I nostri boschi, relitti di antichi ecosistemi

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di PIERO BEVILACQUA, da Eddyburg, 16 Settembre 2015

All’Expo di Milano, nel cele­brato Padi­glione Zero, ho fatto una sco­perta sor­pren­dente. Una delle tante imma­gini dedi­cate ai pro­blemi ali­men­tari e ambien­tali, mostrava una pian­ta­gione di palme da olio, men­tre la dida­sca­lia infor­mava che essa ser­viva a pro­teg­gere la fore­sta amaz­zo­nica. Chissà quante migliaia di per­sone si sono lasciate per­sua­dere da quel mes­sag­gio. Ma è accet­ta­bile que­sto modo di pro­teg­gere la più vasta fore­sta plu­viale rima­sta sulla Terra? Il fatto che si abbat­tano alberi non per costruire edi­fici, per aprire nuovi pascoli, per impian­tare lati­fondi di soia gm, ma altri alberi, le palme, è una ope­ra­zione ambien­tal­mente benefica?Vec­chi alberi sosti­tuiti da nuovi alberi? Ma quando si abbat­tono i vec­chi alberi, in Amaz­zo­nia, si fanno spa­rire per sem­pre piante mil­le­na­rie. E non è solo que­sto il muta­mento e il danno più rile­vante. La fore­sta plu­viale costi­tui­sce il bacino più ricco di bio­di­ver­sità pre­sente sul pia­neta. Non si abbat­tono solo gli alberi, si distrugge un eco­si­stema di grande com­ples­sità e ric­chezza, com­pren­dente uno numero incal­co­la­bile di mam­mi­feri, ret­tili, uccelli, anfibi, insetti, e poi erbe, arbu­sti, piante, fiori molti dei quali ancora sco­no­sciuti alla scienza.
Ad essere scon­volta è poi la chi­mica del suolo, la pio­vo­sità locale, il regime delle acque, il clima. Dun­que si annienta un patri­mo­nio mil­le­na­rio con i suoi sco­no­sciuti equi­li­bri per impian­tare una mono­cul­tura indu­striale con­ci­mata chi­mi­ca­mente e difesa dai paras­siti attra­verso gli anti­pa­ras­si­tari. Si tutela così l’Amazzonia?
Que­sta espe­rienza mi induce a svol­gere qual­che rifles­sione su ciò che dovremmo inten­dere per natura e per ambiente, due realtà ben diverse, che richie­dono stra­te­gie e com­por­ta­menti umani fra loro differenziati.
Il ter­mine ambiente, quale sino­nimo di mondo natu­rale, ha assunto solo di recente tale signi­fi­cato. Nell’800 indi­cava un milieu sociale o cul­tu­rale e solo nella seconda metà del ‘900 il ter­mine è stato cur­vato (e infla­zio­nato) a signi­fi­care la natura vivente. In realtà, con la parola ambiente noi indi­chiamo nor­mal­mente la natura così come la espe­riamo in Ita­lia e in Europa, vale a dire in un’area del mondo antro­piz­zata da alcune migliaia di anni. Qui ogni cosa, dell’assetto natu­rale ori­gi­na­rio – foreste, mac­chie, per­fino laghi e fiumi – è stata pro­fon­da­mente rimo­del­lata dall’azione umana. Que­sto è quel che si chiama ambiente, men­tre è natura la Fore­sta amaz­zo­nica, prima che diventi ambiente con le mono­cul­ture di palma.
Occorre dire che la distin­zione non è sem­pre cosi sem­plice e così netta. Come defi­ni­remmo oggi la Savana afri­cana? Quella vasta distesa pia­neg­giante, pun­teg­giata di radi alberi e arbu­sti e popo­lata da leoni, zebre, ele­fanti, giraffe, ecc.? Che cosa c’è di più natu­rale nell’immaginario occi­den­tale? Eppure – lo hanno sco­perto i geo­grafi nel secolo scorso – la Savana è opera dell’uomo. E’ il risul­tato della distru­zione della fore­sta ori­gi­na­ria, ope­rata dalle popo­la­zioni col fuoco e i vasti dibo­sca­menti a fini di cac­cia, crea­zione di pascoli, col­ti­va­zioni. Quella che i turi­sti osser­vano come natura sono i relitti di una radi­cale distru­zione degli anti­chi eco­si­stemi. E’ com­pren­si­bile dun­que che allor­ché un nuovo ordine natu­rale si viene a creare a opera degli uomini occorra par­lare di ambiente e non di natura. E non certo per cap­ziose ragioni seman­ti­che, ma per le diverse stra­te­gie di umano com­por­ta­mento che essa richiede. La natura va con­ser­vata così com’è, l’ambiente, che costi­tui­sce un ordine arti­fi­ciale, va tenuto nel suo nuovo equi­li­brio dall’opera umana che l’ha creata.
Qual­che esem­pio ci con­duce ai pro­blemi dell’oggi. Que­sta estate ho com­piuto un’escursione sul Monte Reven­tino, nel Parco nazio­nale della Sila. Scen­dendo per i boschi verso il comune di Decol­la­tura, sono stato let­te­ral­mente asse­diato da uno spet­ta­colo che non poteva sfug­gire nep­pure a un occhio distratto. Cen­ti­naia e sicu­ra­mente migliaia di alberi erano rico­perti e sopraf­fatti da un ram­pi­cante, spesso bian­cheg­giante per i suoi fiori a cascata. Ho rico­no­sciuto la ter­ri­bile vitalba (Cle­ma­tis vitalba). Molte aree erano let­te­ral­mente som­merse, tanti alberi erano già sec­chi, sche­le­tri che si alza­vano al cielo in mezzo a una vege­ta­zione rigo­gliosa e cao­tica. La vitalba – che Colu­mella con­si­glia di uti­liz­zare in insa­lata, come sanno ancora i nostri con­ta­dini – è una infe­stante di ter­ri­bile vita­lità: si arram­pica sugli alberi for­mando lun­ghis­sime liane e ha radici sot­ter­ra­nee che cre­scono come la parte aerea della pianta.
Abban­do­nato a se stesso, nel giro di un decen­nio quel bosco popo­lato da casta­gni, cerri, pioppi, ontani, e innu­me­re­voli arbu­sti sarà pro­ba­bil­mente distrutto. L’ambiente sarà defi­ni­ti­va­mente scon­volto, ma vin­cerà la natura, con il suo vitale e stra­ri­pante disor­dine. E’ auspi­ca­bile che ciò accada? Lasciamo che gli alberi, pian­tati dagli uomini, utili un tempo alle loro eco­no­mie, vadano in rovina? E se si vuole inter­ve­nire, che cosa occorre fare? Chie­dendo a un con­ta­dino del luogo ragione dell’invasione della vitalba, mi ha spie­gato che un tempo il pro­blema non si poneva, per­ché il bosco era bat­tuto dagli ani­mali. Ci pen­sa­vano le capre, le pecore, i maiali a tenere a bada quelle e altre infe­stanti. Sag­gia e per­sua­siva spie­ga­zione, per­ché il bosco è una crea­zione dell’uomo, ed è la sua pre­senza, la sua manu­ten­zione quo­ti­diana che man­tiene in un equi­li­brio eco­no­mi­ca­mente e ambien­tal­mente van­tag­gioso quell’ordine arti­fi­ciale da esso stesso creato.
Il caso del Monte Reven­tino è para­dig­ma­tico e denun­cia un defi­cit cul­tu­rale e poli­tico, una assenza di infor­ma­zione di rile­vante gra­vità. I nostri boschi sono in una con­di­zione di abban­dono e di insel­va­ti­chi­mento. Ho visi­tato l’Aspromonte di recente e ho tro­vato i suoi mae­stosi pini rico­perti da ster­mi­nate “nuvole” di nidi di pro­ces­sio­na­rie che ne deter­mi­ne­ranno la morte. Boschi immensi e un tempo mera­vi­gliosi sono asse­diati da eser­citi di paras­siti che avan­zano di anno in anno scac­ciando ogni pre­senza umana. I casta­gneti di tutto il nostro Appen­nino sono infe­stati da un ter­ri­bile paras­sita, il cini­pide, che impe­di­sce da anni ogni rac­colto. Men­tre ovun­que avanza, dall’Emilia in giù, la mac­chia sel­va­tica e i rovi.
Anche la que­stione dei cin­ghiali, emersa dram­ma­ti­ca­mente ad ago­sto, appar­tiene allo stesso ordine di pro­blemi. Que­sti ani­mali immessi nelle nostre selve per ripo­po­lare esem­plari da cac­cia, in virtù anche della loro cre­scita spon­ta­nea, si mol­ti­pli­cano sem­pre più nelle aree abban­do­nate della nostra Peni­sola. Il loro numero debor­dante li porta ad inva­dere le cam­pa­gne, a dan­neg­giare le col­ti­va­zioni ad arri­vare agli abi­tati in cerca di cibo. Ma anche i cin­ghiali come i nostri boschi denun­ciano che l’ordine arti­fi­ciale, l’ambiente creato dagli uomini, non è più curato, man­te­nuto nei suoi equi­li­bri ed è lasciato alla degra­da­zione. E que­sto avviene per­ché sono state abban­do­nate le anti­che eco­no­mie, svuo­tati gli abi­tati, scom­parsi i mestieri, per­duti gli umani pre­sidi che gover­na­vano il rap­porto con l’habitat locale. Così i pre­ce­denti van­taggi goduti dalle popo­la­zioni si tra­sfor­mano in danni e minacce per le nuove.
Non può dun­que non stu­pire (fino a un certo punto) il recente accor­pa­mento, voluto dal governo Renzi, del Corpo delle guar­die fore­stali con l’Arma dei cara­bi­nieri. Non che le guar­die fore­stali siano suf­fi­cienti ad affron­tare i pro­blemi accen­nati, ma inde­bo­lirne l’istituzione non è certo il modo migliore per fron­teg­giarli. In realtà l’iniziativa gover­na­tiva mostra indi­ret­ta­mente l’ignoranza grave e per­du­rante delle nostre classi diri­genti dei pro­blemi del ter­ri­to­rio nazionale.
Stiamo per­dendo patri­moni natu­rali immensi, interi paesi e bor­ghi, estesi pezzi di Peni­sola, poten­ziali luo­ghi di ric­chezza e umano benes­sere, luo­ghi in cui sono stati inve­stiti nei secoli e decenni illi­mi­tate risorse e lavoro e nes­suno, in Ita­lia, fiata. Che paese è mai que­sto dove si fa depe­rire la ric­chezza reale e stuoli di eco­no­mi­sti, truppe di diri­genti poli­tici e sin­da­cali ci assor­dano ogni giorno con le loro ricette di cre­scita senza nes­sun cenno al territorio?