di MARCO OMIZZOLO e ROBERTO LESSIO, su Il manifesto, 10 Giugno.
Tre anni fa il Summit G8 del 2012 proclamava la nascita della «Nuova Alleanza per la sicurezza alimentare e la nutrizione». L’accordo faceva leva sulla retorica strumentale e ipocrita dell’aumento della produzione di cibo per salvare dalla povertà e dalla fame 50 milioni di persone. Il solito slogan usato cinicamente per incentivare forme di speculazione, anche finanziaria, che sembrano aver trovato un nuovo Eldorado nell’accaparramento di terra agricola in Africa, Sud America e Asia. In quell’occasione, una sorta di antipasto del Ttip, si trovarono allo stesso tavolo dieci paesi africani, non certo tra i più poveri, tra i quali Ghana, Nigeria, Mozambico, Tanzania, e centinaia di multinazionali dell’agro-industria tra cui le più grandi nella produzione di pesticidi, sementi ibride e Ogm (Yara, Cargill, Monsanto).Più mercato, più privatizzazioni
Dietro le proclamazioni ufficiali si nascondeva in realtà, senza un velo di imbarazzo, il tentativo di aprire nuovi mercati in Africa alle imprese europee e americane che, in cambio di un impegno vago ad investire denaro contante nei dieci paesi africani interessati, ricevettero impegni precisi da parte di quegli stessi governi africani per l’avvio di processi di privatizzazione della terra. In particolare fu prevista la concessione a imprese multinazionali delle «terre comuni» utilizzate da sempre dai villaggi per il sostentamento collettivo delle comunità (land-grabbing), incluse politiche volte alla legalizzazione degli Ogm e di sementi brevettate con contestuale criminalizzazione di pratiche di scambio di sementi operate dai contadini. Prevista anche la trasformazione della produzione agricola di tipo familiare su piccola scala, che in Africa riguarda ancora il 60% dei contadini e l’80% della produzione totale di cibo, verso sistemi di produzione industriale ispirati ad un modello che nel mondo ha già mostrato i suoi limiti: inquinamento, cambiamenti climatici, problemi di obesità e malnutrizione.
I contratti imposti alle popolazioni locali prevedono, tra le altre cose, il pieno ed esclusivo utilizzo di tutte le risorse sottostanti e sovrastanti la terra acquistata. Questo significa che senza un limite contrattuale, qualsiasi sia la coltura che quell’azienda decide di coltivare, oltre al terreno può disporre di tutta l’acqua che ritiene necessaria senza versare alcun canone aggiuntivo. Le popolazioni locali dovranno lasciare quel luogo ormai non più loro, dopo di ché tutto quello che insiste su quel suolo diventa di proprietà delle aziende locatarie o dei fondi pensione occidentali che hanno avviato enormi operazioni di investimento e speculazione su quelle terre. Si consideri che negli ultimi anni sono stati accaparrati terreni per 87 milioni di ettari. Significa cinque volte la superficie arabile d’Italia, che nel suo complesso è di circa 30 milioni di ettari: si tratta del 2% delle terre coltivabili nel mondo. È lo stesso meccanismo finanziario adottato in Inghilterra dal governo della signora Margaret Thatcher circa trent’anni fa con il fallimentare slogan «meno Stato, più mercato».
Per il report dell’associazione Terra Nuova e del Transnational Institute, i benefici promessi dal settore privato e dai donatori evaporano quando le organizzazioni contadine più critiche e i loro sostenitori cercano di determinarne gli impatti. Ciò che rimane è un sistema organizzato con lo scopo di penalizzare i piccoli produttori a beneficio delle multinazionali attraverso la privatizzazione dei beni pubblici e collettivi dai quali dipendono le condizioni di vita delle popolazioni rurali. Privatizzazione infatti in primo luogo significa privare tutti di beni comuni quali il suolo agricolo e l’acqua. Privati delle terre e dei mezzi di sostentamento, le comunità rurali non hanno altra scelta che integrarsi a condizioni svantaggiose in sistemi di produzione di cui perdono completamente il controllo. L’alternativa per la sopravvivenza è migrare verso le città o altri paesi.
Giù le mani dalle sementi
È per questi motivi che in occasione del G7 le associazioni impegnate nella difesa della sovranità alimentare hanno chiesto ai Governi dei paesi che hanno sottoscritto la Nuova Alleanza alcuni impegni precisi, a partire dalla predisposizione in ogni nazione di una piattaforma sociale che comprenda i diversi attori interessati da queste politiche. Tra questi ci dovranno essere le organizzazioni contadine e gli altri gruppi emarginati, insieme a quelle che si occupano della difesa del diritto al consenso libero, preventivo e informato di tutte le comunità vittime della speculazione economica sulla terra, oltre a quelle che garantiscono la loro piena partecipazione al governo del territorio e delle risorse naturali. L’impegno continua con la richiesta di rispettare i diritti dei contadini a produrre, proteggere, utilizzare, scambiare, promuovere e vendere le proprie sementi e aumentare il sostegno al sistema delle banche contadine dei semi. Fondamentale è la richiesta dello stop con contestuale revisione di tutti i processi sulla legislazione sulle sementi basati sulla convenzione Upov del 1991. La richiesta riguarda tutti i brevetti e le leggi che minacciano i diritti dei piccoli agricoltori. Sono previste infine politiche pubbliche di sostegno per questa categoria di produttori, incluse le organizzazioni della società civile e dei consumatori a livello regionale e nazionale per sviluppare un dibattito sulla sovranità alimentare, sul diritto al cibo e sull’agro ecologia.
Le organizzazioni che hanno sottoscritto la dichiarazione a livello mondiale sono numerose e tra queste si contano oltre a Terra Nuova anche ActionAid International, Africa Europe Faith and Justice Network, Grain, Greenpeace Africa, La Via Campesina Southern and Eastern Africa, Oxfam, Transnational Institute, Unión Solidaria de Comunidades — Pueblo Diaguita Cacano, Réseau Maerp Burkina Faso, Coalition of Women’s Farmers, Cnop Mali, Global Justice Now e molte altre. Un’iniziativa che vuole unire le associazioni di tutto il mondo per combattere contro la fame, la miseria e soprattutto i grandi affari delle multinazionali, dell’agro-finanza e dei loro governi amici