Di Tomaso Montanari, Repubblica Firenze, 11 novembre 2014.
Siena ha una grande occasione: ed è la bruciante sconfitta nella gara verso il ruolo di Capitale Europea della Cultura. Bisogna ora comprenderne le ragioni profonde: per poter cambiare direzione. Siena e Matera si sono presentate come due modelli opposti. La prima come una città, abituata a vivere di rendita (culturale e finanziaria), in cerca di un metadone che rimandasse il momento della disintossicazione; la seconda come una outsider decisa a trasformare le proprie debolezze in punti di forza. La prima come una città in mano ad un’oligarchia segreta e separata (i senesi hanno potuto leggere il dossier poco prima del verdetto ), la seconda come una comunità che ha fatto della partecipazione, del coinvolgimento e della trasparenza i propri punti di forza.
Siena ha presentato un progetto fatto di eventi, Matera un progetto su se stessa. Siena ha pensato ai turisti, Matera ai suoi cittadini. Sono due modi antitetici di vedere il rapporto con la cultura e con il patrimonio culturale.
Nel dossier senese si legge per non fare che un esempio che il povero Stefano Bollani avrebbe dovuto viaggiare «per la campagna con un pianoforte montato su un carro tirato da bianchi buoi di razza chianina» e che, giunto in Piazza del Campo, «il pianista suona la campanella sul Carro, e come per magia tutte le campane di Siena suoneranno insieme». Una specie di caricatura, capace di usare disinvoltamente perfino i segni più seri del gioco serio del Palio: come il carroccio su cui entra in Piazza il drappellone. Ebbene, questa non è la via verso un futuro sostenibile: è una triste scorciatoia verso una “venezianizzazione” della città. E Siena è troppo importante, per la Toscana e per il mondo, per finire così.
C’è dunque un gran bisogno di aprire una discussione pubblica: che metta da parte i tatticismi, gli infingimenti e le diplomazie. È stato troppo lungo il periodo in cui il destino della città si decideva nel chiuso delle stanze del Monte dei Paschi (quanti sindaci ha dato alla città?): ora che quell’epoca è finita per sempre, è necessario che siano le piazze e le sale pubbliche ad accogliere un dibattito che coinvolga tutti. A cominciare dalle parti ancora pensanti dell’università: autolesionisticamente lasciate fuori dall’elaborazione della candidatura.
Tra i tanti punti sul tappeto, ne indico tre fondamentali (e complementari: perché, presi insieme, tirano in ballo quasi tutte le istituzioni della città). Il futuro del Duomo: che non può essere lasciato in mano ad una corporation dell’intrattenimento culturale (che ambisce ad allargare il suo dominio anche ad altre istituzioni culturali della città e della provincia). Il futuro della Pinacoteca, che è alla vigilia di un insensato smembramento delle collezioni: un passo inaudito, e potenzialmente fatale, che non è stato preceduto da alcun dibattito. Il futuro del Santa Maria della Scala, infine: massima croce della politica culturale senese, e dunque massima cartina di tornasole del futuro della città. Ora non è il momento di aspettare dalla Regione un premio di consolazione: è tempo che i senesi prendano in mano il futuro della loro città. Se non ora, quando?