di BRUNO CILIENTO, su Patrimoniosos.it, 30 settembre.
Il 7 luglio scorso è stato presentato alla Conferenza Unificata Stato-Regioni-Autonomie Locali (dove è stata “sancita l’intesa”, come con apprezzamento è riferito da varie fonti legate all’industria edilizia) uno schema di Decreto Presidente della Repubblica “recante il regolamento relativo all’individuazione degli interventi esclusi dall’autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata” ecc.
In parole povere, a seguito di un articolo del cosiddetto Sblocca-Italia, si tratta di un lungo elenco, con norme di attuazione, di interventi edilizi nelle zone soggette a vincoli paesaggistici che non dovranno più essere autorizzati in base al Codice dei beni culturali o, perché ritenuti poco rilevanti, potranno godere di procedura semplificata – una misura in parte analoga già esisteva, ma il nuovo Decreto ne prevede il superamento.
Gli interventi che non dovrebbero più essere autorizzati sono 31, quelli con procedura semplificata 42. Non è qui il caso di ricordare che le lentezze nelle autorizzazioni paesaggistiche (a volte reali, a volte strumentalmente esagerate) derivano quasi sempre da carenze di mezzi e personale degli uffici, dalla mancata adozione dei piani paesistici e dalla farraginosità della normativa – senza volere ovviamente tacere casi di specifiche responsabilità di funzionari e dirigenti.
Il Decreto, per cui sono previsti pareri parlamentari e del Consiglio di Stato – quest’ultimo, formulato in modo ampiamente favorevole, è stato pubblicato da patrimoniosos il 22 settembre – che però raramente incidono in modo significativo sui testi, si inserisce di fatto nella logica di un progressivo svuotamento della tutela territoriale prevista dal Codice beni culturali.
In linea di principio non vi è nulla da obiettare a che interventi di minore rilevanza possano essere autorizzati sulla base di procedure più snelle, e ve ne sono senza dubbio di così modesta portata che ben si può ammettere vengano considerati irrilevanti (negli elenchi non mancano precisazioni abbastanza superflue, come l’esclusione dall’autorizzazione delle opere interne che non alterano l’aspetto esterno degli edifici – per le quali mai è stata necessaria), né il Decreto è privo di norme sensate, ad esempio la prescrizione che laddove gli interventi riguardino edifici sottoposti a vincoli sia paesaggistici sia monumentali la procedura venga unificata. Tuttavia esaminando gli elenchi degli interventi sorgono forti perplessità.
Per quanto riguarda quelli con procedura semplificata – e autorizzazione da rilasciarsi entro 60 giorni, perché “di lieve entità” – vi sono “alterazione dell’aspetto esteriore degli edifici mediante modifica delle caratteristiche architettoniche”, “ascensori esterni che alterino la sagoma dell’edificio”, “caldaie, parabole, antenne su prospetti prospicienti la pubblica via”, “interventi sistematici di arredo urbano”, “autorimesse comprese le eventuali rampe”, “taglio senza sostituzione di alberi”, “strutture e manufatti per spettacoli o per esposizione di merci per un periodo non superiore a 180 giorni”, “verande e dehors”, “cartelli pubblicitari di dimensioni inferiori a 18 mq”, “demolizione e ricostruzione di edifici con volumetria e sagoma corrispondenti alle preesistenti” ecc.
E’ vero che questi e altri interventi sono soggetti comunque ad autorizzazione, ma la ratio del provvedimento è di considerarli di scarso rilievo, tali insomma da meritare una quasi scontata approvazione (quanti funzionari vorrebbero correre il rischio di essere chiamati in giudizio per avere bloccato un “intervento di lieve entità”?). Ma non occorre essere abili architetti paesaggisti per comprendere che queste operazioni sono proprio quelle che – se non controllate puntualmente – alterano in modo spesso irrimediabile l’aspetto dei nuclei urbani e rurali, come possono insegnare infiniti esempi (tante volte purtroppo autorizzati). Nella sostanza, solo le nuove edificazioni e poco altro non viene fatto rientrare nell’autorizzazione semplificata – ma per le opere pubbliche e quelle ritenute importanti ci sono le procedure speciali previste da altre norme…
Quanto agli interventi neppure sottoposti ad autorizzazione, oltre a opere in effetti di scarso rilievo, ne troviamo altre che incidono in maniera significativa sull’aspetto del territorio e dei centri urbani – ancora una volta sembra mancare quell’attenzione alle singole operazioni edilizie che invece hanno una fondamentale importanza nella salvaguardia paesaggistica.
Vengono dichiarati irrilevanti gli interventi “sulla vegetazione arborea” lungo i corsi d’acqua (previsti per ragioni di sicurezza, ma ci sono molti casi tutt’altro che esemplari), l’installazione di tende parasole e insegne commerciali (sia pure con qualche cautela), anche qui strutture e manufatti per manifestazioni e attività commerciali (per non oltre 120 giorni). Soprattutto colpisce che non siano soggetti ad autorizzazione le tinteggiature e il rifacimento di intonaci e infissi: certo si fa rimando ai piani del colore comunali e al rispetto delle caratteristiche e dei materiali esistenti, ma non basterebbe molto spazio per elencare le tante alterazioni soprattutto nell’edilizia rurale e nei centri minori per capire quanto sia necessaria un’opera di controllo (questa sì, magari con procedura semplificata). Su quest’ultimo punto, per fortuna, le nome di attuazione del Decreto escludono in parte gli interventi laddove i piani paesistici o le previsioni dei vincoli non dettino norme specifiche, ma in ogni caso c’è da chiedersi quanto ci si dovrà affidare alla buona volontà dei proprietari o ai tecnici di piccoli Comuni per essere certi che le prescrizioni siano rispettate.
Ma non è finita. Gli elenchi sono preceduti da un testo normativo che contiene alcune disposizioni davvero pesanti. Si prevede che laddove siano vigenti accordi tra Regioni e Mibact, altri interventi – e non dei meno impattanti – siano esclusi dall’obbligo di autorizzazione. Si ammette la possibilità che i piani paesistici introducano disposizioni per facilitare “corrette metodologie” per le opere per le quali non si richiede autorizzazione – sarebbe invece necessario uno specifico obbligo! – ma nel contempo si stabilisce che eventuali disposizioni più rigorose, previste appunto nei (pochi) piani paesistici approvati debbano essere superate da quelle meno rigide del nuovo Decreto. Come dire: se volete fare qualche sforzo, fate pure, ma non cercate di stringere le maglie della rete.
Si può sperare che si riesca almeno di limitare gli aspetti più discutibili del provvedimento? forse se ci sarà pressione qualcosa si potrebbe ottenere