di ALBERTO ZIPARO, il manifesto, 8 Giugno 2016
Il Codice degli Appalti di recente approvato contiene alcune interessanti novità e, per certi versi, ristabilirebbe condizioni di migliori agibilità e qualità delle procedure di realizzazione di opere e infrastrutture.
Se non fosse che molte positività insite nel corpo del provvedimento vengono vanificate dal quadro politico e normativo in cui lo stesso va ad inserirsi, segnato dall’iperlibersmo speculativo del governo renziano.
Misure potenzialmente positive
Tra le misure potenzialmente positive colte da diversi osservatori – tra cui Anna Donati che commenta su diversi siti – si possono annoverare: il ripristino di una maggiore ordinarietà delle procedure, con la ribadita valenza dei tre livelli progettuali (di fattibilità, definitivo, esecutivo), che richiama la cancellazione della «famigerata e criminogena» Legge Obiettivo, un certo ridimensionamento del ruolo del contraente generale (che peraltro permane come il Commissario per le Grandi Opere), la restituzione della giusta importanza della pianificazione ai diversi livelli, nonché alla valutazione ambientale (Via allegata, come logico, al progetto definitivo).
Altri elementi interessanti sono costituiti dalla restituzione di funzioni cogenti e decisionali agli enti territoriali (su questo però incombe la controriforma costituzionale), l’attribuzione all’impresa del rischio operativo, una maggiore presenza dell’Anac che vorrebbe significare maggiori tutele anticorruzione.
Le criticità dell’Anac di Cantone
Tra le criticità già insite nella legge c’è la perdurante facoltà di subappalti anche per progetti di entità rilevante, la perdurante presenza delle figure di Contraente generale e Commissario, e la mancanza di facoltà più incisive e immediate di intervento sull’opera all’Autorità Anti Corruzione.
I pericoli di svuotamento della norma e di copertura delle peggiori tendenze in atto, stanno soprattutto nel quadro di provvedimenti esistenti e già operanti nei settori infrastrutture, territorio, ambiente, in cui il provvedimento va a inserirsi.
Innanzitutto il ruolo, che finisce per esser ambiguo, dell’Anac: le funzioni seguitano ad essere di gran lunga superiori alle possibilità d’intervento. Come è noto infatti, l’Anac può indagare e radiografare l’opera, arrivare fino al commissariamento; ma non ha facoltà, anche davanti a illegittimità conclamate tradottesi in pratiche corruttive anche ampie, fino alla presenza di criminalità organizzata, di effettuare l’operazione che tutti gli analisti del settore ritengono più incisiva in questi casi: interrompere il flusso di risorse verso l’operazione degenerata, bloccando immediatamente l’appalto.
Ha solo facoltà di rinviare per questo al governo (che dichiara proprio il contrario, «tutto si può fare meno che interrompere i lavori»), o sperare in un sequestro giudiziario del cantiere.
Raffaele Cantone qualche giorno fa ha affermato che molti suoi colleghi lo criticano anche aspramente «per avere accettato un incarico del governo Renzi».Non credo che il problema sia questo; ma l’avere accettato una funzione condizionata e limitata, che rischia in diversi casi di giustificare proprio il contrario di quello che sarebbe necessario e giusto.
A parte i casi clamorosi come Mose ed Expò, fa scuola il caso del sottoattraversamento Tav di Firenze: Cantone ha analizzato approfonditamente il progetto, già oggetto di inchiesta della magistratura, argomentandone i numerosissimi profili di illegittimità amministrativa e anche penale, oltre che gli altissimi rischi ambientali; fino a illuminare un’operazione abusiva, illegale e pericolosa.
La risposta della governance ai vari livelli – sembra dopo qualche tentennamento dello stesso Renzi – è stata il rilancio del progetto!
E si peggiora la Legge Obiettivo
Altro grande problema: la Legge Obiettivo è stata cancellata … ma solo in parte: lo «Sblocca Italia» prima, e l’allegato Infrastrutture al Def poi, ne hanno rilanciato diverse opere – a piè di lista, altro che nuova programmazione! – tra cui la Tav in Val di Susa, autostrade, porti, superstrade, impianti di depurazione e di rifiuti, ed altre attrezzature per lo più inutili. Che andrebbero sottoposte invece a una «project rewiew» secondo il nuovo Codice e per la gran parte cancellate.
Invece il Dipe della presidenza del consiglio ha ribadito che «per le opere già decise e avviate con la Legge Obiettivo si seguita a usare le procedure di tale normativa»; pure abrogate, ma come vediamo resuscitate.
Lo «Sblocca Italia» è per certi versi più criminogeno della Legge Obiettivo (definita così da Cantone): almeno quest’ultima introduceva semplificazioni per «comparti»; lo «Sblocca Italia» opera addirittura anche «a progetto» (che – come le inchieste della magistratura stanno dimostrando – significa spesso «per gruppi di interesse»).
Altro buco nero riguarda il decreto che interessa molte opere su «terre di scavo, fanghi e rifiuti», su cui il governo ha la delega in virtù dello stesso «Sblocca Italia».
Il ministro Orlando che ne pensa?
Su questo bisognerebbe chiedere al ministro della giustizia Orlando, che, poco prima del cambio di governo da Letta a Renzi, in veste di responsabile dell’Ambiente, era andato a Firenze, dove la Procura è titolare delle grandi opere fiorentine e nazionali, a dire che tale provvedimento (di semplificazione per il riutilizzo immediato delle terre di scavo e la possibilità di dichiarare per declaratoria i rifiuti tossici e pericolosi sottoprodotti riutilizzabili) era di fatto accantonato, perché tra l’altro difforme dalle direttive europee, «in vista di una normativa molto più rigorosa e orientata alla sostenibilità».
Tra l’altro tale norma costituiva l’ennesima riproposizione di tentativi analoghi, operati più volte e subito ritirati, durante i governi Berlusconi.
Cambiato il governo, Renzi ripristina invece il provvedimento inserendo anzi ulteriori allargamenti e facilitazioni e ne forza il riutilizzo per diverse opere (tra cui il già citato tunnel Tav di Firenze).
Le norme Madia contro il paesaggio
Il quadro è completato dalle ulteriori semplificazioni dovute alla normativa Madia, con colpi micidiali verso il paesaggio e i beni culturali (le assai contestate facoltà di aggirare i vincoli di tutela e subordinare le sovrintendenze ai prefetti), ma soprattutto con quella di far “saltare” l’intero iter previsto dal codice, per quelle opere annualmente definite strategiche per decreto dal Presidente del Consiglio.
Che in tal caso convoca una conferenza dei servizi e procede al di fuori di qualsivoglia pianificazione e valutazione. «Una clava – sostiene Anna Donati – in mano al premier», contro urbanistica, ambiente e paesaggio.
Appare chiaro che va, per un minimo di decoro e logica programmatica-normativa, cancellato con la Legge Obiettivo anche il suo «corpo resuscitato», lo «Sblocca Italia» e le semplificazioni della Madia.
Altrimenti il Codice, che tra l’altro necessita di molti provvedimenti attuativi, assume una funzione giusto opposta a quella per cui è stato promulgato.