nello sfascio dell’urbanistica.
di Ilaria Agostini, da Eddyburg, 23 Novembre 2014
Nel clima di disfacimento dei valori democratici, sociali e ambientali che per più di mezzo secolo hanno sovrainteso all’urbanistica nazionale, la nuova legge urbanistica toscana (n. 65/2014, Norme per il governo del territorio), tenacemente voluta dall’assessore Anna Marson, oppone resistenza.
La legge è impostata sui principi di cura della città e del territorio, di riproduzione dei paesaggi regionali, di incremento delle pratiche partecipative e di interdipendenza delle comunità locali nel quadro della pianificazione sovracomunale. Al centro dell’architettura concettuale della nuova disposizione legislativa è il raggiungimento di un equilibrio stabile tra urbano e rurale, che si realizza a partire dalla presa d’atto del ruolo multifunzionale giocato dall’agricoltura nella salvaguardia idrogeologica, nel mantenimento della qualità paesaggistica e della biodiversità, e nell’incremento del benessere diffuso (anche economico) della popolazione. Il contenimento del consumo delle terre fertili, in quest’ottica, risulta perciò improrogabile.
Il superamento dell’idea di territorio come supporto inerte, o tabula rasa, assunto precipuo dell’urbanistica meccanicista, risulta finalmente compiuto. L’attribuzione di valore culturale all’ambiente rurale, ipotesi che costituisce lo scatto in avanti dell’approccio “territorialista”, è assicurata dalla definizione di «patrimonio territoriale» quale «insieme delle strutture di lunga durata prodotte dalla coevoluzione fra ambiente naturale e insediamenti umani, di cui è riconosciuto il valore per le generazioni presenti e future» (art. 3). Il cambio di paradigma promosso dalla legge è contenuto proprio nel passaggio dai concetti economicisti di “risorsa” e “prestazione territoriale” (impiegati nella passata legislazione) a quello di patrimonio territoriale, di matrice ecologista. Il richiamo alla «promozione» e alla «garanzia di riproduzione del patrimonio», inteso come bene comune territoriale, conferisce un’accezione genetico-evolutiva ai futuri atti di pianificazione.
L’articolato di legge conferma la bipartizione del piano regolatore comunale in parte statutario-strategica e parte operativa, ossia in «piano strutturale» e «piano operativo». Quest’ultimo, in sostituzione del vecchio regolamento urbanistico, disciplina l’attività urbanistica ed edilizia ed ha valenza conformativa dell’uso del suolo. Il piano strutturale contiene invece lo «statuto del territorio» da costruire con la partecipazione dei cittadini in quanto «atto di riconoscimento identitario mediante il quale la comunità locale riconosce il proprio patrimonio territoriale e ne individua le regole di tutela, riproduzione e trasformazione» (art. 6). All’interno del piano strutturale sono individuate quindi le strategie di disciplina e di trasformazione, tra le quali spicca l’innovativa perimetrazione delle aree urbanizzate, che merita di essere qui approfondita.
Si tratta in effetti di una “linea rossa” tracciata tra città e campagna (l’espressione è di Vezio De Lucia), che definisce con perentorietà il territorio urbanizzato, costituito «dai centri storici, le aree edificate con continuità dei lotti a destinazione residenziale, industriale e artigianale, commerciale, direzionale, di servizio, turistico-ricettiva, le attrezzature e i servizi, i parchi urbani, gli impianti tecnologici, i lotti e gli spazi inedificati interclusi dotati di opere di urbanizzazione primaria» (art. 4). A partire dall’entrata in vigore della legge, ogni nuova edificazione residenziale al di là della linea rossa – cioè sui terreni agricoli e fertili – sarà interdetta. Oltre tale linea, nuovi progetti per edifici produttivi e per grandi strutture di vendita costituiranno oggetto di verifica di conformità alle previsioni del PIT (piano di indirizzo territoriale) da parte di una «conferenza di copianificazione» nella quale il parere sfavorevole della Regione è vincolante (art. 25, c. 6). Resta valido comunque il principio che «nuovi impegni di suolo a fini insediativi o infrastrutturali sono consentiti esclusivamente qualora non sussistano alternative di riutilizzazione e riorganizzazione degli insediamenti e delle infrastrutture esistenti».
Tuttavia, questo nuovo capitolo dell’urbanistica regionale toscana è oscurato dall’ombra lunga delle politiche governative e rischia di esserne travolto. Il progetto di legge Lupi (presentato nel luglio scorso) e la riforma, approvata in Senato, dell’art. 117 della Costituzione (che conferisce potestà esclusiva in materia urbanistica allo stato, ora invece concorrente tra stato e regioni) sono indirizzati all’indebolimento degli spazi democratici nel governo del territorio.
Importanti deformazioni della disciplina urbanistica sono in realtà già contenute nel DL 133/2014, detto “Sblocca Italia”, che ha trasformato in senso privatistico l’accordo di programma, attribuendo (con l’art. 26) valore di variante urbanistica a quelle convenzioni tra enti pubblici finalizzate alla realizzazione di progetti di recupero di immobili demaniali, in vista di una loro alienazione; a tali progetti, cui può ora partecipare anche il privato, è attribuito carattere di «pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza», o, per meglio dire, di “privata utilità”, naturalmente in deroga ai piani comunali.
L’art. 33 del decreto prefigura l’inquietante «commissario straordinario per la rigenerazione urbana» nominato dal capo del governo che indicherà anche le aree da rigenerare («sentita la conferenza stato-regioni»): un’anticipazione, «sulla base del principio di sussidiarietà» (sic, comma 2), del trasferimento della titolarità urbanistica dal livello locale a quello statale, previsto nel riformando 117.
La bozza Lupi, dal canto suo, è un provvedimento di taglio squisitamente economico-finanziario – in odor di eversione – completamente astratto dalla realtà strutturale – fisica e sociale – del territorio italiano. Con l’istituzione dei crediti edilizi esso favorisce la consustanzialità di proprietà privata e diritto a edificare; con peculiari meccanismi fiscali indebolisce i consolidati strumenti della pianificazione generale; con la disapplicazione degli standard istituisce una disparità di fatto tra le regioni italiane; con la compensazione economica alle limitazioni poste alla proprietà privata dai piani urbanistici, sottrae legittimità alla pianificazione. In mezzo a questa furia demolitrice, la legge toscana rappresenta un’importante costruzione disciplinare, dall’auspicabile efficacia applicativa. Prendano esempio i governanti di stato.
Sul tema della nuova legge si veda anche, sempre su questo sito: