Salviamo la città dalla sindrome di Venezia
di Tomaso Montanari, su Repubblica, 25 novembre.
L’articolo di Montanari è un commento al servizio di Ernesto Ferrara sulle pagine nazionali di Repubblica.
Che la lettera dell’Unesco al governo italiano sullo stato di Firenze abbia una vera rilevanza politica lo prova il fatto che il sindaco Dario Nardella l’abbia chiusa per sei mesi in un cassetto: se oggi tutti possiamo leggerla e grazie alla Rete dei comitati per la difesa del territorio.
L’Unesco entra a piè pari nella politica della città, rilevando l’«insufficient management of tourism», anzi l’«absence of tourist strategy». L’assenza di un qualunque governo del turismo è uno dei problemi principali del Paese: sia da un punto di vista dello sviluppo economico (fino a quando l’Enit sarà bloccato da una paralisi che Dario Franceschini non riesce a sanare?), sia da quello della sostenibilità ambientale e sociale. Firenze va verso Venezia, dice l’Unesco: cioè verso una progressiva espulsione dei residenti, una irreversibile trasformazione in lussuoso parco a tema del passato. Il rimedio non è certo fermare il turismo, ma governarlo: indirizzandolo verso l’enorme parte del Paese che è tagliata fuori, decongestionando i feticci ormai al collasso.
Colpisce poi la critica radicale alla privatizzazione dello spazio pubblico italiano. La lettera nomina esplicitamente il luogo simbolo di piazza Brunelleschi, nel cuore di Firenze. Qua si sta per scavare l’ennesimo, inutile parcheggio: pericoloso per i monumenti (siamo a pochi passi dalla Cupola del Duomo), lesivo della piazza (che sarà ridotta a tetto di un grande silos interrato), dannoso per i residenti. Contestualmente la Rotonda di Brunelleschi, opera importantissima del padre del Rinascimento, rischia di essere venduta, magari trasformata in albergo di lusso: sarebbe l’ennesimo caso. Anche questa è una tendenza nazionale: pericolosissima dopo che lo Sblocca Italia ha estromesso il Ministero per i Beni culturali dalla scelta degli immobili da alienare. Il fatto che l’Unesco si preoccupi non solo della conservazione materiale dei monumenti, ma anche della loro funzione sociale e civile dovrebbe aprire gli occhi ai molti che – in Italia – sostengono che valorizzazione significhi mercificazione: dobbiamo invertire la rotta, se non vogliamo ridurci a guardiani di un luna park altrui.
Infine, l’impatto delle Grandi Opere sul tessuto del paesaggio e delle città: l’Unesco guarda con preoccupazione al sottoattraversamento Tav e al folle sventramento del centro storico previsto per la tranvia (cui ora si aggiunge il pessimo progetto del nuovo aeroporto fiorentino). Su questi temi l’Unesco loda l’azione dei comitati (i “comitatini” sbeffeggiati da Matteo Renzi) e critica la mancanza di collaborazione del governo italiano. Se quei cittadini fossero stati ascoltati (ovunque: pensiamo alla Val di Susa, dove il Tribunale Permanente dei Popoli ha appena condannato «l’intero sistema delle grandi opere inutili e imposte»), oggi l’Unesco non dovrebbe denunciare il tramonto di Firenze. La morale è che «è sempre necessario acquisire consenso tra i vari attori sociali, che possono apportare diverse prospettive, soluzioni e alternative. Nel dibattito devono avere un posto privilegiato gli abitanti del luogo, i quali si interrogano su ciò che vogliono per sé e per i propri figli, e possono tenere in considerazione le finalità che trascendono l’interesse economico immediato». E questo non è l’Unesco, né i comitati: è l’enciclica di papa Francesco.