di Alberto Asor Rosa, Il Manifesto, 2 aprile 2015.
(di seguito, la risposta di Enrico Rossi del 5 aprile, nonché la replica di Paolo Baldeschi del giorno successivo)
Le vicende che hanno portato in Toscana all’approvazione, quanto mai difficile e tormentata (nel penultimo giorno utile della legislatura!) del cosiddetto Piano paesaggistico regionale, meritano una riflessione che travalica i confini del caso specifico e s’allarga inequivocabilmente a una dimensione nazionale.
In estrema sintesi (quindi, anche con qualche inevitabile imprecisione). Il Piano paesaggistico è lo strumento che disciplina il governo del territorio: proteggendo più o meno caratteri e morfologia del paesaggio e dell’ambiente; disciplinando in forme più o meno chiare e definite il consumo del suolo, problema divenuto in questi anni in Italia drammatico, anzi, ormai sull’orlo della catastrofe.
Nel governo regionale toscano, a maggioranza Pd, e sotto la presidenza di Enrico Rossi, l’assessorato all’urbanistica, ricoperto da Anna Marson, tecnico di valore, docente nella facoltà di architettura di Venezia, ha iniziato da subito un minuzioso lavoro di studio e di definizione (con l’ausilio anche delle competenze espresse dalle principali università toscane), il quale ha portato più o meno nell’estate scorsa ad un testo giudicato unanimemente di grande valore ed efficacia. La supremazia decisionale della Regione sulle singole rappresentanze locali e un sistema di regole chiare e ineludibili ne costituivano il tessuto culturale e politico.
In questa lunga fase i rapporti fra la presidenza Rossi e le istanze ambientaliste sono state generalmente (anche se non uniformemente) buoni. La Rete dei comitati per la difesa del territorio, che allora presiedevo, ha avuto numerosi incontri con Rossi e la sua Giunta, credo con reciproco vantaggio. Tutto ciò si è allentato, fino a scomparire del tutto, dal momento in cui Rossi si è ricandidato alla presidenza della Regione con l’esplicito avallo di Matteo Renzi (ma non intendo stabilire rapporti troppo stretti da causa ed effetto tra le varie vicende narrate, le quali invece, come vedremo, si prestano a molteplici e contraddittorie interpretazioni).
Vengo rapidamente al dunque. Il Piano, dopo aver ricevuto numerosi riconoscimenti e approvazioni da parte delle forze che compongono l’attuale maggioranza, entra nella fase di discussione consiliare e del voto.
Emergono a questo punto le resistenze più acri e selvagge. A parte l’ostilità delle opposizioni in Consiglio, Fi e altri, in qualche modo scontate, gli interventi più distruttivi in materia di disciplina ambientale e regole e tutela del paesaggio, si manifestano tra le file del Pd. In numerose occasioni Pd e Fi ragionano e votano in maniera sorprendentemente identica.
Due concezioni dell’ambiente e del territorio, ma ancor più, due modi d’intendere la politica e la società (come ebbe a dire più tardi l’assessore Marson) si fronteggiano con dura chiarezza: non , come pretenderebbero gli avversari del Piano, fra una “idea di sviluppo” e “una che rifiuta lo sviluppo”, facendosi carico di un improbabile ritorno all’indietro; ma fra una politica sfacciatamente ancorata agli interessi privati e una che assume come proprio punto di riferimento gli interessi collettivi e i bisogni della cittadinanza; e dunque, a ben vedere, tra un modello di sviluppo ormai sterile e autodistruttivo e un diverso e innovativo modello di sviluppo (che è poi ovunque, e sempre di più, la vera posta in gioco dello scontro).
La battaglia è durissima, e a un certo punto sembra perduta. Rossi, inaspettatamente, la porta a Roma, dove trova un sostegno nel Mibact, e più precisamente nelle persone del ministro Franceschini e, in modo particolare, del sottosegretario Borletti Buitoni. Ma il Mibact non fa parte del governo di Matteo Renzi, i cui pasdaran nel consiglio regionale toscano hanno azzannato il Piano come lupi affamati? Mah… sì. Evidentemente non tutto corrisponde ancora a una logica rigidamente formale (questa considerazione determinerà una parte delle conclusioni).
Il Piano, ferito in più punti ma non svuotato, viene riportato in Consiglio regionale e approvato. Io la considero una grande vittoria, e vorrei che questo, nonostante tutto, sia posto alla base del ragionamento futuro.
Le considerazioni che vorrei fare sull’accaduto sono le seguenti.
La mobilitazione a difesa del Piano è stata imponente. Quando tutte le associazioni ambientaliste, talvolta divise da quisquilie o da ragioni di bandiera, si coalizzano, com’è accaduto prontamente questa volta, è difficile per chiunque far finta di niente. Questa unanimità di propositi ha trascinato con sé anche la grande stampa nazionale, oltre che i giornali amici per definizione come il manifesto. Questo spirito di coalizione (per restare nel vocabolario di questi giorni) andrebbe secondo me coltivato sempre di più.
Se si mette in campo un fronte come questo, nessuna battaglia ambientalista può esser considerata perduta in partenza. Vale per il presente, ma anche per il futuro. Lo dico per i molti compagni buoni combattenti ma troppo scettici.
L’amara lezione della serrata discussione sul Piano è che il Pd toscano sembra perduto a qualsiasi possibile motivazione di etica ambientalista e territoriale. Non solo, infatti, singoli consiglieri regionali iscritti a quel partito si dedicavano alle furibonde scorrerie di cui abbiamo detto. Ma nessuno degli organismi istituzionali di tale partito è mai intervenuto, come avrebbe facilmente potuto, per impedirle o almeno sedarle. Questo, di conseguenza, rappresenta il principale problema politico oggi in Toscana.
Prima, durante e dopo la fase di discussione delirante, di cui abbiamo parlato, il ruolo dell’assessore Marson è apparso decisivo. Nell’intervento pronunciato dopo il voto di approvazione, Anna Marson ha dimostrato di essere in grado di trasferire la propria sapienza tecnica e disciplinare in quel che lei stessa ha giustamente chiamato un atteggiamento «diversamente politico». Bisogna dire fin d’ora, con chiarezza e onestà intellettuali e politiche, che, se l’approvazione del Piano paesaggistico ora non è una burla, il ruolo dell’assessore all’urbanistica nella giunta regionale di domani, quale che essa sia, non può esser messo in discussione.
Infine. In Toscana si vota per le elezioni regionali a maggio. Dunque, esiste un corto circuito ravvicinatissimo fra gli avvenimenti che hanno riguardato l’approvazione del Piano in consiglio regionale e il voto del prossimo maggio. La Rete dei comitati non ha mai preso posizione a favore di questa o quella formazione politica in sede di voto, e penso che debba continuare a farlo (o non farlo, a seconda dei casi). Ma non riterrei disdicevole oggi che essa esprima una preferenza di massima a favore di tutte quelle formazioni che oggi si dichiarino per i valori del territorio e della salvaguardia e dello sviluppo dei beni ambientali. Constato che c’è in giro, in Toscana, sia a livello regionale sia a livello locale, una buona aria di lotta e di riscatto, che va aiutata e confortata.
Le questioni ancora pendenti sono del resto numerose e talvolta sull’orlo della catastrofe. Si pensi, per fare un esempio eclatante, alla sciagurata intrapresa, per dimensioni ed esiti, del sottoattraversamento ferroviario di Firenze, risolvibile in tutt’altro modo, come ormai tutti sanno, con spesa infinitamente minore e senza l’inevitabile debito contratto con la corruzione. Si voti per chi è contrario al sottoattraversamento. O contro la seconda pista all’aereoporto di Firenze. O è per la ragionevole soluzione dei problemi geotermici regionali, ecc. ecc. ecc.
Invece di chiacchiere, impegni concreti e facilmente individuabili e definibili. Se così accadesse, invece di una campagna elettorale a senso unico, — come sempre, dall’alto verso il basso, — ce ne sarebbe una bifronte. Si voti per chi s’impegna a fare le cose che noi chiediamo. Nessun impegno, niente voto. Così un eventuale Piano paesaggistico, o quant’altro di simile, correrà la prossima volta all’approvazione trionfalmente, senza gli ostacoli che ora abbiamo conosciuto, e come avrebbe meritato che anche questa volta accadesse.
Il piano del paesaggio, una vittoria per la sinistra
di ENRICO ROSSI, Il Manifesto, 5 aprile 2015.
Ho letto con interesse il recente articolo di Asor Rosa(I nazareni della Toscana), che ricostruisce le ultime fasi d’approvazione del nostro piano del paesaggio. Anch’io sono certo che la sua adozione sia stata una grande vittoria; una scelta lungimirante, che ha messo al sicuro la Toscana e che rappresenta un passo avanti esemplare nella tutela dei beni culturali e paesaggistici, in grado di segnare la rotta per il resto del paese.
Asor Rosa intesta — con buoni argomenti — una parte del successo alla pressione mediatica e sociale. Petizioni, appelli di autorevoli intellettuali, interventi sulla grande stampa di associazioni come Italia Nostra, Fai, Legambiente e altri. Tutto vero e utile. Io stesso ho risposta a oltre 5mila lettere di cittadini preoccupati, che chiedevano garanzie e rassicurazioni. Tutto questo ha prodotto un concorso di idee e passione civile che ancora una volta pone al centro del dibattito e della «questione democratica» i temi della partecipazione, della rappresentanza e dei beni comuni.
Tuttavia un fatto resta indiscutibile: siamo l’unica Regione ad aver approvato il piano del paesaggio, in un dibattito a tratti aspro, ma con uno sforzo collettivo capace di andare fino in fondo.
E questo dopo un lavoro lungo quattro anni, che ha visto integrarsi università, uffici regionali, politica e rete dei comitati, in un inedito sforzo di ricomposizione tra quelli che Gramsci chiamava «intellettuali» e «popolo».
Avevamo anche il dovere di copianificare tutto con il Ministero e non ci siamo sottratti. Per me è stato un onore scrivere un emendamento che è stato condiviso dal Ministero e votato dal Consiglio regionale. Quello che sembrava un cortocircuito tra federalismo e centralismo si è rivelato un successo istituzionale, rispetto al quale i retroscena sui ’nazareni’ e le ’larghe intese’ appaiono davvero irrilevanti.
Il nostro piano rappresenta la conclusione di un percorso di leggi e interventi di governo del territorio, che hanno reso la Toscana una delle regioni più protette d’Europa. Leggi discusse e approvate nello stesso Consiglio ingiustamente messo in ombra dalle cronache. Mi riferisco allo stop all’edificazione in tutte le aree a rischio idraulico, al consumo zero di suolo, alla ripubblicizzazione delle cave Apuane, alla messa in sicurezza del sistema idrogeologico. Piuttosto che «relazioni pericolose» tra maggioranza e opposizione, nel corso dei mesi ho assistito a opposti estremismi: quello di chi voleva continuare ad avere le mani libere e di chi invece quello di chi voleva frenare ogni sviluppo.
Un paesaggio che è nato da secolare armonia tra lavoro e elementi naturali, vive e si rigenera solo nella salvaguardia di questa relazione, non nella sua scissione e separazione. D’altro canto la dialettica e la sintesi restano a mio giudizio la principale risorsa della politica. Una Toscana imbalsamata finirebbe per perdere la capacità di emancipazione e avanzamento sociale, che viene dai distretti produttivi, dalle reti infrastrutturali e dalla valorizzazione del capitale umano.
Nella nostra regione ci sono circa 200 mila disoccupati e ogni anno 6.500 ragazzi abbandonano gli studi. Dobbiamo costruire le condizioni per incentivare opportunità di lavoro e investimento produttivo. Non si può chiedere tutto alla rendita immobiliare o al turismo: sarebbe insostenibile anche sul piano ambientale. Occorrono lavoro, formazione, ricerca e produzioni di qualità. Come stiamo cercando di fare con infrastrutture e bonifiche sulla costa, da Piombino a Livorno fino a Massa.
Seguo e osservo con grande interesse quello che accade nella sinistra italiana e sono certo che la crisi dei corpi intermedi e dei partiti impone il dovere di allargare lo spettro della rappresentanza, della discussione e della decisione politica. Sono grato ai comitati di cittadini impegnati da anni nelle battaglie ambientali e civili.
Asor Rosa ha scritto che il voto è uno strumento di influenza democratica e dovrà essere usato con intelligenza, indirizzandolo verso i problemi e le soluzioni concrete. Credo che con il Piano del Paesaggio anche in Toscana possiamo contribuire alla ricomposizione delle forze progressiste e delle culture della sinistra. Ci sono tutte le premesse. Tra le molte possibilità anche il voto disgiunto, consentito dalle regole e dall’offerta politica. Esso rappresenta un’opportunità per tutti coloro che sono disposti a superare gli steccati davanti alla concretezza delle sfide.
A proposito della proposta politica di Enrico Rossi
Il succo ‘politico’ delle dichiarazioni di Rossi, sta nelle ultime frasi, in particolare quando il Presidente afferma: “sono certo che la crisi dei corpi intermedi e dei partiti impone il dovere di allargare lo spettro della rappresentanza, della discussione e della decisione politica. Sono grato ai comitati di cittadini impegnati da anni nelle battaglie ambientali e civili”. E subito dopo: “credo che con il Piano del Paesaggio anche in Toscana possiamo contribuire alla ricomposizionee delle forze progressiste e delle culture della sinistra. Ci sono tutte le premesse. Tra le molte possibilità anche il voto disgiunto, consentito dalle regole e dall’offerta politica”.
Rossi, a quanto sembra, invita gli elettori di sinistra che non voteranno né Pd né Grillo, ma più probabilmente altre liste, a esprimere comunque un voto a suo favore. Dobbiamo prendere sul serio la proposta di Rossi o si tratta solo di un brillante escamotage per porre fine a una polemica? Proviamo a prenderla sul serio.
La risposta potrebbe essere la seguente. Caro Presidente, quanto lei scrive è indubbiamente di grande importanza e siamo soddisfatti che abbia riconosciuto il ruolo positivo di associazioni ambientaliste e comitati nelle vicende del Piano paesaggistico e più in generale nella tutela del territorio toscano. L’unico appunto è che nel suo intervento sia riproposta la teoria degli “opposti estremismi”, intesi come contrapposizione tra un’imprenditoria di rapina che pretende di avere le mani totalmente libere e un ambientalismo ‘imbalsamatore’ che vuole frenare ogni sviluppo. Lei sa bene che gli ambientalisti e i comitati vogliono arrestare – non basta frenare – lo sviluppo distruttivo e vogliono supportare, nei limiti delle loro possibilità, quello che crea lavoro, tanto meglio se qualificato, come lei stesso dice.
Ma torniamo alla sua proposta che indica come possibile una ricomposizione delle forze progressiste e della cultura della sinistra e all’ipotesi di un possibile voto disgiunto. L’una cosa si lega all’altra. In effetti, potrebbe essere la gestione del Piano paesaggistico a costituire il vero e proprio banco di prova di questa proposta, ma il dubbio è il seguente: lei è sicuro che sarà seguito su questa strada dal suo partito? E che un modello di governo toscano un po’ eccentrico rispetto a quello nazionale sarà supportato, o per lo meno non ostacolato, dagli organismi centrali del Pd?