La Società dei territorialisti (SdT) sulla riforma del Mibact
Da diversi giorni l’ennesima riforma in corso presso il Mibact, prevista da una norma che autorizza il Ministro “alla riorganizzazione, anche mediante soppressione, fusione o accorpamento, degli uffici dirigenziali, anche di livello generale, del ministero”, sta alimentando un acceso dibattito.Il dibattito ha assunto toni particolarmente polemici in relazione al previsto accorpamento delle Soprintendenze Archeologiche in un’unica Soprintendenza insieme alle Belle Arti e Paesaggio (con una corrispondente fusione delle due diverse Direzioni Generali attualmente presenti presso il Mibact).
I critici della riforma sostengono che questo continuo “fare e rifare” le strutture comporta necessariamente il disfarsi della tutela, e che di contro all’accorpamento degli uffici deputati alla tutela vi è un moltiplicarsi delle strutture speciali (come i grandi musei), delle altre Direzioni generali, e dei Sottosegretari.
Fra i sostenitori della riforma c’è chi, pur riconoscendo i problemi operativi che questa ennesima riforma pone (e che noi stessi riteniamo stiano mettendo in seria difficoltà, perlomeno in questa fase transitoria, l’esercizio delle funzioni di tutela che venivano finora esercitate), risponde alle critiche sostenendo che solo con un approccio globale e integrato, realmente multi- e interdisciplinare, è possibile affrontare la complessità di un territorio. Fra questi Giuliano Volpe, archeologo, attuale Presidente del Consiglio superiore dei Beni culturali, che ha citato esplicitamente l’importanza di un approccio “territorialista” nella tutela del territorio. Il paesaggio, a questo riguardo, costituirebbe l’elemento unificante e assumerebbe un ruolo centrale nella riforma.
Come membri della Società dei territorialisti sentiamo pertanto la necessità di esprimerci nel merito di questa polemica.
Condividiamo l’auspicio appena richiamato: certamente la prospettiva di avere al centro il paesaggio sarebbe davvero innovativa e interessante. In tale prospettiva avere un unico interlocutore che rappresenta i diversi istituti della tutela dei beni culturali e paesaggistici (che riguardano una parte del territorio regionale interessato dai piani paesaggistici) costituirebbe un passo avanti significativo nella direzione, auspicata dalla Società dei territorialisti, di considerare in modo integrato i diversi aspetti che riguardano il territorio e quindi il paesaggio.
In questa direzione c’è ancora molto da fare e la Sdt non si tirerà certamente indietro nel dare il proprio contributo all’attuazione di un approccio concretamente territorialista.
Esiste tuttavia un problema più generale che rischia di rendere l’affermazione condivisibile soltanto a livello teorico: il carattere estremamente marginale, nel nostro paese, delle politiche per il paesaggio, nonostante l’Italia abbia promosso e sottoscritto la Convenzione europea del paesaggio e sia dotata di un importante Codice dei beni culturali e del paesaggio, strumenti che insieme, negli ultimi dieci anni, hanno prodotto notevoli impegni e innovazioni nella elaborazione dei piani paesaggistici regionali. Anche il finora modesto impegno del Mibact nella promozione di una rete di osservatori (regionali e locali) diffusa su tutto il territorio, come richiesto dalla Convenzione europea e essenziale al buon funzionamento dell’Osservatorio nazionale, è un sintomo preoccupante della scarsa attenzione istituzionale in materia di paesaggio.
Come si esplicano infatti, di fatto e di diritto le competenze relative al governo del paesaggio? Quali sono davvero le politiche per il paesaggio messe in atto dal Mibact e dai suoi organi periferici, ovvero dalle Soprintendenze? Si può davvero sostenere che “il paesaggio assume un ruolo centrale”, e che dunque la riforma in atto rappresenti un passo avanti?
Fra le criticità di rilievo citiamo il fatto che le Soprintendenze esprimono, come noto, pareri relativi alle sole trasformazioni che insistono nelle aree assoggettate a vincolo paesaggistico (pareri che peraltro, in molti casi, non hanno evitato trasformazioni negative dei paesaggi), e che le Regioni, cui è affidata la redazione e l’attuazione dei piani paesaggistici, si apprestano a perdere, con la riforma del titolo V della Costituzione che attende il solo referendum confermativo, la competenza in materia di governo del territorio.
Per quanto riguarda i pareri delle Soprintendenze, anche laddove tali pareri siano riferiti non tanto a singoli immobili vincolati, bensì ad aree formalmente riconosciute (spesso in modo frammentario e casuale) come beni paesaggistici, l’approccio largamente prevalente è quello riconducibile alla trattazione di singoli beni di valore più o meno rilevante, indipendentemente dal contesto territoriale, qualificato da molteplici relazioni che dovrebbero essere tenute in conto complessivamente per una efficace azione di tutela. A questi limiti si aggiunge il fatto che la formazione disciplinare dei sovrintendenti, finora settoriale, non costituisce certamente la garanzia di un approccio integrato ai problemi del territorio che metta al centro il paesaggio e ne riequilibri e potenzi la cognizione rispetto alle singole categorie di beni.
Nelle prime esperienze di Piani paesaggistici redatti secondo il Codice, il contesto territoriale ha avuto invece rilevanza centrale, non solo nel definire le regole di trasformazione del territorio regionale secondo obiettivi di qualità paesaggistica, ma anche nell’indirizzare in modo innovativo e integrato il quadro interpretativo e normativo dei beni vincolati. Inoltre mettendo al centro il patrimonio paesaggistico nella sua accezione di contesto integrato e riferito ai “mondi di vita delle popolazioni” (Convenzione europea del paesaggio) il concetto di valorizzazione del patrimonio non può essere ridotto alla sua componente mercantile, essendo riferito all’elevamento della qualità della vita sul territorio delle popolazioni. L’attuazione dei (pochissimi) piani paesaggistici approvati, non essendo sostenuta da alcuna politica proattiva in materia di paesaggio, rischia tuttavia di non produrre l’innovazione auspicata.
Al di là poi dei piani paesaggistici, nel caso di grandi opere di competenza statale, gli aspetti paesaggistici non sono affatto considerati nella formazione delle decisioni, ma soltanto nelle conferenze dei servizi finali, quando il Mibact può dire soltanto sì o no, ed esclusivamente in base alla presenza o meno di vincoli.
Dato questo stato frammentario e marginale dell’attenzione istituzionale rivolta al paesaggio, e in assenza di concrete e innovative azioni per il paesaggio promosse con convinzione dal Mibact e sostenute dalla Presidenza del Consiglio, la riforma che unifica le Soprintendenze non ci sembra essere in grado di superare significativamente l’attuale approccio orientato alla tutela dei singoli beni, con il rischio di indebolire le competenze riferite a ciascuna categoria di beni (architettonici, archeologici, paesaggistici ecc.), che non saranno più rappresentate da un dirigente, bensì nella migliore delle ipotesi da un funzionario cui sarà attribuita una “posizione organizzativa”.
Come Società dei territorialisti auspichiamo di poter cambiare idea, ma potremo farlo soltanto alla luce di effettive prospettive di concrete politiche che mettano davvero “il paesaggio al centro”.
Per il Comitato Scientifico della Società dei Territorialisti:
Paolo Baldeschi Angela Barbanente Piero Bevilacqua Luisa Bonesio Paola Bonora Gianluca Brunori Roberto Camagni Franco Cambi Lucia Carle Pierluigi Cervellati Giuseppe Dematteis Claudio Greppi Alberto Magnaghi Angelo Marino Anna Marson Ottavio Marzocca Raffaele Paloscia Massimo Quaini Saverio Russo Enzo Scandurra
Firenze, 21 febbraio 2016