di Alberto Asor Rosa, Il manifesto, 30 dicembre 2016.
I medesimi fenomeni possono essere interpretati in modi diversi. Io sceglierò questa volta quello più rispondente a una descrizione obiettiva dei fatti, o meglio proverò a farlo. Per farlo devo però affrontare subito le modalità di significazione e di uso che pressoché universalmente vengono adoperate per definire il termine/concetto di “populismo”. E’ mia opinione che esse, pressoché universalmente, siano infondate e fallaci.
Ho cercato di dirlo anche recentemente nel saggio Scrittori e massa, pubblicato (2015) in appendice alla ripubblicazione di Scrittori e popolo (1965); ma, forse perché ragionato in un contesto di storia e critica della letteratura, nessuno ha mostrato di accorgersene. Eppure il ragionamento, al di là di quel contesto, presenta una valenza assolutamente generale.
“Popolo” (nella sua eccezione moderna: fra il secolo dei Lumi, la Rivoluzione francese e gli ultimi decenni del XX) era concetto estremamente stratificato e complesso. In esso convivevano realtà politiche e sociali molto diverse, spesso antagonistiche fra loro (proletariato, borghesia, ceto capitalistico, classe media), ma accomunate da alcune regole di comportamento comuni (istituzioni, costituzioni, ecc…), in regimi di carattere politico democratico, s’intende, e talvolta, ma solo in casi estremi, da una pulsione nazionalistica legata a problemi particolari di sopravvivenza.
QUANDO IN TALE CONTESTO UNA PARTE POLITICA O INTELLETTUALE, senza mettere affatto in discussione l’insieme, attribuiva un particolare valore trasformativo alla componente popolare che insieme con le altre contribuiva a formare l’organismo stratificato e complesso del Popolo, quello si poteva definire correttamente “populismo”. Ed altrettanto comprensibile e corretta era la posizione di coloro che criticavano e attaccavano tale nozione di populismo in nome di una rottura più radicale del sistema e a favore di una classe – quella operaia, beninteso – che avrebbe dovuto sfuggire – anzi, di fatto sfuggiva, alla nozione onnivora di Popolo (Classe operaia: Scrittori e popolo, appunto: Operai e capitale: cinquant’anni fa, non è uno scherzo).
MA TALE NOZIONE E PRATICA DI POPOLO NEI CINQUANT’ANNI che abbiano alle spalle (appunto), è venuta frammentandosi e decadendo sempre di più. Il grande problema sociale, oggettivo, prima che politico e istituzionale, è oggi questo. Nel Popolo le identità sociali, e conseguentemente politiche e istituzionali, sono riconoscibili e operanti. In parti consistenti della società occidentale contemporanea questo risulta sempre meno visibile; in altre parti del mondo, estremamente significative, la cosa è ancora più lampante: nella Russia putiniana, o nella Cina post-comunista, ad esempio, non s’è mai visto. Sui fattori di tale ciclopico mutamento, – globalizzazione, finanziarizzazione mondiale del capitale, declino pressoché ovunque di tutte le forme di democrazia politica – si aspetta che qualcuno scriva un libro. Per ora limitiamoci a constatarlo.
Il nuovo grande protagonista dei principali movimenti sociali e del conflitto politico è la Massa. E cioè quella realtà umano-sociale in cui i caratteri individuali e le identità collettive sono meno rilevanti che in passato, e più rilevanti quelli della comunanza e della sovrapposizione.
UN NOTEVOLE SOCIOLOGO TEDESCO DEL SECOLO SCORSO (anni Venti, per intenderci), Leopold von Wiese, dichiarava: «Per massa intendo una durevole formazione umana disorganizzata, vaga, che si fonda sull’oscura rappresentazione, da parte dei suoi componenti, di una solidarietà di destini e di esperienze vissute in una molteplicità indefinita di uomini». Questa Massa, in sé è per sé disorganizzata, ma pervasa dal senso oscuro di una solidarietà di destini e di esperienze, nella quale si travasano senza grandi difficoltà ideologiche molteplici esperienze individuali, è la base materiale-ideale di tutti i movimenti che aspirano attualmente alla distruzione del vecchio sistema. Quando arriva l’Uomo che le dice che questo è possibile, lei lo segue. Se le cose stanno così, la sua ideologia o, più esattamente, “modo d’essere”, sarebbe il “massismo”, non il “populismo”. La precisazione apparirebbe eccessiva se l’uso del termine “populismo” in casi del genere non portasse, al di là dell’improprietà terminologica, a errori interpretativi gravi.
NATURALMENTE NON INTENDO DIRE CHE LA MASSA OCCUPI attualmente tutto il campo del sociale. Spazi e frammenti del vecchio Popolo sono ancora presenti e operanti: ma a quel che si vede, è la Massa che assedia e insidia loro, non viceversa. Finché questo problema non sarà globalmente affrontato (società, politica, interessi materiali e cultura), sarà difficile che in qualche modo se ne venga a capo.
In Italia il fenomeno “massista” ha ormai molteplici protagonisti e addentellati (Berlusconi, Salvini, Renzi).
Ma quello che lo interpreta più consapevolmente e estremisticamente è senza ombra di dubbio il Movimento5Stelle. Le sue caratteristiche sono in questo momento quelle che lo accomunano, con molta coerenza, al “massismo” universale: un solo capo, assoluto e indiscutibile; un movimento/partito, proprietà di una logica privatistica senza precedenti; l’assoluta assenza di ogni democrazia interna (sostituita dalla risibile funzione telematica); l’antieuropeismo, voluto ed espresso senza condizionamenti; l’assoluta assenza di ogni programma economico-sociale (sostituito da parole d’ordine di un’assistenza precaria e temporanea); l’appello, appunto, alla Massa, indistinta ed informe, perché si liberi da tutti i condizionamenti del passato; il conseguente, conclamato disprezzo per le forme residue della democrazia rappresentativa; adesso, anche l’attacco al fenomeno migratorio (anche questo “fa voti” nella massa).
È OVVIO, S’INTENDE, CHE SOLO IL DEGRADO ESTREMO DEL SISTEMA politico e sociale democratico può avere determinato la fortuna di movimenti del genere. Si pensi alla catastrofe indotta nella sinistra francese da un dirigente come Hollande. Si pensi, per quanto più direttamente ci riguarda, alla lunga catena di fallimenti attribuibili agli eredi sempre più mediocri del magistero berlingueriano.
Queste osservazioni sulla genesi ultima dei fenomeni portano come conseguenza ad un rilievo finale, sul quale nessuno, a mia conoscenza, finora s’è fermato. Ideologia e pratica della Massa, come punto di riferimento sociale di ogni scelta e iniziativa politica, sono state nel corso del Novecento patrimonio di almeno due grandi esperienze sul piano storico: il fascismo, quello delle origini, ispirato a una violenta rivolta sociale contro il vecchio, e il nazismo, il quale non a caso si definiva più correttamente nazionalsocialismo.
NELLA CRISI VERTICALE DELLE VECCHIE DEMOCRAZIE essi lanciarono un potente messaggio unificatore a quanti non si ritenevano più, perché non avevano, o non credevano più di avere nessun interesse a farlo, né ceto né classe, ma appunto Massa, desiderosa di farsi irregimentare e inquadrare nel campo antidemocratico che le veniva offerto. Anche oggi in ogni movimento massistico c’è una componente fascistica (anche se, almeno per ora, non parrebbe avere bisogno della violenza squadristica, perché lo scadente gioco democratico sembrerebbe consentirgli comunque l’ascesa al potere ma domani chissà). Il fatto che, al di sopra di una lunga, talvolta esaltate storia mondiale, Trump e Putin possono intendersi, apre uno scenario che costringerebbe (se ce ne fossero le forze) a mutare radicalmente pensiero e comportamenti.