Dissesto idrogeologico:

59_3_LOCANDINA_webun piano? sì, ma quale …

Di Claudio Greppi, 23 novembre.

Partiamo da una notizia di cronaca. L’Albegna, il fiume che nasce sull’Amiata e sbocca nel Tirreno a nord della laguna di Orbetello, è esondato per la seconda volta in due anni lo scorso 14 ottobre. L’alluvione non è stata così disastrosa come quella del 2012, quando l’intero abitato di Albinia è finito sott’acqua: anche questa volta ci sono comunque state due vittime, in una delle zone meno abitate della Toscana.

Questa volta molti cittadini di Marsiliana, fra Orbetello e Manciano, stufi di promesse e di lavori lenti quanto discutibili, hanno formato un presidio sul fiume incriminato per tener d’occhio anche gli affluenti più pericolosi, come i torrenti Elsa e Magione. Si sono anche messi a lavorare per contestare la lentezza delle istituzioni. Tutti sul letto del fiume a spalare, titolava ‘La Nazione’ di Grosseto il 31 ottobre. Il Consorzio di Bonifica manda le ruspe necessarie a mettere gli argini in sicurezza. Ma è a questo punto che accade una sorpresa. Prendiamo la notizia dal ‘Tirreno’ di Grosseto del 4 novembre: I manifestanti fermano le ruspe sull’argine. Leggiamo: “Gli alluvionati del presidio sono tornati, già da domenica pomeriggio, sul piede di guerra e ieri mattina si sono presentati sull’argine dell’Albegna nella zona della Fornace per bloccare i lavori che si stavano effettuando sull’argine sinistro del Magione”. “Lì per lì – continua l’articolo – sembrava essere tutto normale dato il notevole numero di mezzi arrivati. (…) Ma cosa stava succedendo? L’escavatore stava alzando l’argine sinistro del Magione. Un argine già alzato e rinforzato con i materassi Reno. Subito dal presidio hanno iniziato a scrivere mail a tutti gli enti interessati per ricordare quali fossero gli accordi stabiliti”. Non era quello l’argine da sistemare.

“C’e stata una incomprensione…”, si giustificano al Consorzio. Magari non era proprio l’argine in questione la migliore soluzione per evitare le alluvioni. Certo non siamo di fronte a eventi drammatici come quelli che la settimana successiva hanno portato al crollo dell’argine del Carrione a Marina di Carrara, dove le colpe sono evidenti e il dito è già puntato contro un possibile responsabile.

Ma l’episodio è comunque emblematico di come si procede nella difesa del territorio, e viene il dubbio che non sia un po’ quello che sta succedendo in tutto il paese, anche quando i soldi ci sono ma si interviene caso per caso con lavori tampone. Si tratta solo di incomprensione? Ma chi ci assicura che l’intervento fosse quello giusto, a parte lo scambio di argine?

Nelle tragiche vicende di queste ultime settimane i richiami all’urgenza di intervenire non si contano, e molto spesse si parla della necessità di un piano per la messa in sicurezza del territorio, basta leggere gli interventi di Settis e di Montanari di questi giorni. Addirittura negli ultimi giorni, a leggere i giornali, sembra che il piano ci sia già e che il governo stia finalmente operando con la necessaria visione complessiva e lungimirante. Nove miliardi e 6mila cantieri ecco il piano contro il dissesto titola ‘Il Messaggero’ del 18 novembre: a cosa si riferisce?

E’ da quest’estate che il governo ha avuto una pensata, anche nel campo della difesa del territorio. E’ stata messa in piedi una Struttura di missione contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche (Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 27 maggio, approvato dalla Corte dei Conti il 22 luglio). Leggiamo in un’Agenzia del 9 luglio: “Il Governo ha affidato alla Struttura di missione misure straordinarie e il compito di fare regia e coordinare tutte le strutture dello Stato (Ministeri, Protezione civile, Regioni, Enti locali, Consorzi di bonifica, Provveditorati alle opere pubbliche, Genio Civile ed enti e soggetti locali), per trasformare in cantieri oltre 2,4 miliardi di euro non spesi dal 1998 per ridurre stati di emergenza territoriali (casse di espansione e vasche di laminazione di fiumi e torrenti, argini anti-alluvioni, briglie per regimentazione acque, messa in sicurezza di frane, stabilizzazione di versanti a rischio crollo, riattivazione di linee Fs locali interrotte e di ponti e infrastrutture viarie di Anas)”.

C’è anche un sito, www.italiasicura.governo.it, tutto impostato su una grafica volutamente naif: casine, alberini, sole e nuvolette birichine, il tutto condito con caratteri in corsivo da terza elementare. Geniale il calembour se si cura l’Italia, l’Italia è più sicura. (Ma chi vogliono prendere in giro?).

Così si può leggere nella home page: “La straordinaria grande bellezza dell’Italia deve, purtroppo, fare i conti anche con un territorio dalla straordinaria fragilità. Ne sono testimonianza le numerose frane e allagamenti, i casi di calamità idrogeologiche che colpiscono ormai da nord a sud. L’accelerazione prodotta dal dissesto atmosferico sta aumentando gli eventi, le vittime, i danni, e accumula debito futuro. Per questo abbiamo iniziato a voltare pagina. (…) La produzione normativa e lo stanziamento di fondi statali e regionali ha seguito quasi sempre la logica dell’emergenza, dello Stato notaio dei disastri con l’obiettivo di ripristinare i danni e solo in rari casi di indirizzare gli sforzi nel prevenire altre sciagure. Ma, in questo settore, abbiamo, purtroppo, alle nostre spalle anche una lunga storia di omissioni e di incapacità della spesa pubblica contro il dissesto, con troppe promesse finite nel fango.”

Tutto bene, dunque: a parte il linguaggio trionfalistico-renziano la parte finale è senz’altro condivisibile. Ma cos’altro troviamo nel sito che ci faccia capire in che cosa consiste la Struttura di missione? Il Decreto istitutivo faceva riferimento (art.4, Trattamento economico) a due figure dirigenziali, un coordinatore e un dirigente, con trattamento economico adeguato (ossia molto lauto, al massimo livello dirigenziale). Nel sito troviamo che quella che inevitabilmente viene chiamata ‘cabina di regia’, ovvero task-force, è formata dal coordinatore, Erasmo d’Angelis, e dal direttore Mauro Grassi. Di entrambi viene fornito il curriculum, dal quale si evince che i personaggi in questione non sono proprio i più indicati per occuparsi del dissesto idrogeologico (per l’appunto in Toscana li conosciamo bene).

Il primo, il d’Angelis (Formia, 1955), laureato in psicologia, proviene dal ‘Manifesto’ e da Legambiente, poi ha collezionato poltrone istituzionali, dal Consiglio Regionale (cito: “Ha guidato la Commissione del Consiglio Regionale della Toscana sui lavori dell’Alta Velocità ferroviaria tra Firenze e Bologna. Ha ideato e organizzato i due Raduni internazionali degli ‘Angeli del Fango’…”), alla presidenza di Publiacqua nel 2009: come tale si è distinto (ma questo non c’è nel curriculum) come fiero avversario del referendum sull’acqua pubblica. Infine, come sottosegretario alle infrastrutture nel governo Letta, si è fatto notare per la dichiarazione che per completare la Siena-Grosseto andava senz’altro demolito l’intero viadotto sul Farma (sic!).

L’altro, il Grassi (Firenze, 1951) laureato in statistica, viene dall’IRPET e lo conosciamo soprattutto come direttore generale del dipartimento Ambiente, Territorio ed Energia della Regione Toscana al tempo dell’assessore Riccardo Conti: fino al 2011, quando il nuovo assessore Anna Marson ne viene finalmente liberata. Sotto la sua responsabilità ricadevano competenze come quelle relative a infrastrutture e mobilità (e dunque anche sotto-attraversamento, tirrenica e quant’altro, cave comprese) nonché ambiente e difesa del suolo. Una volta ‘rottamato’ con lauta retribuzione, dopo una parentesi come assessore a Livorno, il nostro passa a ricoprire incarichi nel sottobosco dei ministeri, per riemergere in questa nuova ‘struttura di missione’. Come direttore generale fino al 2011 e’ stato dunque tecnicamente e amministrativamente parlando responsabile di tutti gli interventi di difesa del suolo nella nostra regione: sarà davvero un titolo di merito? Di certo nel curriculum si sorvola su questo aspetto: la Toscana, fino al 2011, non poteva certo essere presa a modello per il settore che ci interessa.

Come dire: non c’è male per una task-force a cui dovrebbero essere affidati compiti così rilevanti come la messa in sicurezza del territorio. Saranno capaci i nostri eroi di costruire davvero quel piano generale degli interventi di cui si sente la mancanza? Cominciamo a guardare, sempre sullo stesso sito, quali sono le basi conoscitive. Nella sezione #DISSESTO (chissà perché i cancelletti si sprecano, come se si trattasse di hashtag) si trova La mappa dei cantieri antiemergenze, dove al lettore si offre questa opportunità: cerca le opere contro frane e alluvioni nella tua regione. Da buon geografo mi interesso subito alla mappa e clicco sulla regione Toscana, per poi ritrovarmi in un prodotto dell’ISPRA, Repertorio Nazionale degli interventi per la Difesa del Suolo, mappa interattiva pubblicata in webgis dove la legenda indica i cantieri (lotti) in base allo stato di attuazione, dall’avviamento del progetto alla sua conclusione. Vediamo una quantità di pallini, prevalentemente blu (già conclusi: almeno in Toscana) o rossi (in fase di progettazione: particolarmente in Piemonte). Pochi i pallini verdi, in fase di esecuzione. In Liguria, si nota, è tutto un pallino blu: tutti lavori ultimati, e si è visto nei giorni scorsi.

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Finché si resta sulla piccola scala, sembra che i pallini coprano quasi tutto lo spazio della mappa, ma se si ingrandisce la scala le dimensioni dei pallini restano le stesse e quindi l’effetto di pieno scompare. Anzi in certe zone i pallini si fanno decisamente molto radi: così in Maremma, per esempio. Dove sono finiti gli interventi sull’Albegna? Mistero.

Non ho motivo di dubitare della buona fede dei tecnici dell’ISPRA nell’elaborare questo tipo di mappa, che evidentemente risente della carenza o dell’inconsistenza delle fonti. Di certo non è una mappa destinata a fare da supporto alla grande opera di pianificazione degli interventi contro il dissesto che ci è stata promessa. E allora, dov’è il famoso grande piano?

Torniamo al recente articolo del Messaggero, a firma Nino Cirillo (Nove miliardi e 6mila cantieri ecco il piano contro il dissesto). “Parlò per primo di questa unita di missione, durante l’estate, il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti, indicandola come una ‘novità assoluta’ del Governo Renzi, forse la più importante, ma in pochi ci badarono. Oggi invece, in queste ore difficili, i microfoni dei tg pendono dalle labbra di Erasmo D’Angelis, 55 anni, originario di Formia, già sottosegretario ai Trasporti del governo Letta. E’ lui che custodisce i dettagli del piano di sette anni, fino al 2021, che dovrebbe tirar fuori l’Italia da questo incubo, metterla finalmente un sicurezza. Un piano dai contorni economici già definiti: 9 miliardi di spesa. L’inversione di tendenza – storica per questo paese – è già iniziata: 1.732 cantieri sono stati già aperti per un miliardo e 617 milioni di euro, altri 654 cantieri, per un valore di 807 milioni, saranno aperti entro la fine di questo 2014 e entro i primi mesi del 2015 si prevede di aprirne ancora 659 per un valore di un altro miliardo e 96 milioni di euro!”.

Insomma, abbiamo capito in che cosa consista il famoso piano: in un balletto di milioni e miliardi, dalle Alpi al Lilibeo. Nessun investimento sulla conoscenza, sulla ricerca, sulla progettazione: come se fosse del tutto indifferente arginare il torrente Magione a destra o a sinistra, appunto.

2 thoughts on “Dissesto idrogeologico:

  1. italiasicura.governo.it/site/home.html non si può guardare. Nel deserto di contenuti, vi è però posto per i “SELFIE DAI CANTIERI”! Vedere per credere…

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