di VEZIO DE LUCIA, su Eddyburg, 11 Luglio 2016.
Nel maggio scorso la Camera dei deputati ha approvato e trasmesso al Senato il famigerato disegno di legge sul contenimento del consumo di suolo e riuso del suolo edificato ben noto ai lettori di eddyburg [vedi i riferimenti in calce]. La prima considerazione riguarda i dubbi circa la sua definitiva approvazione. L’avvicinarsi delle elezioni politiche (che devono svolgersi entro il 2018) e l’inevitabile impasse che sarà comunque determinata dall’esito del referendum sulla sopravvivenza del Senato (in ogni caso fino alle prossime elezioni le leggi saranno approvate in regime bicamerale), inducono a sperare che il disegno di legge finisca su un binario morto. E perciò, secondo me, dovremmo da subito mettere in campo altre ipotesi.
Un inattendibile meccanismo a cascata
Non senza aver prima ricordato perché siamo nettamente contrari al testo in discussione. Ha origine da una proposta del 2012 di Mario Catania, ministro delle politiche agricole del governo Monti che, dopo quattro anni di dibattito nelle commissioni di Montecitorio e tre governi (Monti, Letta, Renzi), è stato progressivamente peggiorato. Il dispositivo (che dovrebbe portare entro il 2050 al traguardo fissato dall’Unione europea di consumo di suolo = 0) è basato su un inattendibile meccanismo a cascata in quattro tempi:
1. lo Stato definisce la riduzione del consumo di suolo a scala nazionale
2. la quantità stabilita a livello nazionale è ripartita fra le Regioni
3. ciascuna Regione suddivide la sua quota fra i Comuni
4. i Comuni riformano gli strumenti urbanistici cancellando le espansioni in eccesso.
In sostanza, lo Stato propone ma a decidere sono Regioni e Comuni, e quindi la legge non sarà mai attuata proprio dove più necessaria e urgente. È vero che la norma transitoria blocca il consumo del suolo per tre anni dall’approvazione della legge, ma sono fatti salvi opere, interventi, procedimenti e varianti che coprono abbondantemente la moratoria. Né si dica dei poteri sostitutivi, pratiche che nelle materie di cui stiamo trattando non hanno mai funzionato.
Due articolo per devastare di più
Ma c’è dell’altro. Due articoli riguardano il riuso e la rigenerazione. In uno, le Regioni incentivano i Comuni a promuovere la rigenerazione urbanaattraverso complicate procedure più o meno rispettose della disciplina urbanistica. L’altro articolo prevede invece la delega al governo a emanare uno o più decreti legislativi volti a “semplificare le procedure per gli interventi di rigenerazione delle aree urbanizzate degradate”. Una delega in bianco, senza riferimenti alla disciplina urbanistica, Regioni e Comuni non sono nemmeno nominati. Una specie di estensione dell’inaccettabile intervento governativo per Bagnoli deciso con il decreto Sbloccaitalia del 2014.
Un’assoluta novità sono infine i compendi agricoli neorurali che consentono la trasformazione dell’edilizia rurale in attività amministrative, servizi ludico-ricreativi, turistico-ricettivi, medici, di cura, eccetera. Non male per una legge nata per “promuovere e tutelare l’attività agricola, il paesaggio e l’ambiente”.
Mi permetto un’ultima osservazione sulla scrittura della proposta, pleonastica, fitta di definizioni accattivanti ma inutili, di precetti al tempo stesso ridondanti e inefficaci (le Regioni che “orientano” l’iniziativa dei comuni), di compiaciute complicazioni procedurali (art. 3).
Le alternative possibili a un testo inemendabile
Basta e avanza per confermare che si tratta di un testo inemendabile, come sosteniamo da tempo. Vediamo allora quali possono essere le alternative praticabili, tenendo conto che il passare del tempo non ha rallentato ma accelerato una vertiginosa espansione edilizia a bassa densità, il che rende ormai indifferibile il passaggio dal contenimento al definitivo blocco del consumo del suolo. La prima proposta alternativa è ovviamente quella elaborata da eddyburg nel 2013 che obbliga i comuni a localizzare i nuovi interventi nell’ambito del territorio urbanizzato, non consentendo nuova edificazione nel territorio non urbanizzato. La cornice costituzionale è fornita dal ricorso alla materia tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali – lettera s) del secondo comma dell’art. 117 della Costituzione –, grazie alla quale si può formare e approvare una semplicissima ed efficacissima legge ordinaria come quella che proponiamo senza bisogno di meccanismi a cascata, Stato-Regione-Comuni. È la stessa filosofia che ha ispirato la legge urbanistica della Regione Toscana del 2014, l’unica legge vigente in Italia che realizza il blocco del consumo di suolo, nonostante il rosicchiamento cui è sottoposta da quando Anna Marson non è più assessore.
La strategia dello stop al consumo di suolo perseguita con legge può essere affiancata da un’intelligente azione di governo tramite il Codice dei Beni culturali e del Paesaggio. A partire dall’art. 145 del Codice che affida al ministero per i Beni culturali il compito di individuare “le linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale per quanto riguarda la tutela del paesaggio”. Linee che devono essere rispettate dallo Stato e dalle Regioni nella formazioni dei piani paesaggistici. Ma di queste linee non c’è traccia e l’approvazione dei piani paesaggistici è sempre ferma a Toscana e Puglia e alla parte costiera della Sardegna. Per il resto un vuoto desolante, mentre ministero e Regioni fanno a gara di disimpegno.
Ci fosse la volontà, non sarebbe difficile formulare indirizzi di tutela che obbligano i piani paesaggistici (e quindi i Comuni) a concentrare – anche in questo caso – le trasformazioni all’interno di un’insormontabile linea rossa che racchiude lo spazio edificato, distinto e separato da quello rurale e aperto. Se si affrontasse questo compito, con determinazione – insieme a un coraggioso impegno verso le Regioni –, per il ministero per i Beni culturali, squassato dalle cosiddette riforme, sarebbe, tra l’altro, una straordinaria occasione per recuperare credibilità e prestigio. Ma serve un’altra stagione politica.