nella (già virtuosa) Emilia Romagna
(dalla redazione, 20 dicembre 2016)
Siamo d’accordo. Il disegno di legge urbanistica varato lo scorso 3 novembre dalla Giunta della Regione Emilia Romagna deve essere accantonato. È una pericolosa, scellerata accelerazione verso il privatismo e il liberismo immobiliare: lo affermano Italia Nostra e i trentotto firmatari della lettera aperta alla Regione.
Il DdL sostituisce la pianificazione attuativa con gli «accordi operativi» pubblico-privato che, oltre a non costituire variante al piano, vanno in deroga non solo al PRG (ora PUG), ma anche al decreto sugli standard urbanistici (n. 1444/1968). Il DdL basa la “rigenerazione urbana” – ricetta universale per guarire tutti i mali, dalle periferie postindustriali ai centri storici – su demolizioni e ricostruzioni attuate proprio tramite accordi operativi. È il modello criminogeno del pianificar facendo…
Ma non basta. A fronte del prevedibile “addensamento” del tessuto urbano, il DdL «nega ai piani (art. 32, c. 4) il compito di regolare la capacità edificatoria delle aree del territorio urbanizzato»: una anticostituzionale sottrazione ai comuni della potestà a pianificare il proprio territorio. Lo denuncia nel suo intervento Giovanni Losavio: «È la stessa urbanistica che nega se stessa in nome del “fare”».
Inefficaci (a dir poco) i dispositivi individuati dal DdL riguardo alla riduzione del consumo di suolo. Dietro le declaratorie di legge si cela infatti un’ulteriore cementificazione, espressa nella misura del 3% con tante, troppe, eccezioni (si veda lo scritto di Paola Bonora).
Sul blocco del consumo di suolo gli esempi esisterebbero: dalla proposta di legge (2013) formulata da eddyburg, alla legge toscana 65/2014 nella versione licenziata dall’assessore Anna Marson.
Ma l’Emilia Romagna non lo sa.