di Massimo Morisi e Daniela Poli, Repubblica Firenze, 17 ottobre.
Il paesaggio è conflitto… poi armonia, ma solo “dopo”. Lo è da quando non è fatto più di aristocrazie, di giardini privati e pubblici, di luoghi in cui ristorarci dalle fatiche del lavoro o nei quali esercitare i nostri convivia. Oggi, nell’età repubblicana, il paesaggio è un progetto politico per l’insieme del territorio e non più la sommatoria di una pluralità di beni cui offrire tutele, regole e opportunità di valorizzazione. E nell’epoca in cui viviamo il paesaggio è il risultato del governo politico del territorio. Lo insegnava un maestro del diritto europeo del Novecento, Alberto Predieri, senza aspettare la Convenzione europea del paesaggio e le sue fumose interpretazioni ma conferendo alla disciplina del paesaggio e alle politiche che ne debbono derivare un solido ancoraggio tanto teorico quanto giuridico: ovvero il paesaggio è figlio del suo territorio e dunque del se, del come e del quanto saggiamente quel territorio venga governato mediante politiche regolative. Lo sapevano i Medici, lo sapeva Napoleone, lo sapeva Benedetto Croce, lo sapeva Luigi Einaudi e lo sa l’art.9 della Costituzione: per il quale la tutela del paesaggio è compito primario e fondativo della Repubblica e solo nell’ambito di questa pubblica missione normativa abitanti, fruitori, utilizzatori, imprenditori e amministratori possono sviluppare i loro progetti di paesaggio.
Il paesaggio è sì un costrutto sociale in continuo movimento ma le forme che assume e le trasformazioni cui è sottoposto rispondono sempre, a piccola come a grande scala, a un progetto politico tanto sostanziale quanto simbolico. Ogni cipresso, ogni badia quattrocentesca, ogni periferia urbana del secolo passato o di quello presente, ciascuna delle cave che trasformano vette, crinali e panorami, ogni vigna che si piega e conforma alla sua massima produttività sono tutti “attori’ che in modo consapevole o meno esprimono una propria intrinseca politicità: perché usano, manipolano, maneggiano, trasformano un bene collettivo che è difficile stimare e censire ma che di certo “comune” lo è in sé (e sempre più, per sé). Ove così non fosse, basterebbe il mercato, ma quando il libero mercato si muove da solo l’esperienza italiana ci dimostra che il paesaggio ne viene semplicemente distrutto, senza se e senza ma (al netto degli effetti ambientali ed ecologici che la crisi climatica non può che esasperare). Il Piano regionale del paesaggio serve ad accogliere e guidare le dinamiche del mercato per integrarsi nel paesaggio e non solo sfruttarne l’immagine. Come ogni opera umana anche il Piano del paesaggio lo si può sempre scrivere meglio, in modo più semplice e meno tecnico. Ma è un fatto che quel Piano abbia percorso 8.000 (ottomila) chilometri in giro per la Toscana per spiegare le sue ragioni e la sua impostazione. Ed è vero che quel Piano può ancora arricchirsi dell’apporto dei molteplici interessi in gioco. E infatti, in queste ore, Giunta e Consiglio regionale trattano le 500 osservazioni pervenute cercando (è lecito immaginare) sia di includere sia di dare risposte coerenti con l’impostazione culturale e con le finalità del Piano. Ma è altrettanto vero che quello stesso Piano ha finalmente dotato la Toscana di un insieme di analisi e conoscenze di cui cittadini e amministratori non avevano mai disposto dai tempi di Pietro Leopoldo: e che solo una comunità scientifica colta e coesa poteva produrre tenendo un orecchio costantemente aperto alle sollecitazioni delle comunità locali. Ora si tratta di chiudere il processo decisionale e passare subito alla messa in opera. La Toscana non può aspettare altri anni a riqualificare, riprogettare e “mettere in sicurezza” il proprio territorio (…e se quanto previsto dal Piano per gli ambiti della Maremma fosse già stato operativo le alluvioni di questi giorni non avrebbero creato forse danni così ingenti). E far sì che il Piano sia un effettivo strumento di regolazione sociale tanto nel fare impresa quanto buona amministrazione.
Gli autori sono docenti all’Università di Firenze
Si vedano anche i seguenti interventi su questo sito (oltre agli articoli nella rassegna stampa):
• Toscana. Quanto vale il paesaggio, di Vittorio Emiliani (30 gennaio)
• Il Piano che salva il paesaggio, di Tomaso Montanari (5 luglio)
• Vigneti e piano paesaggistico, di Claudio Greppi (6 settembre)
• Il paesaggio è la risorsa delle risorse, di Giuseppe Pandolfi e Rossano Pazzagli (20 settembre)
• Le mani sul paesaggio, di Leonardo Rombai (29 settembre)
• «POL POT IN TOSCANA», di Paolo Baldeschi (8 ottobre)
• Non solo colli e mulini, di Giovanni Maffei Cardellini (10 ottobre)