno complessivo per Firenze, i cui destini sono lasciati al mercato, di cui il Sindaco stesso è diventato promotore e facilitatore.
Il disegno di Firenze come grande laboratorio culturale aperto al mondo non ha perso la sua validità e potrebbe guidare le destinazioni da assegnare agli edifici dismessi in un disegno organico, a seconda delle obiettive opportunità urbanistiche, come l’accessibilità, le possibilità di integrazione con altre attività, lo stato dei luoghi, il tessuto sociale in cui si inseriscono. Perciò una importante rivendicazione da avanzare è la richiesta di un disegno organico e innovativo per una Firenze che diventi luogo di ospitalità per un turismo colto, di studio e ricerca, oltre che di affari e di convegnistica.
Le varie opportunità si integrano e possono benissimo mettere d’accordo interessi pubblici e privati, senza la distruzione del tessuto sociale e fisico della città.
Note al testo
[1] Distribuiti alla popolazione fiorentina equivarrebbero a 3.200 euro pro-capite.
[2] Spiega Aldo Cursano, presidente toscano Federazione pubblici esercizi: «Ha retto soltanto il dieci per cento delle botteghe storiche». Uno stillicidio. Una città sempre più a misura di visitatore, poco attenta ai residenti. «Prima, uscendo di casa, salutavo tutti, e tutti salutavano me — racconta un ex residente —, oggi invece non conosco più nessuno e se ho bisogno di una mano, nessuno mi aiuta».
[3] Il cuore di Firenze, dopo che l’allora sindaco Renzi decise a sorpresa di pedonalizzare piazza Duomo e cancellare il contestato passaggio della linea 2 accanto al Battistero, dal 2009 è rimasto senza un servizio di trasporto pubblico forte.