Ovvero: l’immagine rovesciata.
di Claudio Greppi, 2 novembre.
Non molti si saranno accorti del seguente comunicato comparso lo scorso martedì 28 ottobre sul sito della Regione, ‘Toscana notizie’: Vigneti: erogati 18 milioni per riconversione. Soddisfatto Salvadori. «Con le risorse a disposizione per la campagna 2013-2014, che sono state interamente esaurite – si legge – è stato possibile finanziare 540 domande, per 18 milioni e 27 mila euro». Le somme destinate alla ristrutturazione e la riconversione, e che riguarderanno ben 1.102 ettari di vigne, saranno erogate dall’ARTEA, agenzia per l’erogazione: che infatti, anche sul sito, si scrive ART€A. Ma come, veniva da chiedersi: allora tutto il baccano fatto dai Consorzi dei produttori di vino contro il Piano paesaggistico (la cosiddetta “guerra dei vigneti”) era motivato dalla paura di non poter più accedere a questi finanziamenti, o di non poterli più utilizzare liberamente?
Sulla stampa locale, il giorno successivo, ne parla solo il ‘Corriere di Siena’ (Vigneti, la Regione eroga diciotto milioni di euro per la riconversione). Ma il giovedì, vista la concomitanza con un convegno sulla viticoltura a Montalcino, se ne occupa con maggiore attenzione ‘Il Corriere fiorentino’ in un articolo a firma Giulio Gori (Per le viti 18 milioni. E il Brunello si dà le nuove regole) nel quale il finanziamento per i vigneti viene messo in relazione con le polemiche dei mesi scorsi a proposito del Piano paesaggistico. Si legge infatti che il finanziamento «ha reso competitivo il nostro distretto vitivinicolo, un fiore all’occhiello della nostra agricoltura – esclama il governatore Enrico Rossi dal suo profilo Facebook – questi sono i fatti a conferma della capacità della Regione di sostenere questo settore».
«Un modo per dire – continua Gori – che le polemiche sul Piano del Paesaggio, avanzate dai viticoltori, non hanno ragion d’essere, anche se puntando l’indice contro i viticoltori [Rossi] aveva tuonato: “Per di più noi li paghiamo questi signori per fare le piantumazioni”. Non molto diversi i toni usati dall’assessore all’Urbanistica, Anna Marson, in una recente intervista per il settimanale ‘Sette’: col piano “stiamo solo chiedendo a chi riceve lauti finanziamenti dagli enti pubblici per le proprie vigne di seguire qualche minimo accorgimento”».
E infatti leggiamo che «ieri mattina [27 ottobre], a Montalcino, in un convegno organizzato dal consorzio del Brunello, le posizioni dei viticoltori sono sembrate ammorbidite. “Sul Pit – ha detto il presidente del consorzio, Fabrizio Bindocci ci sono stati alcuni malintesi e forzature sul concetto di sviluppo economico e tutela del paesaggio. I produttori sanno che la forza della loro economia è data dall’unione del rispetto del territorio con lo sviluppo di un’agricoltura sostenibile”. Così il consorzio ha lanciato un progetto per la misurazione della sostenibilità dei vigneti: “È stato predisposto un disciplinare tecnico – spiega Franca Ballaben – che le aziende vitivinicole devono adottare per mantenere livelli qualitativi in linea con i principi della sostenibilità”. E anche l’assessore Salvadori – conclude Gori – che nelle scorse settimane non aveva risparmiato critiche al Piano, ieri mattina a Montalcino ha spiegato che la nuova legge urbanistica e il Piano del Paesaggio, con le modifiche apportate, “daranno un contributo decisivo sul tema della sostenibilità ambientale-paesaggistica ma anche, in maniera decisa, alla sostenibilità economica”».
Dunque occorrono nuove regole nell’impianto dei vigneti, anche secondo il Consorzio del Brunello: esattamente come si legge nei documenti del tanto vituperato piano, dove sono analizzate e messe a disposizione le basi conoscitive e cartografiche per inquadrare le regole nel necessario contesto geomorfologico, ecologico e storico. Sarebbero da rivedere i criteri con cui si fanno i nuovi impianti, che non possono essere puramente economici, piuttosto che riscrivere il Pit, come ancora una volta insiste l’assessore Salvadori (Stiamo riscrivendo il Pit. Ascoltate le istanze degli agricoltori titola la ‘Nazione di Siena’ a proposito dello stesso convegno di Montalcino). Anche perché la pretesa di “riscrivere il Pit” nella fase dell’istruttoria delle osservazioni, già consegnate entro la scadenza della fine di settembre, è assolutamente fuori luogo: tutt’al più l’assessore potrà dire la sua (come interprete delle “istanze degli agricoltori”, naturalmente) quando saranno presentate le controdeduzioni alla Giunta e al Consiglio.
Può essere interessante andare a vedere se il provvedimento che è tanto piaciuto a Salvadori non possa essere l’occasione per avviare nella direzione giusta la ristrutturazione dei vigneti toscani, magari nella stessa direzione “sostenibile” richiamata nel convegno di Montalcino. Intanto va osservato che il bando era stato deliberato dalla Giunta regionale il 20 gennaio dello scorso anno, cioè due giorni dopo l’approvazione in giunta dell’integrazione al Piano di Indirizzo Territoriale. Le due storie procedevano dunque in parallelo, ed è possibile che arrivati alle porte coi sassi alla scadenza delle osservazioni al Pit (29 settembre) la “guerra dei vigneti” avesse come sfondo anche la distribuzione dei fondi, e magari l’idea di doversi sottoporre alla “dittatura del paesaggio”. Ricordiamo che proprio questo era il sottotitolo (il titolo era «Pol Pot in Toscana») dell’ignobile servizio con il quale ‘il Foglio’, per la penna del suo vicedirettore Alessandro Giuli, era intervenuto pesantemente sul più bello della “guerra dei vigneti”, il 30 settembre.
Ma che cosa si intende – veramente – per ristrutturazione e riconversione dei vigneti? Nel sito dell’ARTEA (http://www.ARTEA.toscana.it) si fa riferimento al regolamento Ue 1234 del 2007, nel quale all’Articolo 103 octodecies (sic! Si vede che la stesura del regolamento era stata piuttosto sofferta…) si legge (corsivi miei):
«Ristrutturazione e riconversione dei vigneti
- Le misure relative alla ristrutturazione e alla riconversione dei vigneti hanno lo scopo di aumentare la competitività dei produttori di vino. […]
- Il sostegno alla ristrutturazione e alla riconversione dei vigneti può riguardare soltanto una o più delle seguenti attività: a) la riconversione varietale, anche mediante sovrainnesto; b) la diversa collocazione/reimpianto di vigneti; c) il miglioramento delle tecniche di gestione dei vigneti. Il sostegno non si applica al rinnovo normale dei vigneti giunti al termine del loro ciclo di vita naturale.
- Il sostegno alla ristrutturazione e alla riconversione dei vigneti può essere erogato soltanto nelle forme seguenti: a) compensazione dei produttori per le perdite di reddito conseguenti all’esecuzione della misura; b) contributo ai costi di ristrutturazione e di riconversione.»
Chiaramente un’espressione come “aumentare la competività” può essere intesa in senso puramente economico. Ma i produttori sanno benissimo, lo hanno detto e ripetuto in tante occasioni, che il paesaggio è un “valore aggiunto”, per cui nella competitività dovrebbe essere inclusa la qualità delle sistemazioni e la fisionomia paesaggistica dell’impianto. Tanto è vero che nel bando della Regione Toscana si trovano indicazioni più pertinenti al caso toscano:
«Le principali novità introdotte rispetto alla precedente programmazione riguardano:
- l’incremento del sostegno che può arrivare fino a 16.000 euro ad ettaro in presenza di reimpianto preceduto da una estirpazione effettuata in attuazione della misura (elevabile fino a 22.000 euro ad ettaro nelle zone di particolare valenza ambientale e paesaggistica) […]
- l’approvazione del nuovo prezzario analitico per il calcolo dei costi in fase di richiesta del sostegno e ad accertamento finale; […]»
La prima sottolineatura mette in evidenza un aspetto che nella normativa europea non era menzionato, e sul quale sarebbe interessante saperne di più. Andiamo quindi a vedere l’esito dei finanziamenti che l’ARTEA si appresta ad erogare. Le aziende ammesse al contributo sono 540, come si è visto, per cui la media sarebbe di poco superiore ai 30mila €: ben poco, ci sembra, per sostenere molte delle spese previste nel bando. Sembra che abbia prevalso la logica della distribuzione a pioggia, per non scontentare nessuno, o il minor numero di aziende. Tuttavia una ventina di queste (25, per la precisione) si vedono assegnati più di 100mila €. Se se ne consulta l’elenco, si trova che la maggior parte sono comprese nell’area del Chianti e dei colli fiorentini (14), tre sole a Montepulciano, due rispettivamente a Montalcino, San Gimignano, Capalbio e sul Montalbano. Siamo già a circa 4,5 milioni, dei 18 complessivi: quello che rimane diviso per tutte le altre 500 e passa risulta quindi dell’ordine di poche migliaia di euro, con le quali si potrà fare assai poco. In più, nel gruppo delle prime 25 le differenze sono notevoli: da oltre 500mila € per l’Azienda di Gaiole in Chianti si passa a quasi 400mila € per un’azienda di Montepulciano (De Dominicis), poi a meno di 300mila € per due aziende dell’area fiorentina (Coli di Tavarnelle e Grati di Rufina). Altre due aziende superano di poco i 200mila € (Fattoria di Grignano a Pontassieve e Ignoti Salvatore di San Gimignano). Le altre si collocano fra 200 e 100mila €. Non si tratta delle aziende vinicole più note (non pretendo di essere un gran conoscitore), tranne forse il Castello di Albola a Radda e la fattoria Col d’Orcia a Montalcino: chissà le prime due che abbiamo trovato, a Gaiole e a Montepulciano, con estensioni di vigneti pari a oltre 33 e oltre 25 ettari, non potrebbero utilizzare il contributo della Regione, come suggeriva Anna Marson, per ottenere risultati soddisfacenti anche dal punto di vista paesaggistico. Lo stesso si può a buon diritto pretendere da altre aziende, come Coli e Grati, per quanto siano note più che altro come aziende commerciali.
Ma come possono essere utilizzati i fondi? Per questo dobbiamo consultare il prezzario (nuovo, secondo il bando del 20 gennaio): ecco quanto troviamo alla voce
«B, opere di sistemazione del terreno:
B.1 Realizzazione o ripristino di muretti a secco con pietrame altezza fino a 1,50 m
B.2 Realizzazione di ciglioni attraverso lo scavo eseguito con mezzo meccanico, in terreno di qualsiasi natura e consistenza, con esclusione della roccia da mina, compreso profilatura del piano e delle scarpate, sistemazioni in loco ed eventuale allontanamento del materiale di risulta.»
Per le prime si prevedono €/mc 140,00 per le seconde €/mc 7,00. Non so se un appassionato restauratore di terrazzamenti storici (a spese sue) come Paolo Socci, alla fattoria di Lamole, sarebbe rientrato nelle spese, con questo contributo. Sarebbe comunque interessante se qualcuno dei beneficiari volesse provarci: almeno a ricostruire quei ciglionamenti che erano raccomandati fin dal 1775 nei Saggi di agricoltura di Giovan Battista Landeschi come sistemazione più adatta in tutte le colline sabbiose del pliocene, e che in molti casi hanno resistito fino all’arrivo dei bulldozer. Sistemazioni a ciglioni ricostruite con macchinari adatti cominciano a farsi vedere qua e là, anche nel Chianti: segno che l’uso delle macchine non comporta l’obbligo della sistemazione “a rittochino”. Del resto basta andare a vedere i vigneti delle Langhe, tutti perfettamente disposti “a reggipoggio”, anche quando si tratta di sistemazioni recenti fatte e mantenute con macchinari appropriati e non con i Caterpillar californiani.
Ma forse all’origine dei malintesi e della “guerra dei vigneti” c’era soprattutto un’idea completamente diversa delle qualità che si possono riconoscere in un paesaggio. Da una parte “tutto fa paesaggio”, possibilmente senza nessun vincolo; dall’altra qualsiasi trasformazione deve tener conto del patrimonio storico e naturalistico: il vincolo ci deve essere, e deve essere considerato un vincolo positivo, uno stimolo. Per questo non sarebbe male che gli interessati, prima di lanciare scomuniche, andassero a studiare il materiale prodotto per la redazione del Pit, per capire quali sarebbero le sistemazioni più coerenti con la storia e con l’ecologia di ciascuno dei distretti vinicoli della Toscana.
Per fare un esempio: il viticoltore impegnato in una ristrutturazione dei propri vigneti non dovrebbe di sicuro prendere a modello quel vigneto che ancora vediamo nella foto che accompagna il comunicato stampa dell’assessore Salvadori, e che ho intenzionalmente messo alla rovescia. Sembra un vigneto qualsiasi, ma lo riconosce benissimo chi ha avuto l’opportunità di seguire l’evoluzione dei paesaggi senesi: si tratta di un frammento dell’immensa sistemazione, tutta artificiale, realizzata alla confluenza dell’Orcia nell’Ombrone dall’azienda che una volta si chiamava Poggio alle Mura. Siamo, sì, in territorio di Montalcino e nel regno del Brunello: ma in un terreno argilloso che per accogliere le vigne ha dovuto essere drenato con tutto un sistema di tubazioni sottoterra. Un paesaggio finto, come finto è il vialetto di cipressi che conduce alla sede aziendale, finto anche il nome (“villa Banfi”: è come se la villa il Palagio di Figline fosse ribattezzata “villa Sting”!): non certo un modello da imitare. Il paesaggio si può certamente “costruire”, ma secondo certe regole fondate sulla conoscenza delle condizioni storiche e naturali dei luoghi, cioè proprio quelle conoscenze alle quali ha contribuito il lavoro dei ricercatori impegnati nella revisione del Pit.